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Giuseppe de Vergottini, Professore emerito di Diritto costituzionale, Università di Bologna

Seconda giornata di studio organizzata in collaborazione tra la Fondation Charles de Gaulle e la Fondazione Magna Carta

Giovedì 22 settembre 2016

11.15 Seconda tavola rotonda

In mezzo al guado, troppo avanti o non abbastanza? Lo stato attuale del rapporto Stato/periferie

 

Una premessa

Le regioni e gli altri enti territoriali, disciplinati dal Titolo V della Parte seconda della costituzione italiana caratterizzano la forma e la struttura dello stato come stato regionale che riconosce e garantisce le autonomie. La costituzione ha previsto che lo stato fosse unitario ma ad un tempo ha riconosciuto le autonomie territoriali (art. 5). Sulla base di tale scelta, che è inserita fra i principi fondamentali dell’ordinamento, il testo originario dell’art. 114 della costituzione come modificato dalla l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, ha disposto che: «La Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo stato». Il progetto di legge di revisione costituzionale che sarà sottoposto a referendum confermativo ha abolito le province che quindi, ove il testo fosse approvato dal voto popolare, non sarebbero più enti costituzionalmente rilevanti.

Il potere proprio degli enti territoriali è un potere che per quanto ampio è giuridicamente circoscritto e delimitato dalla costituzione e dalla legislazione dello stato. Non è dunque un potere giuridicamente pieno ma sempre circoscritto.

L’ordinamento previsto si comprende in una prospettiva di decentramento di uno stato sorto come unitario ed accentrato. La chiara contrapposizione fra sovranità statale e autonomia territoriale risulta confermata dalla Corte costituzionale che ha drasticamente escluso la presenza in costituzione di elementi che possano far configurare in seno all’ordinamento italiano la presenza di componenti di uno stato federale. E ciò anche se la stessa Corte ha affermato che la sovranità popolare non si esaurisce nel parlamento, ma che anzi «le autonomie territoriali (concorrono) a plasmarne l’essenza».

Le potenzialità insite nel disegno costituzionale si sono via via sviluppate nel tempo attraverso un progressivo forte aumento del ruolo delle regioni e l’affermazione ad opera della giurisprudenza della Corte del principio di leale collaborazione fra stato e regioni. Il ruolo regionale ha avuto un significativo incremento con la riforma introdotta dalla l. cost. 3/2001 mentre appare subire un forte ridimensionamento in seguito alla successiva recente delibera parlamentare di revisione.

Gli enti territoriali nella riforma costituzionale

Schematicamente, gli aspetti che emergono dalla riforma costituzionale in itinere riguardanti gli enti territoriali sembrano essere i seguenti.

Il modificato art. 114 Cost. opera un ripensamento della struttura periferica dello Stato, poiché viene eliminato l’ente Provincia, facendo scomparire dal testo costituzionale la presenza di enti territoriali intermedi fra livello comunale e livello regionale. Tutto questo con possibili eccezioni qualora venga istituita la Città metropolitana, prevista in costituzione.

In realtà la situazione non è semplice in quanto l’eliminazione di una istituzione consolidatasi nel tempo, e ben presente nella coscienza nazionale, quale la provincia, è destinata a mantenere aperto il problema della definizione del regime di enti intermedi.

Si impone quindi una ristrutturazione funzionale e organizzativa interna alle Regioni, con conseguente redistribuzione delle relative funzioni amministrative e del personale che a quelle funzioni era preposto in sede provinciale, e con eventuale definizione di ambiti territoriali ottimali per l’esercizio delle funzioni di area vasta, quali aggregazioni tra Comuni. Riorganizzazione che è stata già in parte operata dal legislatore statale con la legge “Delrio”, legge n. 56 del 2013, e con la legge di stabilità per l’anno 2015.

Per quanto concerne le Regioni, il testo di riforma opererebbe una significativa ricentralizzazione in capo allo Stato di diverse competenze regionali. Verrebbe superato il criterio delle due liste di competenze legislative esclusive statali e concorrenti Stato-Regioni eliminando quella delle competenze legislative fino ad oggi rientranti nella competenza legislativa concorrente Stato-Regioni, che formalmente sparirebbe, ma che verrebbe in parte sostituita da nuove ipotesi di concorrenza, formalizzate nelle “disposizioni generali o comuni” in talune materie che sarebbero pur sempre fissate dalla legge statale.

La forte ricentralizzazione di competenze legislative a favore dello Stato verrebbe bilanciata con la radicale riforma del Senato che diverrebbe la camera di rappresentanza territoriale.

Le regioni, in quanto rappresentate nella camera territoriale e partecipanti al procedimento legislativo, avrebbero così la possibilità di far valere i propri interessi “moderando” gli indirizzi politici del centro.

Secondo la riforma il Senato viene infatti coinvolto nelle dinamiche istituzionali più delicate riguardanti le Regioni. Si pensi alla fase ascendente di normazione dell’Unione europea, al parere per l’attivazione del potere sostitutivo dello Stato ed al parere per il caso di scioglimento sanzionatorio del Consiglio regionale.

È da rilevare che buona parte di queste dinamiche di ricentralizzazione erano già state anticipate dalla giurisprudenza della Corte costituzionale.

La ricentralizzazione della competenza legislativa non può non influire sulla competenza amministrativa e su quella finanziaria, di entrata e di spesa, con riguardo alle quali continua ad operare, anche se non più formalizzato, un criterio di parallelismo delle funzioni.

La detta ricentralizzazione si affianca però alla individuazione di materie di competenza esclusiva regionale, accanto alla competenza residuale, per far sì, evidentemente che, anche qualora dovessero registrarsi ulteriori dinamiche accentratrici nella giurisprudenza costituzionale, queste non dovrebbero quanto meno incidere sulle materie di competenza regionale espressamente enucleate.

Uno dei passaggi più vistosi della riforma è offerto dalla possibilità ora prevista per il legislatore statale di attivare una supremacy clause, tramite la quale attrarre alla competenza statale materie che la costituzione prevede come regionali. Questo sarebbe possibile ove fosse individuata la esistenza di presupposti sostanziali, quali la tutela della unità giuridica ed economica della Repubblica e la tutela dell’interessa nazionale. L’attivazione richiederebbe un procedimento legislativo che richiede maggioranze aggravate.

L’attivazione ora possibile di questa clausola si aggiunge al già previsto potere sostitutivo che lo Stato è abilitato a esercitare in caso di inerzia regionale.

Questa ricentralizzazione potrebbe produrre ulteriori effetti sulla competenza amministrativa, poiché inevitabilmente, a fronte dell’aumento delle competenze legislative statali, dovrebbero aumentare le ipotesi di delega da parte statale alle Regioni della competenza amministrativa, per consentire in quelle molteplici materie l’attuazione e integrazione delle discipline a livello regionale.

Nessuna incidenza avrebbe la riforma costituzionale sul regime delle autonomie speciali riguardanti cinque Regioni. Qui dovrebbero in futuro intervenire apposite leggi costituzionali di riforma dei rispettivi statuti di autonomia. Di conseguenza il già

sensibile dislivello fra l’insieme dei poteri delle regioni ordinarie rispetto a quelle speciali risulterebbe di molto aggravato. Il risultato è apparentemente paradossale in quanto da tempo si è posto in discussione il riconoscimento di regimi privilegiati alle regioni speciali. Oggi tali regimi non solo non vengono ridotti ma risulterebbero addirittura più rilevanti se comparati a quello delle regioni ordinarie.