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Sembra crederci veramente Mariastella Gelmini alla possibilità di tenere fuori dallo scontro politico la riforma della scuola e dell’università, cercando sui temi che riguardano una parte importante del futuro dell’Italia il dialogo con l’opposizione. Continua a crederci anche dopo aver incontrato lo zoccolo duro dei resistenti al cambiamento: Crui, Cun, sindacati. E lo ha dimostrato anche ieri in un incontro a porte chiuse organizzato dalla Fondazione Magna Carta con i rappresentanti del mondo accademico, quelli che l’università e la scuola le vivono quotidianamente, ne conoscono i meccanismi, i problemi, le esigenze e non aspettavano altro che questo incontro col ministro per porre questioni su cui confrontarsi e fare richieste di un concreto cambiamento.

C’erano un po’ tutti: di destra, di centro e di sinistra. Rettori, politici e professori universitari: tutti  gli esponenti dei board di Magna Carta che si occupano da anni dei problemi della scuola e dell’università, naturalmente, ma anche chi su questi temi la pensa e l’ha sempre pensata in maniera diversa: Aldo Schiavone, Ernesto Galli della Loggia, Silvano Focardi  e poi, in rappresentanza del mondo politico del centrodestra Gaetano Quagliariello – che oltre ad essere capogruppo vicario dei senatori del PdL e presidente della Fondazione Magna Carta è stato anche uno dei promotori del disegno di legge di riforma universitaria con cui si chiedeva l’abolizione del valore legale del titolo di studio – ma anche Valentina Aprea e Beppe Valditara.

Il ministro non si è sottratto ad un confronto serrato e non ha mancato di chiedere la collaborazione di tutti, per il presente ma soprattutto per il futuro. Lei, nonostante la giovane età e l’accento nordico, ha già capito come vanno le cose nei palazzi della politica. Sa che deve metter mano alla struttura per poter essere messa in grado di fare qualcosa, conosce il senso e l’importanza di scelte impopolari, sa che dovrà andare nelle scuole, far visita alle università per essere credibile. Non teme le critiche e gli attacchi, eppure è anche convinta che affermare un metodo condiviso, che coinvolga il mondo accademico e culturale del paese, sia il primo passo da compiere per fare qualcosa. Non le grandi riforme, un’ambizione che non le appartiene, dice, anche perché ha già capito che non ci sono gli spazi, ma alcune scelte tanto mirate quanto incisive, che rimettano ordine in quel complesso e sgangherato mondo che sono oggi la scuola e l’università italiane.

Si dice convinta che quella resistenza al cambiamento che ha impedito negli anni passati di produrre una svolta decisiva oggi sia minata da un’opinione diffusa: le cose non possono più andare avanti così perché non funzionano da troppo tempo. E anche la richiesta di sacrifici pesanti  fatta da Tremonti nell’ultima manovra deve essere accettata come un’opportunità per il cambiamento e non come l’ennesima mannaia che cala dall’alto indiscriminatamente e punisce le parti più vitali del paese.

Alla scuola, all’università va restituita l’anima perduta. Non si può pensare di continuare a governarla, come accaduto negli ultimi anni, tramite circolari, decreti e provvedimenti. Va restituita dignità e valore al capitale umano. Ma questo si può fare solo attraverso il ripristino dell’ordine e di un sistema di valutazione efficace. Serve più autonomia, più responsabilità e anche la possibilità di liberare risorse per premiare il merito. Quanto agli insegnanti? Devono tornare ad essere educatori e a valutare le qualità dei ragazzi sulla base delle conoscenze ma anche degli stili di vita. Per questo la centralità del voto in condotta e l’ipotesi molto retrò del grembiule per tutti.

“La scuola e l’università devono avere una connotazione pubblica – afferma il ministro di Berlusconi – anche quando i servizi sono erogati da istituzioni non statali. Ce lo dice la Costituzione. Ma non si può pensare che scuola e università siano istituzioni che possano sottrarre ad un’analisi costi benefici o alla valutazione”.

Nessuna impronta ideologica privatistica, dunque, ma se l’organizzazione generale del sistema non funziona, va colmato quel deficit di managerialità di cui ha bisogno qualsiasi struttura sociale.

E poi non teme di pronunciare le parole tabù del discorso vetero-contestatore: autorità e discipina. “La disciplina – sostiene la Gelmini – fa parte dell’educazione. E non c’entra proprio niente il ritorno al passato. Gli studenti hanno bisogno di essere guidati”.

A lei, che non ha ancora compiuto 35 anni e per cui il 68 è solo una data della storia o poco più, gli sproloqui pedagogistici sulla condizione dei giovani non la convincono. Si è accorta che la cifra che più connota la condizione giovanile oggi è la solitudine. Che la parità con gli adulti li ha resi più fragili. Che hanno bisogno di guide e di esempi positivi. Altro che acquiescenza da parte di genitori e insegnanti.

Insomma un ministro molto diverso dai precedenti. Per motivi anagrafici e biografici, innanzi tutto, ma anche per quello che dice. Forse una buona dose di distanza dall’intellighenzia conformista del nostro paese che potrebbe non nuocere alla sua “missione”.

(L’Occidentale)