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Nonostante il fatto che di recente sia stato dimostrato che la questione del riscaldamento globale è una frode, il presidente americano Barack Obama ha fatto sapere che parteciperà comunque al vertice sul clima che si terrà il prossimo dicembre a Copenhagen.

Secondo quanto si legge sul Greenspace blog del “Los Angeles Times”, “un funzionario della Casa Bianca ha confermato che gli Usa si impegneranno in quella sede a ridurre entro il 2020 del 17 per cento – rispetto ai livelli del 2005 – le emissioni dei gas heat-trapping, gli stessi che alcuni scienziati accusano d’essere i responsabili del riscaldamento globale. Si tratta dello stesso obiettivo fissato nel progetto di legge sul clima approvato dalla Camera lo scorso giugno”.

E ancora: “Altri dirigenti della Casa Bianca affermano che la decisione di partecipare all’incontro di Copenhagen è stata presa dopo varie discussioni fruttuose sul tema del clima mantenute tra Obama e i leader cinese e indiano, le due nazioni in via di sviluppo la cui partecipazione è considerata critica per ottenere qualsiasi tipo di sforzo vincente per evitare un catastrofico cambiamento climatico”.

A quanto pare, i funzionari della Casa Bianca non leggono molto. La notizia che il riscaldamento globale è una frode, basata su dati falsificati, forse non è riuscita a passare nelle menti geniali della CNN – che continuano a resistere alla verità – o in quelle dei principali imitatori di Obama, ma fonti più credibili l’hanno diffusa nelle prime pagine dei quotidiani di tutto il mondo.

Certo, il “clima-gate” è una storia che nessuna persona sensata oserebbe mai ignorare. Per di più, questo tema sta crescendo sempre di più a causa degli evidenti legami tra gli scienziati che falsificano i dati, le Nazioni Unite e i governi di molti Paesi che ne sono diventati complici. Giorni fa, il senatore repubblicano dell’Oklahoma James Inhofe ha chiesto alla Commissione sull’Ambiente e Affari Pubblici del Senato di avviare un’indagine sulla questione.

Il Clima-gate sta montando sempre di più, come uno “tsunami della verità” sul punto di travolgere il bersaglio. Nel frattempo, Obama è lì che si abbronza sulla spiaggia, attorniato da una folla di ammiratori. E se un messaggero si mettesse a gridare mentre corre, avvertisse che sta per arrivare un’onda anomala e che bisogna allontanarsi dalla spiaggia, il presidente americano non si muoverebbe da dove si trova, principalmente perché non lo avrebbe neanche ascoltato.

O forse sì? Non riesco a immaginarmi che Obama sia tanto incompetente da un punto di vista politico da permettere che il Clima-gate lo danneggi. Prevedo che, il giorno dopo che si verrà a sapere tutta la verità, ci sarà un qualche funzionario della Casa Bianca che resterà schiacciato dai rottami lasciati dallo tsunami, insieme a John P. Holden (responsabile della politica sulla Scienza e Tecnologia della Casa Bianca) e Steven Chu (segretario americano agli Affari Energetici) , ossia gli zar del riscaldamento globale di Obama.

Mentre il Clima-gate inonda i media più importanti, questi ed altri fautori del riscaldamento globale alla Casa Bianca probabilmente daranno le dimissioni per “dedicare più tempo alla famiglia” o per fondare un nuovo think-tank liberale. A che cosa servono gli zar se non a prendersi il fango in faccia per mettere al riparo “The One”?

A mio parere, Obama finirà per starsene in una cabina sulla spiaggia, fumando una sigaretta e guardando là fuori i cadaveri annegati dei suoi ex consiglieri. Asciutto, calmo e ancora al potere. Dato il profondo stato di trance in cui si trovano i principali media nei confronti del presidente americano, aspettiamoci che ci vorrà più di uno “tsunami della verità” per farlo cadere.

I manipolatori mediatici della Casa Bianca convinceranno i network giornalistici che sono fan di Obama a concentrarsi su questioni diverse, per distogliere l’attenzione dalla reale situazione sul clima – per esempio la guerra in Afghanistan, la nuova influenza o qualsiasi altra cosa con cui riempire le prime pagine – e permettere al presidente Obama di rifugiarsi nella sua nuova “crisi”.

l’Occidentale
27 Novembre 2009

Tratto da American Thinker
Traduzione di Fabrizia B. Maggi