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Gli ambientalisti sono soliti crogiolarsi nelle tragedie – in effetti, li rendono felici – e il 40° anniversario del “Giorno della Terra” potrebbe aver dato loro l’occasione di provare un po’ di afflizione in più. Motivo: il movimento ha perso il suo tocco magico. I sondaggi d’opinione mostrano non soltanto che il riscaldamento globale rientra sempre meno tra le convinzioni e le preoccupazioni della gente, ma anche che l’ambientalismo in generale sta perdendo consensi. Un cambiamento del quale gli ambientalisti non devono biasimare altri che loro stessi.

Il primo “Earth Day”, nel 1970, fece sensazione. Ne scaturì una generale richiesta di cambiamenti politici e sociali da cui nacque un vasto movimento che, nei dieci anni seguenti, conobbe un successo ineguagliato da qualunque altro fenomeno politico nella storia americana; ne è testimone la raffica di provvedimenti federali in materia ambientale che vennero approvati grazie a larghe maggioranze bipartisan: il Clean Air Act, il Clean Water Act, lo Endangered Species Act (Legge sulle specie in via d’estinzione – ndt), per finire con il Superfund Toxic Cleanup Act del 1980 (legge che regola la dismissione di siti inquinati – ndt). Da allora, però, la sua avanzata si è impantanata: le questioni ambientali diventavano sempre più ideologiche, e dunque sempre più difficili da realizzare attraverso iniziative a livello politico (va però detto che gli ambientalisti continuano ad essere assai influenti nei tribunali e nella burocrazia).

Nel 1990, secondo una serie di sondaggi ABC News/Gallup, il 75% degli americani si definiva ambientalista, e solo il 24% affermava il contrario. I dati sono andati lentamente cambiando nel corso degli ultimi dieci anni. Nel 2008 (l’ultimo anno coperto dal sondaggio) soltanto il 41% di americani si identificava come ambientalista, mentre il 58% diceva di non esserlo. Il rapporto ambientale annuale della Gallup mostra inoltre che, adesso, l’opinione pubblica dà priorità alla crescita economica sulla protezione ambientale con un margine di 53 a 38. Negli ultimi 25 anni, anche durante le recessioni, l’opinione pubblica favoriva l’ambiente sull’economia con una proporzione maggiore di uno a due. Nel 1991, all’inizio di quella recessione, il margine era 71-20 in favore della protezione ambientale. I sondaggi mostrano inoltre un crescente favore per l’energia nucleare e per un’espansione della produzione di petrolio e gas negli Stati Uniti. Non desta sorpresa, quindi, che il 40° anniversario della Giornata della Terra, quest’anno, stia trascorso senza troppi clamori.

Ma come hanno fatto, gli ambientalisti, a disperdere quella vasta riserva di favore popolare? Uno sguardo ravvicinato al primissimo Earth Day del 1970 rivela una serie di paradossi sul moderno ambientalismo che sono stati dimenticati praticamente da tutti, in special modo dagli ambientalisti stessi. Sebbene l’ecologia, come allora la si chiamava, fosse un tema scontato per il tradizionale riformismo liberal, era comunque un valore da difendere anche per i conservatori e i Repubblicani, per il semplice fatto che nessuno può essere favorevole all’inquinamento. Anche le malvagie corporazioni sono sufficientemente responsabili da non voler contaminare la platea dei propri potenziali clienti. L’ambientalismo, nel 1970, appariva come un argomento di vasto consenso, perfetto per sostituire nel dibattito pubblico le sempre più spinose questioni di politica sociale.

Non solo Richard Nixon creò la Environmental Protection Agency con un decreto presidenziale (nel 1970, Nixon propose 36 differenti leggi ambientali), ma si mise in gara con il senatore democratico Ed Muskie per vedere chi fosse il più deciso nel ridurre l’inquinamento atmosferico. In California, l’allora governatore Ronald Reagan dedicò un buon terzo del suo discorso sullo stato della nazione ai problemi ambientali, affermando “l’assoluta necessità di combattere una guerra totale contro il degrado dell’ambiente”. Reagan scrisse su Nation’s Business che “il grande tema che più probabilmente dominerà l’attenzione politica della nazione negli anni Settanta [è] la protezione ambientale… La mentalità da bulldozer del passato è un lusso che non possiamo più permetterci. Le nostre strade e qualunque altro progetto pubblico devono essere pianificati in modo da evitare la distruzione dei nostri paesaggi, e da evitare di modificare senza motivo l’equilibrio ecologico”. Dopo il primo Earth Day, la National Review sembrava più il Sierra Club che il punto di riferimento dei conservatori. Vi si leggeva: “Se [le industrie] non la smettono [di inquinare] allora dobbiamo trovare il modo di costringerle… Si dovrebbe intervenire presso le persone che contano ancor prima che accadano fatti spiacevoli. Invece di manifestare nella Quinta Strada in nome dei cuccioli di foca, i difensori dell’ambiente otterrebbero risultati assai migliori picchettando i country club delle contee di Nassau, Fairfield e Morris”. La National Review!

Per la verità, c’erano diversi conservatori consci sin dall’inizio di quello che era l’ambientalismo. Le Figlie della Rivoluzione americana si espressero involontariamente a favore dell’inquinamento con questa, infelice, frase: “Elementi sovversivi mirano a far vivere i bambini americani in un ambiente che per loro è sano”. Il fatto che la data scelta per l’Earth Day – il 22 di aprile – coincidesse con l’anniversario della nascita di Lenin, alimentò le paranoie della destra. Però altri conservatori, tra i quali il senatore Barry Goldwater (un tempo socio del Sierra Club) e il senatore James Buckley (tra i promotori più entusiasti dell’Endangered Species Act) si unirono al carrozzone ambientalista. Nel frattempo, i più radicali elementi della sinistra erano, nella migliore delle ipotesi, ambigui sull’Earth Day; alcuni, anzi, vi si opponevano apertamente. Come ha osservato Norman Podhoretz su Commentary, a sinistra molti pensavano che “tutta la faccenda dell’ambiente rappresenta una manovra per distrarre l’attenzione del paese dal Vietnam e dal problema dell’uguaglianza razziale”. I “teach-ins” nelle università durante l’Earth Day erano visti con allarme dal movimento contro la guerra. “I nuclei di SDS presenti in molti campus – scriveva il Time – hanno scelto apertamente una posizione anti-ecologica, perché il presidente Nixon si è dichiarato pubblicamente pro-ecologia” (SDS: Students for Democracy, organizzazione studentesca di sinistra degli anni ’60 – ndt).

“Ciò che ruota attorno ai manifesti dell’ecologismo è il più grande assortimento di alleati incompatibili che si sia visto dalle Crociate” commentava il New Republic in un editoriale che prendeva di mira la “follia ecologista”. “La cosa peggiore – proseguiva l’articolo – è che le sbornia ecologista offre una scappatoia per un Presidente e un popolo troppo scadenti, o troppo vigliacchi, o troppo stanchi e frustrati, o troppo tutte queste cose per affrontare con decisione alcune vecchie questioni che si sono rivelate spinose, ed emotivamente scomode”. Scrivendo su Science Magazine, Amitai Etzioni della Columbia University derubricò l’ecologia a semplice “capriccio”, sostenendo che “i pericoli ambientali segnalati recentemente sono stati grandemente esagerati”. E anche se così non era, Etzioni riteneva comunque che dare il primo posto all’ambiente fosse sbagliato: “Combattere la fame, la malnutrizione e i topi dovrebbe venire prima della salvaguardia degli animali selvatici, e migliorare le nostre scuole dovrebbe essere più importante che costruire sistemi di smaltimento rifiuti”. Anche i leader dei diritti civili – come ho già scritto sul Weekly Standard – erano dichiaratamente ostili all’Earth Day. Per esempio, Pichard Hatcher, il sindaco nero di Gary (Indiana), affermò: “La preoccupazione della nazione per l’ambiente ha fatto quel che George Wallace non è riuscito a fare: distrarre la nazione dai problemi umani dei cittadini bianchi o neri”.

Naturalmente, il movimento ambientalista da cui scaturì il primo Earth Day aveva come modello il movimento per i diritti civili, che combinava la protesta con proposte di legge, e tentava di penetrare negli ambienti economici e politici. Il movimento ambientalista riuscì in questa imitazione anche troppo bene: in pratica, si incatenò al movimento dei diritti civili, spostandosi troppo a sinistra e non riuscendo a rinnovarsi quando le cose cambiarono. Al di là degli sforzi degli attivisti per i diritti civili, le condizioni razziali di oggi affondano le radici in quel che accadde all’Edmund Pettis Bridge di Selma (episodio del ’65, la polizia sparò su una manifestazione di gente di colore – ndt); al di là degli sforzi degli ambientalisti, il Cuyahoga River (fiume tanto inquinato da essere definito “il fiume che brucia” – ndt) continua a bruciare (persino il presidente Obama ha osservato nel suo videomessaggio per l’Earth Day che il Cuyahoga River è più pulito adesso di quanto lo sia stato in un secolo). La sinistra ha riconosciuto assai presto il potenziale dell’ambientalismo come mezzo per veicolare più ampie ambizioni. “L’ecologia – ha scritto James Ridgeway su New Republic, ribaltando l’iniziale scetticismo di quella rivista sull’argomento – offre alla gente di tendenza liberal quel che essa ha a lungo cercato, una razionale e soprattutto pacifica maniera di atteggiarsi a rifare la società.. [e] sviluppare un più coerente stato centralizzato”.

A un’analisi superficiale, l’evidenza etimologica suggerisce che il conservatorismo dovrebbe propendere per la conservazione. Si può peraltro scorgere una più profonda affinità tra conservatorismo e ambientalismo: da un punto di vista tradizionale, entrambi sono difensori di cause perse. Entrambi, infatti, si oppongono all’imperativo di una civiltà in continuo progresso – si ricordi la celebre dichiarazione di William F. Buckley su quella che dovrebbe essere la missione del moderno conservatorismo: “Mettersi di traverso alla Storia gridando ‘stop’, in un momento in cui quasi nessuno ha voglia di farlo… o avere molta pazienza con quei pochi che lo chiedono”. Potrebbe quasi essere la missione di Greenpeace, o di Earth First (Prima la terra). Tanto il conservatorismo quanto l’ambientalismo sono impotenti di fronte all’avanzata del progresso; per questo, entrambi derivano gran parte del loro immaginario dalla consapevolezza della tragicità della vita.

Ma i conservatori hanno subito preso le distanze dal rivoluzionario catastrofismo che ha cominciato a dominare l’ambientalismo, dalla costosa burocrazia che andava costituendosi a Washington, dalla scarsa considerazione che le leggi ambientali riservano alla proprietà privata. Gli autentici ambientalisti dovrebbero riconoscere il disastro che questi punti rappresentano per la loro causa: si potrà ottenere un “No Child Left Behind Act” solo quando si raggiungerà un compromesso tra destra e sinistra; lo stesso vale per un eventuale “No Species Left Behind Act” (l’Endangered Species Act non si pone obiettivi tanto ambiziosi). Al contrario, gli ambientalisti attualmente portano avanti una sorta di Dottrina Breznev: si oppongono a ogni cambiamento di un sistema che si è specializzato nell’imporre soluzioni che costano miliardi di dollari a problemi che costano miliardi di dollari, e rifiutano ogni ricorso alle analisi costi-benefici, anche se sprecare denaro vuol dire sprecare risorse. Il denaro del settore privato è l’unica risorsa che gli ambientalisti credono inesauribile.

Quarant’anni dopo, troviamo la Environmental Protection Agency che cerca di ricreare l’antica magia dell’originario Earth Day promuovendo “un video concorso sulla giustizia ambientale”! L’EPA cerca cineasti professionisti o amatoriali che riescano a “diffondere la conoscenza del movimento”. Ma se il grande pubblico non conosce i temi ambientalisti adesso, non lo renderà certo più edotto un’altra serie di comunicati pubblici, documentari di Al Gore o libri sulla prossima fine del mondo. Se qualcuno stendesse una lista dei movimenti sociali in via d’estinzione, l’ambientalismo sarebbe tra i primi. Un giorno, forse, una nuova generazione di leader ambientalisti si renderà conto di tutto questo. Fino ad allora, i “verdi” continueranno a sentirsi sempre più “blu” (colore associato al Partito repubblicano – ndt).

Steven F. Hayward è “resident scholar” dell’American Enterprise Institute, nonché autore di Almanac of Environmental Trends, di prossima pubblicazione.

Tratto da The Weekly Standard

Traduzione di Enrico De Simone