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Nicola Matteucci era nato a Bologna nel gennaio del 1926. Laureatosi in Giurisprudenza e in Filosofia con Felice Battaglia all’Università di Bologna, si perfezionò (il perfezionamento era allora l’equivalente del dottorato che fu introdotto nell’ordinamento universitario italiano soltanto negli anni 80) all’Istituto italiano di studi storici di Napoli. Lì ebbe come maestri Benedetto Croce e Federico Chabod, e fece conoscenza con alcuni dei giovani studiosi che negli anni immediatamente successivi diventarono, come lui, protagonisti della cultura umanistica italiana.
Tuttavia, diversamente da molti di costoro, ed insieme a Vittorio De Caprariis, Matteucci restò un liberale. Quando, per chi aveva poco coraggio, non era facile, nè di moda, esserlo. Studiò Gramsci ma gli preferì il Costituzionalismo liberale. Ai vari modi in cui si era manifestato ed affermato in Europa e in America dedicò alcune delle sue opere migliori tramite le quali fece conoscere in Italia un esperienza giuridica e politica antica, consolidata ma dinamica: quella della Rule of Law, per molti versi così diversa dalla nostra – impregnata, soprattutto in quegli anni, di positivismo giuridico e tradizionalmente poco attenta al tema dei diritti e delle libertà individuali – da sembrare addirittura nuova.

Nel 1951 era stato tra i fondatori dell’associazione di cultura “Il Mulino”, che nel 1956 ha dato vita all’omonima casa editrice, e più tardi, nel campo più specificamente accademico della rivista “Il pensiero politico “.
A Bologna è stato professore ordinario di Storia delle dottrine politiche e di Filosofia morale, ha ricevuto la Medaglia d’oro come benemerito della cultura nel 1996, e, oltre ad aver diretto le riviste “Il Mulino” e “Filosofia politica” collaborò fin dalla nascita a “il Giornale”.
Oltre che membro di molte ed importanti istituzioni scientifiche e culturali Matteucci è stato Presidente del Comitato scientifico di Società libera, dal quale, nel giugno di quest’anno ha ricevuto il “Premio per la libertà”.
Al suo primo lavoro, dedicato nel 1957 a Jacques Mallete du Pan, hanno fatto seguito opere come Costituzionalismo e Positivismo giuridico, del 1963, Organizzazione del potere e liberta, del 1976, Il Liberalismo in un mondo in trasformazione, la cui prima edizione e del 1972, che hanno aperto orizzonti e lasciato una traccia duratura nella cultura politica italiana e specificatamente, in quella tradizione liberale che Matteucci, in anni in cui non era di moda parlarne, ha investigato in profondità e con originalità sia dedicandosi al compito di annalizzarne e definirne i concetti, sia curando l’edizione italiana di molti dei suoi classici e, in specie, dell’amato Tocqueville.
Di questo partecipe interesse per la filosofia politica liberale, vista anche nelle sue espressioni storiche ed istituzionali, sono frutto anche altri volumi, come Alla ricerca dell’ordine politico, del 1984, filosofi e politici contemporanei del 2001, Lo Stato moderno del 1993, che fanno di Matteucci uno dei principali esponenti della tradizione liberale italiana del dopoguerra, una delle più autorevoli e ascoltate voci dei nostri dibattiti culturali, e un Maestro per tutti coloro che si riconoscono nella tradizione liberale.

Questo era Nicola Matteucci, già ordinario poi professore emerito dell’Università di Bologna, ma lo studioso e uomo Matteucci erano qualcosa di più.
Per parlarne bisogna prendere le mosse dalla constatazione che se un giovane italiano che negli anni 70 voleva sapere qualcosa del liberalismo – e non soltanto perchè sentiva estraneo il marxismo – aveva a disposizione ben poco. Ma quel poco, che corrispondeva poi agli scritti di Matteucci, di De Caprariis e di pochi altri – tra i quali il misterioso Bruno Leoni – alle antologie , alle collane e alle opere da loro curate, era di grande qualità.

Era ineccepibile dal punto di vista scientifico ed anche, come si dice oggi, “formativo”. Fu certamente vero che quel giovane di cui sopra trovava poco di quella cultura economica liberale legata ai nomi di Friedrich A.von Hayek, di Ludwig von Mises, di James Buchanan e di Milton Friedman, e poco anche di quell’ epistemologia liberale legata al nome di Karl Popper, che allora iniziavano a far timido e contrastato capolino nella nostra cultura politica. Ed è anche innegabile che il crocianesimo che aleggiava negli scritti di quei pochi liberali di allora, poteva anche dar fastidio poichè, a torto o a ragione, gli si attribuiva la responsabilità di aver impedito la penetrazione di quei modelli di liberalismo prima ricordati, e di aver in qualche modo favorito, distinguendo il liberalismo dal liberismo, il passaggio di tanti giovani di educazione liberale nelle file dell’azionismo, del socialismo e financo del comunismo.

Ma anche quel giovane “settario” trovava pane per i suoi denti nel Tocqueville, nel Coke, nel Mc Ilvvain e nei pochi altri autori che Matteucci suggeriva a quanti volevano “essere” e non semplicemente “sentirsi” liberali. Si mostrava così quel tratto fondamentale del pensiero politico di Matteucci che consisteva nel muovere da Croce per allargarne la prospettiva con altri e selezionati esponenti del liberalismo del passato, del presente, e con la scienza politica. Ne nacque un modello di liberalismo che aveva ben chiari i propri fondamenti, la propria identità, ma senza richiudersi in una fortezza in cui coltivare il mito di un passato aristocratico e l’ostilità verso un presente volgare.

Ed è ciò che spinse poi Matteucci a confrontarsi, negli anni 90 con Hayek, Popper, Arendt e con altri esponenti del liberalismo contemporaneo fornendoci, e lasciandoci, un esempio concreto di cosa poteva significare essere e sentirsi liberali. Ciò che ben sanno quanti sono stati suoi allievi pur coltivando interessi e orientamenti scientifici diversi.

Nicola – perché cosi volle che lo chiamassi, seguendo una vecchia usanza accademica, dopo che divenni ordinario: e non fu facile sia perché lo avevo conosciuto da ragazzino, alle riunioni del “Il pensiero politico” quando lui era gia “Matteucci” , qualcosa di più di un sia pur autorevole ma semplice professore, sia perché restava quel maestro che qualche volta mi aveva tirato le orecchie – era infatti un liberale nelle idee e nel tratto umano. Elegante e distaccato, autorevole ma non pedante, era diventato un modello. Anche per chi dissentiva dalle sue idee e non soltanto per chi non ne condivideva qualcuna. Un uomo di grande sensibilità ed esperienza col quale si parlava di tutto, di politica, di università e di allievi apprendendo, perché lui la Liberalità l’aveva come dote naturale, cosa vuol dire essere un liberale e come si deve comportare nel mondo. Una lezione che chi ha conosciuto Nicola Matteucci non potrà dimenticare.