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La Fondazione Magna Carta ha partecipato alla tavola rotonda “La crise du modèle multiculturaliste en Europe et l’expérience de la Russie” che si è svolta martedi a Parigi presso l’Institut de la Démocratie et de la Coopération (IDC). Pubblichiamo la relazione tenuta da Ubaldo Villani-Lubelli, saggista e ricercatore universitario.

Da più parti si prende atto della fine del multiculturalismo. Recentemente sia Angela Merkel sia David Cameron hanno ricordato come il multiculturalismo abbia sostanzialmente fallito. I due leader europei, seppur in momenti diversi, hanno manifestato l’importanza e la necessità di una reale e profonda integrazione dei giovani immigrati musulmani nelle rispettive società nazionali europee. Tuttavia il fallimento del multiculturalismo è dimostrato, in modo evidente, dal caso olandese, che a lungo e’ stato visto come un modello di riferimento. In Olanda, l’idea che fosse sufficiente concedere la libertà a tutte le etnie e a tutte le religioni in nome del relativismo culturale si è rivelata essere un’utopia. La conseguenza di questa impostazione sono stati gli assassini del leader olandese Pim Fortuyn nel 2002 e del regista Theo van Gogh nel 2004.

Preso atto, dunque, del fallimento dell’esperimento multiculturalista, è indispensabile pensare e riflettere ad un nuovo modello che ne possa rappresentare il superamento. Particolarmente significativo in questo senso è il caso della Germania. Qui il dibattito tedesco sull’Islam e l’integrazione ha avuto, negli ultimi mesi, un’inaspettata e imprevedibile accelerazione. Il protagonista principale è stato Thilo Sarrazin, un uomo dell’establishment politico-finanziario tedesco. Il suo libro (La Germania si autodistrugge) ha scatenato un vero e proprio terremoto politico. Le tesi di Sarrazin sono facilmente riassumibili: l’immigrazione islamica in Germania deve essere bloccata, non solo perchè dal punto di vista economico non abbiamo bisogno degli immigrati musulmani, ma anche perché, a causa della loro scarsa preparazione professionale, abbassano il livello di competitività della società tedesca. Sarrazin riporta una serie di dati per dimostrare come la Germania, nonostante resti ancora oggi tra i paesi più ricchi in Occidente, non occupa più i primi posti della classifica. La migliore università tedesca, la Ludwig-Maximilians-Universität (LMU) di Monaco, è al cinquantacinquesimo posto nella graduatoria internazionale. Considerato che la Germania è un paese che dedica grande attenzione alla formazione scolastica, universitaria, alla difesa della propria lingua nazionale e tradizione culturale potete capire bene quale impatto hanno avuto queste tesi nella società tedesca.

L’economista tedesco ha lanciato un allarme: la Germania sta lentamente perdendo i suoi connotati tradizionali e si sta letteralmente de-germanizzando. Sta perdendo la sua identità socio-culturale della Germania. Se a questo aggiungiamo che le nascite in Germania erano 1.3 milioni negli anni sessanta, 650.000 nel 2009 e, di questo passo, fra novant’anni saranno tra 200 e 250.000, allora, la popolazione tedesca è destinata a diminuire a 25 milioni fra cento anni, a 8 milioni tra duecento e 3 milioni fra trecento. Per Thilo Sarrazin, la Germania sta subendo un processo di graduale e costante rimpicciolimento che la porterà, di fatto, all’estinzione. E’ naturalmente difficile fare una previsione da qui a trecento anni, come fa Sarrazin, e potrebbe anche essere possibile che questo trend descritto da Sarrazin venga, in qualche modo, invertito. Tuttavia il problema che pone l’economista tedesco è che il numero di immigrati (soprattutto di religione musulmana) è in costante aumento e molto spesso hanno oggettive difficoltà ad integrarsi: parlano a stento il tedesco, vivono di sussidi statali (problema grave e molto sentito in Germania) e l’orizzonte culturale di riferimento resta sempre e soltanto quello del proprio gruppo nazionale di provenienza. In compenso sono particolarmente fertili, al contrario di gran parte dei tedeschi (ricordo che la Germania ha l’indice di natalità più basso in Europa). Thilo Sarrazin porta l’esempio del grosso quartiere Neukölln di Berlino, dove su 305.000 abitanti 120.000 sono turchi o arabi (ai quali vanno aggiunti circa 20 o 30.000 di altri immigrati illegali) ed il numero crescerà ancora. Oramai il quartiere viene considerato la più significativa società parallela in Germania, ovvero dove gli immigrati hanno realizzando una sorta di microcosmo all’interno della società tedesca. Non dimentichiamo, tra l’altro, che proprio in questo quartiere alcune scuole hanno dovuto realizzare dei moduli di iscrizione in arabo per la scarsa conoscenza del tedesco da parte degli immigrati.

E’ difficile dire quanto sia apocalittico lo scenario descritto da Sarrazin. E’, però, realistico pensare che la popolazione musulmana possa crescere ancora molto grazie alla combinazione di elevati indici di natalità e continua immigrazione verso la Germania.

Ora, il dibattito in Germania si è articolato anche su altre due questioni. La prima legata alla possibilità dell’Islam di adattarsi alle istituzioni democratiche occidentali. E qui mi riferisco alla libertà di informazione, ai diritti fondamentali dell’uomo ed in particolare ai diritti delle donne. La seconda questione è sicuramente quella maggiormente discussa in Germania e sulla quale ci sono le maggiori divisioni politiche, ovvero se l’Islam sia parte della storia e della cultura tedesche. L’argomento è talmente dibattuto che anche all’interno dello stesso Governo Merkel, le posizioni siano discordanti.

In conclusione vorrei porre alla vostra attenzione tre questioni:

1) L’Europa è terreno di enormi flussi migratori. Ora, ogni generazione ha i suoi compiti assegnati dalla storia. E la nostra ha il compito di dominare i flussi migratori ed i cambiamenti demografici. La novità rispetto al passato è che non abbiamo nessun modello precedente a cui poterci ispirare. Questo è ancor più vero se si pensa che in Europa non si sono ancora stabiliti criteri su come fronteggiare l’immigrazione. Ripensare il rapporto tra identità, integrazione ed immigrazione è diventato estremamente difficile. Molto spesso si oscilla tra il multiculturalismo ed il nazionalismo, tra l’apertura indiscriminata delle frontiere e la chiusura ad oltranza. Le élite culturali e politiche di gran parte dei paesi occidentali non hanno alcuna idea veramente convincente per considerare la migrazione come parte costante della società occidentale. Da una parte c’è un’enorme richiesta di nuove misure di contrasto all’immigrazione, dall’altra, la politica ha spesso difficoltà a trattare in modo organico, senza ideologismi ed in maniera neutra un tema, che negli ultimi mesi è diventato di grande attualità in Europa. Bisogna, dunque, ripensare e ristabilire i parametri nel rapporto tra l’identità nazionale, il fenomeno dell’immigrazione e la necessità di integrare gli immigrati regolari. Per realizzare questo compito le parole d’ordine del passato, multiculturalismo da una parte e nazionalismo dall’altra, non offrono più quel patrimonio concettuale sufficiente a risolvere le questioni odierne. Fermo restando che la nostra società occidentale è inevitabilmente destinata a diventare sempre più eterogenea, variegata e mista, dobbiamo, al contempo, essere ancor più decisi a difendere i nostri principi di democrazia e libertà propri di uno stato di diritto. Il flusso migratorio verso l’Europa è un fenomeno da tenere sotto controllo se vogliamo difendere il nostro stile di vita ed i nostri valori di riferimento. Thilo Sarrazin l’ha detto in modo chiaro: le generazioni future rischiano di vivere in un paese “musulmano”, con donne con il velo e ritmi della giornata scanditi dai muezzin. Sarà anche una visione apocalittica, ma, a mio avviso, è doveroso non sottovalutarla.

2) In Europa l’indice di natalità è basso. La Germania (come anche l’Italia!) è il paese con il tasso di natalità più basso – la metà di quello della Turchia (fonte: Central Intelligence Agency), un paese che aspira ad entrare in Europa.

3) L’ideologia multiculturale degli ultimi decenni ha portato ad una relativizzazione dei valori di riferimento. Si è dato vita ad un relativismo multiculturale che viene troppo spesso erroneamente confuso con il pluralismo culturale. Secondo il relativismo multiculturale non c’è più alcuna differenza tra le culture e le civiltà, si vive un magma indistinto, secondo il quale siamo tutti uguali a prescindere dalla nostra storia e tradizione. In un futuro non lontano, nella nostra società, tenderanno a coesistere sempre di più gruppi di nazionalità e di religioni diverse. E questa è una prospettiva che non possiamo negare, ma è fondamentale cercare di stabilire in che modo la nostra società occidentale ed europea intende confrontarsi con la concreta prospettiva di una società costituita da un insieme di paralleli microcosmi culturali e religiosi. Con quale sistema di valori e con quali idee si proporrà la nostra società davanti al crescente numero di competitors culturali e religiosi? In un futuro melting-pot in quali condizioni ci arriveremo? Semplicemente con i valori, assolutamente indiscutibili, della democrazia, della libertà e dei diritti umani o è forse necessario aggiungere a questi qualcosa di più profondo? Un sistema di valori, uno stile di vita, una propria cultura che possa rappresentare il paradigma di una civiltà alla quale l’immigrato potrà trovare, eventualmente, una nuova identità ed anche cittadinanza?

La questione dell’integrazione non può prescindere dall’identità culturale di una nazione, di una comunità o di una civiltà (ed in questo caso mi riferisco alla civiltà europea). Si tratta, in primo luogo, di tutelare l’esigenza primordiale di qualunque individuo e, più in generale, di qualunque società di riconoscersi in un sistema di valori ed in una tradizione culturale. La nostra società occidentale deve presentarsi davanti al flusso migratorio ed ai cambiamenti demografici, con un chiaro e solido sistema di valori in cui il Cristianesimo non può che svolgere una funzione fondamentale.

Anche qui la discussione sull’integrazione in Germania offre un patrimonio concettuale e linguistico di una certa utilità: Leitkultur, ovvero cultura dominante o cultura guida. Ora, Leitkultur vuol dire, almeno così come la discussione si è sviluppata in Germania negli ultimi anni, riconoscimento dei diritti e dei doveri stabiliti dalla costituzione, un patrimonio comune a tutti ed in cui tutti si possono e si devono riconoscere, un vasto consenso che possa evitare il dissolversi di una società. Chiunque intende vivere in una determinata società deve entrare in sintonia con la cultura che plasma quella società stessa. L’ordine statale non può esserci senza un consenso, intellettuale ed emozionale, dei cittadini. Una Leitkultur deve essere il perno di qualsiasi politica di integrazione. E per cultura dominante bisogna considerare tutte quelle convenzioni tipiche della nostra società che non possono essere realmente comprese senza conoscere l’importanza e la funzione della tradizione cristiana nella storia della nostra civiltà. Non si tratta naturalmente di costringere gli immigrati a recidere le proprie radici, ma di responsabilizzare tutti i cittadini di una comunità al fine di riconoscere una serie di valori di riferimento in cui identificarsi, valori che devono, inoltre, essere considerati come maggiormente rappresentativi della società stessa.

Credo, infine, che la recente sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo sul Crocifisso vada nella direzione qui auspicata. Non si tratta di creare uno Stato confessionale, ma di riconoscere alcuni punti fermi, un sistema di valori minimo di riferimento, in cui il Crocifisso trova un suo spazio in quanto simbolo di inclusione e non di esclusione. La cultura dei diritti dell’uomo non deve mai essere pensata in contrapposizione ai fondamenti religiosi della civiltà, in particolare di una civiltà come quella europea, a cui il Cristianesimo ha dato un contributo essenziale. La sentenza, inoltre, riafferma il principio di sussidiarietà secondo il quale ogni paese europeo deve godere di un margine di discrezionalità sul ruolo da attribuire ai simboli legati alla propria storia e alla propria identità nazionale, restando libero di decidere circa il luogo della loro esposizione. La presenza del Crocifisso non rappresenta una violazione dell’altrui libertà, ma, al contrario, l’identità culturale e religiosa di un paese con una indiscutibile tradizione cristiana.