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Nel mondo universitario è noto che, tra le organizzazioni sindacali autonome dei docenti, figura, da tanto tempo, l’Uspur, l’Unione sindacale dei professori universitari di ruolo. Se non ci formalizziamo sulla frase di apertura dell’appello “Siamo stanchi di dire e di ascoltare solo dei no: da più di trent’anni l’Università italiana non sa fare altro” (ci teniamo a precisare che noi dell’Uspur abbiamo cercato in tutte le maniere di essere creativi: dire solamente “no” non è nostro costume. Nella passata legislatura abbiamo addirittura presentato un nostro testo di proposte configurabili in un disegno di legge di riforma dell’Università, ivi compresi anche i problemi dell’edilizia e della “Governance”), possiamo tranquillamente affermare che le tante posizioni ufficiali assunte dall’Uspur sono strettamente in linea con la premessa e la presa di posizione enunciate nell’appello.

È fuor di dubbio che noi non possiamo rimanere silenziosi nei confronti di detto documento: correremmo il rischio di essere richiamati e tacciati di poca coerenza e di poca apertura mentale. E’ vero, l’appello non elenca nessun principio riformatore e, pertanto, chiedere di aderirvi è come chiedere di firmare un documento in bianco. Tuttavia una sua lettura più attenta e più meditata ci porta a conclusioni ben diverse. Un appello contenitore di principi avrebbe certamente richiesto un tempo ben maggiore per la sua formulazione ed un nostro coinvolgimento più articolato e più partecipato, anche a differenti livelli. Invece l’invito rivoltoci dai dodici Colleghi, che lo hanno redatto e per primi lo hanno firmato, ha uno scopo ben preciso, quello di ricordarci che dobbiamo essere noi docenti a pretendere che “l’Università non può e non deve perdere il suo senso originario di luogo dove si elabora e si trasmette la cultura”, il tutto all’insegna del merito e della competitività. Per dirla con una frase storica, ogni recriminazione, nei tempi brevi che abbiamo davanti, sarebbe una viltà. E’ tempo di agire e ne sentiamo la necessità.