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L’osanna intonato dalla sinistra a commento dell’articolo del Cardinal Martini è patetico. L’esigenza di distinguere tra eutanasia, dichiarazione preventiva di volontà e accanimento terapeutico è, infatti, tanto essenziale quanto condivisibile. Ma ci si deve chiedere: nei giorni del “caso Welby” chi ha cercato di confondere le acque accreditando la falsa contrapposizione tra un fronte della pietà attento al dolore dell’uomo e uno dell’indifferenza preoccupato esclusivamente di un dogma astratto? Chi ha fatto tutto il possibile affinché non fosse trovato un punto di contatto tra il rispetto della volontà del malato e la tutela della vita?

Valga, come risposta, quanto affermato dal Vescovo di Bressanone Karl Golser che in questi temi è un’autorità: “Secondo me c’erano tutti gli spazi per trovare un anello di congiunzione fra la morale cattolica e la volontà di Welby”. Se non sono stati sfruttati, è perché vi è stato chi ha voluto utilizzare quel caso, con un accanimento politico mai visto, per cercare d’affermare il diritto all’eutanasia.

Chi è d’accordo con Martini, dunque, dovrebbe esserlo anche con Golser. Serve un po’ di autocritica e più cautela quando si tratta di temi quali le dichiarazioni preventive di volontà. Per evitare che si crei una nuova occasione per coloro che hanno l’unico fine di compiere un altro passo verso la pura e semplice eutanasia.