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Inauguriamo con l’intervento del Prof. Cesare Pinelli, professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università “La Sapienza” di Roma, uno spazio dedicato al dibattito sul tema delle riforme, scaturito dall’articolo “Il tempo e gli spazi delle riforme” di Gaetano Quagliariello pubblicato su questo sito.

 

 

 

 

 

 

L’intervento di Gaetano Quagliariello ha il merito di collegare i problemi dello spazio e del tempo della politica, così come ci si presentano oggi, alla discussione della riforma costituzionale.

 

L’analisi muove dalla ridefinizione dei termini spaziali della convivenza, con la contestuale cessione di sovranità statuale verso l’Unione europea (che a sua volta è oggi la risposta del nostro continente alla globalizzazione, anche se potrebbe essere molto più felice e stabile), e di competenze dello Stato verso le autonomie territoriali (non meno infelice e instabile). E da quella ridefinizione desume la necessità di una corrispondente ridefinizione degli spazi della politica nazionale, tali da perdere l’antica illusione di onnipotenza, che ormai contrasta con la realtà istituzionale, per guadagnare in efficacia di contenuti e di presenza.     

 

A questo fine, però, serve una prospettiva, che si dispiega necessariamente nel tempo, tanto più quando si tratta di modificare parti importanti di una costituzione: a cominciare, per quanto ci interessa, dalla connessione fra riforma del Titolo V e riforma del Senato. E tuttavia, aggiunge Quagliariello, il tempo della politica si è fatto cortissimo, visto che la miscela televisione-sondaggi-social network va a scapito della “sedimentazione del giudizio”.     

 

Si potrebbe obiettare: ma tutto questo vale anche in presenza di una riforma discussa nell’opinione pubblica e in Parlamento da molto tempo prima che il disegno di legge di revisione del Titolo V e del Senato venisse alla luce, e che aveva avuto anche tra i costituzionalisti un’adesione di massima molto estesa (malgrado successivi, e non dichiarati, ripensamenti)? La risposta, a mio avviso, è positiva. Il fatto che la riforma sia frutto di un lunghissimo dibattito (io stesso avevo dubitato di poter mai vedere un Senato composto da esponenti delle autonomie territoriali), non toglie che  Parlamento e purtroppo anche i quotidiani non si pongano mai le domande che contano, quelle sul rendimento del nuovo Senato: se e come darà voce alle autonomie a livello centrale.

 

Queste domande escono fuori dal radar, perché non interessano nell’immediato. Lo stesso vale per la riforma elettorale: tutti se ne occupano guardando esclusivamente ai (presunti) consensi attuali di partiti e leader di partito, come se, non dico fra venti, ma anche fra cinque anni, saranno gli stessi di oggi. Così non andiamo da nessuna parte, o meglio andiamo a sbattere da qualche parte.

 

Giustamente, perciò, Quagliariello propone di tornare ad affrontare (anche, e comunque prima di tutto) le questioni costituzionali in una prospettiva spazio-temporale che corrisponda a quanto esse richiedono. E richiama in proposito, fra le altre cose, quella fase iniziale della legislatura in cui costituzionalisti di opposti orientamenti ebbero l’opportunità di comunicare fra loro nella Commissione per le riforme, e di mettere a frutto il loro lavoro comune. Anche qui, condivido.

 

Cesare Pinelli, professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università “La Sapienza” di Roma. E’ stato membro di Commissioni di studio e progettazione legislativa presso i Ministeri delle Politiche Comunitarie (1989), della Difesa (1992-93),  di Grazia e Giustizia (1994-1996), del Dipartimento Affari Regionali della Presidenza del Consiglio (1999), della Funzione pubblica (2003), dei rapporti col Parlamento e le riforme istituzionali (2006), nonché della Commissione di Garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali (2000-2002).