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Grottesco fino all’inverosimile: Matarrese e la sua ferocemente hegeliana logica dialettica della giustificazione storica dell’assassinio dell’ispettore capo Filippo Raciti (“I morti fanno parte del sistema”, poi precisando e aggiungendo, “malato”, e sia…) – durante gli scontri, anch’essi inscritti nella gabbia deterministica dell’inevitabile, di Catania, durante un derby che in molti si affannano a definire micidiale, amarissimo, da sempre, formidabile coalizione di umori e furori antichi e mai sopìti – si allea oggettivamente, come si diceva nel mondo veteromarxista e operaistico di un secolo fa, con le analisi del cosiddetto “sistema-calcio” compiute dalle menti inossidabilmente staliniane (altro che Trotzsky!) del quotidiano comunista Liberazione. Nessuna sorpresa, se vagliamo la cosa dal punto di vista marxiano, è chiaro, perché, si sa, chi sta sul terreno della storia barbara e violenta è sempre, così recita l’Evangelo secondo Marx, conservatore e insieme illuminato, ergo Matarrese sta a Liberazione come Marx sta al Gulag, e sia… Il fatto comunque testardo è che, di fronte all’infamia più ancestrale e degradante per una civiltà costituita da padri e autorevolezza autenticamente civile, ossia l’assassinio di un poliziotto, le retoriche sociologiche e gli stendardi fideistici dei caporioni stalinisti non soltanto non mutano di una virgola la versione protocollare della menzogna, la solita: è colpa del “Sistema”! -, ma si sostanziano ulteriormente in codici tutt’altro che estranei al nuovo marchingegno impersonale della violenza, che delega “oggettivamente” le “moltitudini” ad estrarre dalle borse le molotov postmoderne e le spranghe consegnate da un custode dello stadio di Catania. Gesto che affratella criminosamente un mondo che rifiuta l’autorità. Qui non c’entra Le Bon e la psicologia delle masse, non c’entra la Folla e la ricerca del Capo, non c’entra la Sfida e la Lotta contro il Sistema, tutto questo ciarpame viene, sì, riciclato da Massimo Ilardi e Stefano Jorio su Liberazione, ma, sia chiaro, rimane ciarpame. Ne conosciamo i tratti essenziali: la polizia ha mutato strategia di “controllo” del territorio degli ultras e dei loro “corpi”, dunque la battaglia, appunto, si fa necessaria, si giustifica da sé. Nell’inserto sugli anni settanta che sarà in edicola, guarda caso con Liberazione, l’8 febbraio, si leggerà un articolo di Maria Luisa Boccia, Sputare su Hegel, ma Ilardi e Jorio, di fatto, non soltanto non prendono a sputi il “cane morto” della dialettica, ma, di contro, lo venerano e lo riconvertono in genio dell’assiomatica giustificazionista. Cosa non si fa pur di riscrivere il presente, dal G8 di Genova, anno 2001, a Catania, anno 2007. Un filo rosso innervato nella storia dalle azioni violente e, così dicono, “antiautoritarie”, per me criminali, della moltitudine. Così è, ancora una volta nel 2007, e non deve destare stupore, perché le braccia e le gambe che danno l’assalto ai poliziotti, all’uscita degli stadi o dentro gli stadi, non sono che gli esecutori materiali del testamento della ragione, anche quella rivoluzionaria, perfino della “ragion delirante” di Marcuse, sono, in definitiva, i nipotini del nulla oggettivo, i quali, impadronendosi senza particolare consapevolezza della marmellata del postmoderno borghese e/o plebeo, poco importa, urbano e suburbano, ancor meno importa, cioè del “senno (impazzito) del post”, diventano spontaneamente “moltitudine”. Cioè, niente. In sostanza, una realtà senza più grammatica e sintassi umane e relazionali, un mondo a parte, una deriva elementare e primordiale che impazza e sgassa a più non posso come quei motorini truccati che riempiono le strade delle periferie metropolitane. Ecco, dunque, il desolante stato dell’arte: mentre la nuova sintassi perbenista rifiuta il “maschio selvatico” (http://www.claudiorise.it), sincero sostenitore della figura autorevole e archetipica del Padre, e, per compensare la perdita di quest’ultimo, si aggrappa, ai non meglio definiti Valori, altra bell’esempio di marmellata postmoderna, sradicando così dalla drammaticità di una giusta memoria la famiglia; mentre i vuoti progressisti si beano del radicalismo libertario infarcito di tensioni individualistiche e a-familistiche, occupandosi di banche e alleanza strategiche burocratiche, nel solco di un ben noto retaggio del peggio del peggio italiano, l’azionismo militante; e, ancora, mentre le società europee, la nostra in testa, ammazza non solo il Padre, ma perfino l’ultima residua icona dell’Autorità, ovunque, nelle scuole, nella politica, nelle famiglie e nelle caserme; ecco, mentre tutto questo sfacelo è diventato da tempo agenda sistematica di “promozione sociale” e “teologia atea dei diritti individuali” per la mentalità comune del progressismo italiota, si piangono le finte lacrime per un poliziotto naturalmente mai nominato con nome e cognome negli articoli di Liberazione, anzi, con ben più vergognosa crudeltà, indicato astrattamente come funzione sociale generica, “un poliziotto”, (la legge della moltitudine, si sa, è la negazione del nome, dell’Identità: il Collettivo è il Padrone Assoluto) e quindi trangugiato dalla spremitura massmediologica, per poi rientrare nel codice rosso di sempre; è il Sistema, stupido, ci dicono. Da quarant’anni è sempre la stessa solfa. Questa sì becera, ben più dell’innocuo saluto romano e del kitsch paramilitare di certi cortei. In realtà, l’Italia postmoderna – e la Sicilia ne rappresenta lo specchio che rilancia prospettive apocalittiche, Cappellani ad “Otto e mezzo” ha rievocato giustamente Blade Runner – ha compiuto non solo mutazioni antropologiche, per quanto complesse, ma, ben più radicalmente, spostamenti assiali di civiltà e si sta consegnando alla logica del “tutto è permesso”, al nichilismo violento, sulla base dei quali non si può che riedificare il vuoto del trastullo farisaico sui Valori. Un passaggio della Centesimus annus di Giovanni Paolo II può ancora aprirci gli occhi sul presente che viviamo e subiamo: “Un’autentica democrazia è possibile solo in uno Stato di diritto e sulla base di una retta concezione della persona umana. Essa esige che si verifichino le condizioni necessarie per la promozione sia delle singole persone mediante l’educazione e la formazione ai veri ideali, sia della «soggettività» della società mediante la creazione di strutture di partecipazione e di corresponsabilità. Oggi si tende ad affermare che l’agnosticismo ed il relativismo scettico siano la filosofia e l’atteggiamento fondamentale rispondenti alle forme politiche democratiche, e che quanti siano convinti di conoscere la verità ed aderiscano con fermezza ad essa non siano affidabili dal punto di vista democratico, perché non accettano che la verità sia determinata dalla maggioranza o sia variabile a seconda dei diversi equilibri politici. A questo proposito, bisogna osservare che, se non esiste nessuna verità ultima la quale guida ed orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia”.

La barbarie postmoderna ha delle cause, certo che sì, ma soprattutto ci fa rilevare, qui e ora, effetti storici, morti ammazzati e giovani dissanguati fino allo sfinimento dai loro stessi atti criminali, giovani ai quali dobbiamo l’esercizio ragionevole e mirato dell’autorità; quella che governa e raddrizza il legno storto; che censura ad ogni livello il permissivismo e stronca in primo luogo l’intenzione del male, quindi gli effetti del male; che, in ultima istanza, esalta l’ordine ragionevole della natura, delle cose e della storia. Questa è una civiltà. Una vera civiltà. Autorevole, giusta, edificata da padri con certa autorità. Accettare che Scalzone affermi di voler sparare per attitudini rivoluzionarie ormai non più richieste neppure dagli antichi camarades; che Negri straparli di moltitudine sovversiva nelle università servendosi delle sue antiche categorie del “dominio” e del “sabotaggio”; che Curcio giustifichi pienamente e “storicamente” le “sue” Brigate Rosse con tutto quel che ne è seguito; che, last but not least, un cordone violento spazzi via e uccida poliziotti nell’esercizio delle loro funzioni (e, si badi, tutto si tiene e tutto è eminentemente pre-politico, microfisico, anti-strategico, non politico), equivale ad una resa della civile ed autorevole libertà governante. Ovvero delle armi della civiltà liberale e democratica. La civiltà muore nelle strade, prima ancora che nei parlamenti. Quel che accade oggi, senza più nessuno che sputi veramente su Hegel e sul folle nichilismo dei violenti.