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Intervista pubblicata dal quotidiano online “l’Occidentale”

Noto imprenditore pugliese, titolare di diverse società di costruzioni, ex presidente della Provincia di Brindisi, presidente di Confindustria Brindisi, già presidente del fondo immobiliare Invimit. Massimo Ferrarese conosce bene la realtà di Taranto e dell’Ilva in particolare, sia nelle sue vesti di politico, sia nel suo ruolo di imprenditore per aver lavorato col colosso siderurgico. Oggi, dal suo osservatorio, lancia una proposta chiara di fronte alla scelta di ArcelorMittal di

recedere dal contratto. Per Ferrarese occorre creare una no tax area nella zona di Taranto: 300 ettari di terreno dove gli imprenditori possano investire senza pagare tasse sugli utili, possano godere di misure di decontribuzione e anche di risorse a fondo perduto sulla scia della legge 448 del ‘92.

Di fronte alla crisi Ilva oggi la nazionalizzazione appare come l’unica strada possibile per un vero salvataggio. Concorda con questa tesi?

“Bisogna essere chiari. Ilva non è stata creata da un privato o da una multinazionale, ma è stata creata dallo Stato ai tempi di Italsider. Lo Stato ha scelto di realizzare una azienda gravemente invasiva per l’ambiente e per la salute dei cittadini, in cambio di una contropartita occupazionale. Si è pensato cioè, a mio avviso sbagliando profondamente, che i danni ambientali potessero essere accettati e compensati attraverso la creazione di 30mila posti di lavoro. All’inizio questa equazione scellerata ha funzionato, ma col passare degli anni i posti di lavoro sono calati e proporzionalmente il problema legato alla salubrità dell’area si è aggravato. Fino ad arrivare al paradosso odierno con 5mila esuberi, di fatto tutti i posti di lavoro rimasti a Taranto rispetto ai quei 30mila iniziali. Oggi parlare di nazionalizzazione è solo il primo passo: è il minimo di ciò che i cittadini di quel territorio meritano dopo aver visto tradito il patto siglato tra Governo e territorio”.

Eppure economicamente è difficile pensare che le casse dello Stato possano sostenere un processo di nazionalizzazione simile.

“Un punto deve essere chiaro. I 30mila posti di lavoro creati dovevano essere tutelati in modo sacro dai Governi che si sono succeduti proprio perché frutto di un accordo preciso. Parliamo di dipendenti statali di fatto. E’ come se un privato accettasse di veder deturpato il giardino della propria villa da una azienda altamente inquinante che crea una discarica e in cambio garantisce posti di lavoro all’intera famiglia del padrone di casa. Dopo questo patto però l’azienda decide di licenziare man a mano moglie, figli e alla fine di chiudere lo stabilimento lasciando l’area e il giardino contaminati. Questa famiglia si troverebbe senza lavoro e senza casa. Secondo lei è accettabile? Questo è stato fatto a Taranto e non è stato fatto da una multinazionale estera, ma dallo Stato italiano. Parliamo di un danno incalcolabile commesso da chi doveva tutelare cittadini”.

La sua proposta è dunque quella di creare una no tax area per attirare investitori.

“Certamente. Dobbiamo riavvolgere il nastro e cercare di attenuare il disastro di cui lo Stato è responsabile. Non è una proposta che rivolgo solo al Governo: è l’Europa che deve scendere in campo. La zona di Taranto deve ospitare una no tax area di almeno 300 ettari dove gli imprenditori possano investire senza pagare tasse sugli utili e dove possano ottenere forti decontribuzioni e investimenti a fondo perduto. Sono certo che offrendo questa possibilità le richieste di investimento sarebbero superiori allo spazio offerto e si creerebbero decine di migliaia di posti di lavoro”.

Ma l’Europa verosimilmente approverà una idea simile?

“A chi in Europa non è d’accordo ricordo cosa accade oggi coi regimi fiscali presenti in Lussemburgo, Cipro, Malta, Irlanda, Olanda. Se l’Italia introitasse le tasse che vengono pagate da molte aziende italiane altrove in Europa dove è ammessa una fiscalità di vantaggio, lo Stato italiano avrebbe 8 miliardi in più all’anno. Nessuno in Europa deve insegnarci nulla e salvare un territorio devastato è un dovere per tutta la comunità Europea. Ripeto, parliamo di un risarcimento solo parziale del danno patito dalla gente di Taranto sotto l’aspetto ambientale e sanitario e di chance per il territorio. L’Ilva, ricordiamocelo, ha impedito per 60 anni l’arrivo di ogni tipo di investitore nel campo turistico, gastronomico o ricettivo. Molti tarantini sono scappati. Uno schiaffo umiliante per una terra stupenda per clima, prodotti, coste e paesaggio”.

Concretamente le prime mosse che immagina quali sarebbero?

“Se ArcelorMittal dovesse lasciare Taranto occorre procedere immediatamente con la nazionalizzazione delle azienda. I lavoratori devono essere assunti dallo Stato e momentaneamente i dipendenti in esubero, con la massima garanzia da dipendenti pubblici, potrebbero lavorare alla bonifica del territorio utilizzando anche i fondi sequestrati ai Riva. A questo punto la creazione della no tax aera attirerebbe investimenti e non solo compenserebbe automaticamente i posti persi, ma se ne aggiungerebbero altre migliaia. A mio avviso questa è l’unica strada possibile”.