06 Marzo 2007  

Anche i democratici vogliono la mano dura con l'Iran

Redazione

 

Deve di certo essere una questione maledettamente complicata quella dell’Iran e dell’energia atomica. Se ne discute su tutti i siti, le radio e i giornali (almeno per quanto riguarda gli Usa e l’Inghilterra, l’ordine non è casuale) più accreditati. Ex-generali, esperti di politica internazionale, ambasciatori e politici ne fanno un problema mondiale. Per gli americani, poi, quello di Ahmadinejad e le sue velleità atomiche è un tema che si riflette sulla politica interna. Come? Si tratta di una vecchia storia. In un articolo intitolato “l’Opzione di Teheran” e pubblicato sul sito “Slate.com”, che di solito non parteggia per i Repubblicani, Shmuel Rosner (corrispondente americano per Ha’aretz) analizza la situazione alla luce della lotta politica che si sta svolgendo negli Usa in vista delle elezioni presidenziali dell’anno prossimo.

Secondo Rosner i Democratici starebbero “usando” la questione iraniana per guadagnare voti a scapito dei Repubblicani. Si tratterebbe perciò di un vecchio gioco politico: trovare un argomento delicato e darlo in pasto all’opinione pubblica allo scopo di mettere in giro dei luoghi comuni che possano poi funzionare in loro favore. Prendete ad esempio le parole che John Kerry rivolse agli intervistatori del Washington Post nel 2004, quando la campagna sulla sicurezza nazionale di Bush stava facendo il giro dell’America e si doveva controbatterla in qualche modo: “(I Repubblicani) non sono stati abbastanza duri in merito…non hanno dimostrato una leadership su di una questione d’importanza primaria, che è la questione dell’armamento atomico.”

Tre anni dopo, la questione iraniana ha assunto un’importanza anche maggiore e una risonanza nel mondo dei media che fa gola a chi ha bisogno di farsi pubblicità. Ma sembra anche un campo minato per i politici democratici che si cimentano nel difficile esercizio della retorica contro l’attuale amministrazione, affermando tutto e il contrario di tutto. In particolare, i “Democrats” conoscono bene l’importanza dei sondaggi e sanno che gli americani sono molto sensibili al tema di un possibile ulteriore conflitto nel Medio Oriente. Solo che, allo stesso tempo, quello dell’Iran è un argomento complicato, che richiede una meticolosità nella conoscenza degli affari interni del paese in questione a loro (sembrerebbe) estranea.

Rosner si pone questa domanda: è consigliabile dialogare direttamente con l’Iran senza porre condizioni? I Democratici sembrano avere la risposta in pugno: secondo il governatore del New Mexico, Bill Richardson, “è il momento di creare alleanze, della partecipazione diretta e di duri negoziati faccia a faccia” anche secondo il suo collega John Edwards “non dialogare direttamente con l’Iran rappresenta un errore madornale” (Richardson ed Edwards sono entrambi potenziali candidati alle prossime elezioni presidenziali). Ecco quindi il fulcro della predica: voi repubblicani vi ostinate a evitare il dialogo, che è l’unica soluzione possibile della questione iraniana. Sottolineare il fatto che tale critica è demagogica non è compito nostro perché superfluo.

L’amministrazione Bush, infatti, attraverso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sta già da tempo dialogando con il leader iraniano Ahmadinejad in merito alle centrali nucleari in funzione in Iran. Forse, infatti, non è nemmeno giusto dire che i Democratici stanno “battendo il ferro finché è caldo” perché in realtà si tratta di seguire quello che dicono i sondaggi; se un domani, ad esempio, si scoprisse che il governo di Teheran sta già da tempo sperimentando testate nucleari (mi si passi la fantasia) e l’opinione pubblica americana si orientasse per una politica più dura, allora cambierebbe anche l’orientamento politico dei democratici e si ritornerebbe alle parole di Kerry: “[I Repubblicani] non sono stati abbastanza duri in merito… non hanno dimostrato una leadership…etc. (vedi sopra). Secondo Rosner, quello che avvantaggia i Democratici nel portare avanti il discorso della partecipazione diretta è lo scarso interesse che il pubblico dimostra per i dettagli. Se non stanno avvenendo trattative, allora significa che l’amministrazione attuale non vuole queste trattative, potrebbe asserire un qualsiasi John Smith (l’equivalente di Mario Rossi in Italia). In realtà è proprio questo il punto, le trattative ci sono eccome e sono lì da molto tempo, solo che il tema della guerra in Iraq ha esaurito l’interesse per la politica estera a lungo, abbastanza da far dimenticare gli ultimi due anni di diplomazia internazionale, che hanno visto l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica agire in coordinazione con l’Onu per tentare di risolvere la questione del nucleare iraniano. Le parole che il Segretario di Stato Usa, Coondoleeza Rice ha pronunciato in merito questa settimana non lasciano spazio a dubbi: “Quello che dobbiamo fare è perseguire l’Iran sulle basi degli standard della comunità internazionale”, in pratica il governo di Teheran dovrebbe : “fermare il processo di arricchimento dell’Uranio e le capacità di rielaborazione.”

Se la politica dell’amministrazione Bush, durante gli ultimi tempi, ha puntato al dialogo nel prossimo mese ci sarà un incontro tra i rappresentanti politici dei governi di Iran e Siria e quelli americani riguardo la situazione in Iraq – quello che si sente dire dai Democratici consiste solamente in una generale esortazione al dialogo, nessuno si è mai spinto più a fondo. Perfino il Senatore Joe Biden, la più autorevole delle voci democratiche in politica estera (guarda caso un altro possibile candidato alla presidenza) si è espresso in tal senso: “Se il Presidente ha intenzione di andare in guerra con l’Iran egli non ha — sottolineo non ha — l’autorità costituzionale per farlo”. Adesso però viene il bello: perché in realtà i super pacifisti che stanno opponendo la politica del Presidente Bush, non hanno mai dichiarato in pubblico che una guerra sarebbe un’opzione impraticabile. Lo stesso John Edwards non è sembrato così riottoso a menar fendenti durante una conferenza tenutasi lo scorso mese in Israele: “Lasciatemi essere sincero: l’Iran non può possedere armi nucleari in nessun caso… Dobbiamo lasciare aperta ogni possibile opzione. Lasciate che mi ripeta: tutte le opzioni devono essere possibili”. Sempre un mese fa anche Hillary Clinton si espresse in maniera praticamente analoga.

Che succederebbe, però, se l’Iran non volesse il dialogo? Quello che in genere succede a fare i conti senza l’oste: un “misunderstanding”, un incomprensione generale. Questo continuo ripetere lo stesso ritornello delle “opzioni possibili” appare come una minaccia e nemmeno tanto velata: “O voi iraniani siete disposti al dialogo o dovremmo farvi capire in altro modo”. In sostanza la politica estera democratica non sembra poi molto distante da quella repubblicana, si fanno le stesse affermazioni, ma le si ricopre di zucchero a velo così che profumino un po’ di pacifismo.

Rosner si chiede anche se i Democratici sarebbero davvero disposti, qualora si presentasse la necessità, a fare la guerra all’Iran, così come farebbe Bush e fa rispondere il più inaspettato dei soggetti politici: lo stesso Barack Obama che pare essere diventato il “pupillo della sinistra democratica”, il quale nel corso di un’intervista al “Chicago Tribune” nel 2004 dichiarò: “Alla luce del fatto che siamo in Iraq, con tutti i problemi in termini di percezione dell’America che sono stati creati, lanciare qualche missile verso l’Iran non mi sembra un comportamento ottimale… D’altro canto la presenza di una Teocrazia Radicale Musulmana in possesso di armi atomiche è anche peggio. Quindi credo che il mio istinto mi suggerisca di evitare che il clero al potere in Iran abbia queste armi.” Il fatto è, come sottolinea giustamente l’estensore dell’articolo, che non stava parlando Dick Cheney.