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Dopo l’ultima strage e il dramma delle due ragazze italiane, morte perché colpevoli di aver programmato una vacanza nel posto sbagliato, le maggiori cariche dello Stato hanno tutte convenuto, seppure con diversità di accenti, che il terrorismo islamico ha proclamato unilateralmente una terribile guerra al mondo occidentale. Se questo è vero, tutti gli attori politici ne dovrebbero prendere atto. E nell’ambito della politica interna dovrebbe derivarne un mutamento radicale del tono del dibattito e della qualità della polemica.

Le prime analisi che hanno individuato nell’estremismo islamico una forma aggiornata di totalitarismo risalgono, in realtà, a circa dieci anni fa, quando l’escalation terroristica era appena agli inizi. Definirlo totalitarismo non significa che l’islamismo radicale sia identico ai totalitarismi del passato, comunismo e nazismo (che, tra l’altro, non sono uguali fra loro), ma più semplicemente che esso presenta alcuni tratti tipici di queste precedenti esperienze storiche, in grado di descrivere il medesimo ideal-tipo. L’islamismo radicale, come il nazismo ed il comunismo, è una forza aggressiva che tende alla conquista e al mantenimento di territori sempre più vasti. Esso, inoltre, ricorre al terrore di massa sia per garantirsi la preminenza in un ambito interno (non casualmente in Iraq, il numero maggiore di attentati è volto a colpire gli indigeni vendutisi all’infedele) sia nelle sue strategie d’attacco verso l’esterno. Infine, anch’esso, come i fenomeni che l’hanno preceduto, tende al controllo assoluto dell’individuo, negandogli qualsiasi forma d’autonomia nella sfera del pensiero come in quella dell’azione. Vi sono due circostanze che avvicinano l’ideal-tipo odierno alla sua astratta “purezza”. In primo luogo, come già Sartori ha notato ieri sulle pagine del Corriere della Sera, il progresso delle tecnologie ha reso le armi del terrore di massa assai più pericolose e, soprattutto, alla portata di ogni tasca. Se le strategie di offesa di Hitler necessitavano delle divisioni blindate, oggi il possesso di un gas dagli spaventosi effetti distruttivi si può conseguire con modalità più semplici e meno dispendiose. Va considerato, inoltre, che a differenza dei precedenti progetti totalitari, quello islamico non conosce neppure la frattura tra il terreno e il trascendente. Non ricerca un supposto paradiso in terra ma la costruzione di un unico regno del bene, che non consenta rotture neppure al momento del trapasso tra la vita e la morte. Il che spiega, tra l’altro, dove si collochi la radice del terrorismo suicida, ed aiuta a comprendere perché siano tanti i militanti del terrore disposti a sacrificare la propria esistenza.

Stabilire una relazione tra la minaccia totalitaria di oggi e quella di ieri, non serve altro che a sublimare un’esigenza classificatoria. Dovrebbe, invece, insegnare ad evitare gli errori che in passato hanno complicato non poco le cose. Il primo è quello di non considerare, per superficialità o sufficienza, ciò che i portatori del progetto totalitario scrivono nei loro documenti. Così come Hitler nel Mein Kampf espresse con esattezza le sue intenzioni e Molotov confessò nel discorso del 6 novembre 1939, al cospetto del Soviet di Mosca, gli effettivi obiettivi del patto siglato poco prima con Ribbentrop, i terroristi islamici nei loro proclami di oggi dichiarano le loro mire: colpire l’America, separarla dall’Europa, conquistare il controllo del potere innanzitutto nell’area medio-orientale.

Se questo programma fosse preso sul serio in tutte le sue implicazioni, ne deriva che l’altro errore da evitare sarebbe quello di ritenere che la soluzione del problema possa risiedere nell’utilizzo della contrapposizione tra islamismo moderato e radicale. L’islamismo moderato, nella sua forma secolare, deve identificarsi con i governi oggi al potere nei paesi arabi disponibili verso la modernizzazione e all’alleanza con l’Occidente. Questi regimi, ancor prima di noi, sono nel mirino del terrorismo che li vorrebbe destabilizzati. Così come i precedenti totalitarismi erano indotti a fare terra bruciata tra loro ed il nemico, sterminando i dissidenti e negando le posizioni intermedie, oggi il terrorismo islamico punta innanzi tutto ad annientare coloro i quali hanno “commerci” con l’infedele. Ne deriva che contare sul mondo islamico moderato, non è la soluzione in quanto anch’esso subisce la nostra stessa sfida. A noi occidentali, infatti, spetta difenderci e difendere anche quei regimi dalla destabilizzazione incombente.

Infine, vi è un ultimo errore che la storia ci dice di evitare. Quello di ritenere che la lotta al totalitarismo debba essere competenza, a seconda dei casi, soltanto della destra o della sinistra. Il totalitarismo, per il fatto stesso di negare ogni distinzione, rifugge da queste classificazioni. E la lotta contro la sua pretesa esaustività compete tutti coloro che hanno a cuore libertà e democrazia. È già accaduto in passato che chi non l’abbia compreso per tempo, si sia trovato, infine, a perdere contatto con le proprie origini ideali, ed oggi venga ricordato come un collaboratore.

Il Messaggero, 14 ottobre 2004