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Il prossimo 29 marzo ricorrerà il novantesimo anniversario della scomparsa di Luigi Luzzatti, uno dei grandi protagonisti della vita politica, economica e sociale italiana e del pensiero giuridico del secondo Ottocento e dei primi due decenni del Novecento. Una figura, quella di Luzzatti, altamente poliedrica che si è espressa in una pluralità di percorsi (fra i quali quello della cooperazione è solo uno dei tanti), costantemente tesa alla ricerca incessante di idee che fossero capaci di trasformarsi in “grandi opere” oltre del “vero per fare il bene”.

È partendo da queste convinzioni che egli difese con decisione il libero mercato, senza però ignorarne le disfunzioni, tra le quali la mancanza di equità, le asimmetrie informative e soprattutto l’incapacità dell’impresa privata di conseguire, in molti, troppi, casi, una dimensione produttiva equilibrata e ottimale. Tali considerazioni lo portarono ad essere fautore di una concezione che potremmo definire umanistica e solidaristica dell’economia, grazie alla quale ritenne legittimo l’intervento sussidiario dello Stato, che giudicava non solo utile ma anche necessario al fine di compensare i limiti dell’iniziativa individuale e, soprattutto, armonizzare gli interessi e le aspirazioni della collettività.

Luzzatti, infatti, avvertiva pienamente il problema delle tensioni sociali e dunque del lavoro, tanto da poter scrivere, in maniera inequivocabile, che “l’amicizia o il dissidio tra il capitale e il lavoro, tra gli intraprenditori e gli operai, è uno dei problemi più gravi e formidabile del secolo nostro … forse non se ne potrebbe additare alcuno che in sé addensi maggiori pericoli e maggiori speranze”. Parole che Luzzatti scrisse nel 1876 e che risultano profetiche ed ancora attuali, soprattutto in un momento come quello attuale nel quale il lavoro risulta spesso precario e il tasso di disoccupazione ha raggiunto valori preoccupanti, in particolare tra i più giovani dove si registrano valori prossimi al 38%.

Proprio l’analisi continua e costante della realtà economica dell’epoca è alla base di quello che è stato il suo più importante contributo alla trasformazione del sistema creditizio italiano. Grande studioso e conoscitore della Germania, Luigi Luzzatti importò nel nostro Paese il modello delle Banche Popolari che Schulze-Delitzsch, con il quale ebbe un intenso e lungo scambio epistolare, aveva fondato oltralpe diversi anni prima. La particolare attenzione per il sistema del Credito Popolare che lo portò a fondare in Italia le prime Banche Popolari.

È questa l’occasione per tornare a parlare di un grande statista, la cui opera, complessivamente valutata, è una sorta di specchio nel quale si riflettono i tratti più caratterizzanti di un’Italia che, nella sua entità di nazione moderna, nasceva allora portando con sé una serie di problemi che ne segneranno la successiva storia in tutto il Novecento. Puntare i riflettori sul pensiero di Luigi Luzzatti, un pensiero che la diffusione della Cooperazione Bancaria, non solo in Europa ma nel mondo, testimonia essere ancora vitale ed efficace, è un patrimonio di tutti coloro che aspirano ad una vera inclusione finanziaria.

Scriveva allora Luzzatti: “Le Banche Popolari rivelarono alla Germania meravigliata che i poveri, gli umili, gli operai potevano aspirare al beneficio del credito al pari dei ricchi, dei potenti e dei padroni; e tradussero in atto l’attitudine di tutti gli uomini al credito e al capitale, poggiandola sull’attitudine universale alle virtù e al lavoro”.

* Segretario Generale Associazione Nazionale fra le Banche Popolari