17 Gennaio 2011  

Articoli Tarek Heggy

Redazione

 

Il re e la spada

di Tarek Heggy

 
Mi ha sconvolto sia dal punto di vista emotivo sia da quello intellettuale vedere il re dell’Arabia Saudita presentarsi al Papa con una spada in occasione della sua visita in Vaticano. Proprio nel momento in cui è terribilmente necessario allontanare il nome dell’islam e l’immagine dei musulmani dalle connotazioni violente e dal simbolismo della spada. L’infelice scelta del regalo del monarca saudita mi ha sollecitato a mettermi a tavolino e scrivere il discorso che a mio parere avrebbe dovuto rivolgere al Papa se solo i suoi consiglieri fossero stati familiari con la mentalità e la cultura occidentali.
“Sua Santità, Vostre Eminenze, in nome dell’Arabia Saudita che sono onorato di rappresentare e in nome dell’islam cui sono onorato di appartenere vi rivolgo saluti di pace. Di fatto, la parola “islam” in arabo è l’anagramma della parola “pace”. Parlo in nome mio e delle persone che rappresento quando propongo di avviare una nuova epoca basata sul rispetto reciproco, un’epoca in cui nessuna parte offende i sentimenti dell’altra ed entrambe si astengono dall’aggressione, sia morale che fisica, sia diretta che indiretta. Chiedo a Lei e alla parte che rappresento di agire affinché i seguaci di ogni religione, sebbene abbiano il diritto di invitare gli altri alla loro fede, non facciano ricorso alla violenza, alla costrizione o alla spada ma solo alla persuasione e al ragionamento per convincerli dei meriti della fede cui appartengono. Colgo l’occasione per dichiarare che a partire da oggi “jihad” significa solo auto-difesa e resistenza all’aggressione ma mai l’avvio di un conflitto o il tentativo di convertire gli altri alla nostra religione tramite la violenza o la spada. Non c’è nulla di più patetico di una religione che non può conquistare i cuori e le mente delle persone se non con l’uso della spada. Invito altresì tutti a preoccuparsi maggiormente della qualità dei seguaci di ogni religione piuttosto che della loro quantità. A riguardo, molto dobbiamo fare per migliorare la qualità degli adepti della nostra grande religione.
Chiedo a Lei e alla parte che rappresento di astenersi dal ridicolizzare e insultare l’altro, dallo sminuirne il credo oppure i testi sacri. Chiedo a Lei e alla parte che rappresento di avviare una nuova epoca in cui tutti abbiano libertà di credo, libertà di culto e libertà di costruire luoghi di culto ognidove e in qualsiasi momento. Poiché il Profeta dell’islam ha accolto i cristiani di Najran quando andarono a pregare nella sua moschea, oggi nota come la moschea del Profeta nella città santa di Medina, dichiaro innanzi a Lei che inizieremo un nuovo capitolo dei rapporti con i non musulmani in quanto nostri fratelli nell’umanità. Inviterò tutti i musulmani al mondo a considerare termini quali dar al-harb (territorio della guerra), dar al-salam (territorio della pace) e ahl al-dhimma (monoteisti non musulmani) come prodotti di specifiche condizioni storiche ormai passate che non sono più applicabili oggi e ad aspirare a un mondo che non sia diviso in territori di guerra e di pace. Le nostre moschee accoglieranno tutti coloro che varcheranno la loro soglia e la nostra religione è una religione forte che non costringe nessuno a rimanere prigioniero dei suoi precetti.
Sua Santità, ho scelto due regali da porgerLe oggi. Il primo è una palma d’oro che simboleggia la nostra storia e il nostro ambiente, l’altro è un antico manoscritto della Bibbia che risale a molti secoli fa. Ho rifiutato la proposta di regalarLe una spada innanzitutto perché la spada non è uno dei vostri simboli storici, in secondo luogo perché non vogliamo oscurare il futuro dei nostri rapporti con il significato che reca. Il mio paese farà di tutto per assicurare che in futuro gli stranieri nel nostro paese si sentano bene accetti, che godano una calorosa ospitalità e di tolleranza in ogni senso della parola, compresi il diritto di pregare e adorare Dio in chiese o templi secondo la loro religione. La vista di campanili o cupole di templi all’orizzonte non turberà i nostri sentimenti, così come la vista di minareti in Europa, America, Canada e Australia non turba i sentimenti dei non musulmani in quei paesi. Mi impegno innanzi a Lei a fare in modo che la nostra legge non venga in futuro applicata ai seguaci di altre religioni. Iniziamo una nuova epoca in cui si accetti l’altro, un’epoca di tolleranza e “relativismo” per quanto concerne il credo religioso, ovvero in modo che nessuno sulla terra si comporti come se la sua religione sia l’assoluta verità mentre le altre sono totalmente false. Che Dio si occupi di questioni che non ci riguardano e non ci spettano. Chiedo a Lei e coloro che io rappresento di avviare una nuova epoca di tolleranza, accettazione dell’altro e rispetto reciproco in cui tutti la smettano di sminuire la religione altrui.
Vorrei approfittare di questo incontro per proporre l’istituzione di un comitato costituito dai migliori rappresentanti di ogni fede, non solo le tre grandi religioni monoteistiche, ma anche le altre fedi, per rivedere tutti i programmi scolastici nel mondo intero per raggiungere i seguenti obiettivi:
-Eliminare dai programmi qualsiasi materiale offensivo o pregiudizievole nei confronti delle alter religioni;
-Eliminare dai programmi qualsiasi materiale che semini odio religioso e sentimenti di superiorità sulle altre religioni;
-Eliminare dai programmi qualsiasi riferimento che scoraggi la tolleranza e l’accettazione dell’altro per sostituirli con riferimenti che promuovano l’ammirazione verso la diversità e la varietà quali migliori esempi di vita e fonti principali di ricchezza e bellezza.
Sua Santità, le offro la palma d’oro e il manoscritto del Nuovo Testamento che risale alla diffusione della cristianità nella regione di Najran, attualmente un governatorato del Regno dell’Arabia Saudita”.
Questo è il discorso che il re non ha rivolto e che credo avrebbe potuto favorire una nuova epoca di armonia e comprensione tra le diverse fedi.

(Traduzione di Valentina Colombo)
 

Se fossi un copto

di Tarek Heggy

 

Se fossi un copto infrangerei i cieli d’Egitto e del mondo con le mie grida denunciando il clima di oppressione in cui i Copti egiziani vivono oggi.
Se fossi un copto comunicherei al mondo intero le ingiustizie che molti copti hanno subito a partire dal 1952 e hanno impedito loro di occupare ruoli amministrativi e politici che meritano. 
Se fossi un copto griderei con tutto il fiato in gola contro le enormi ingiustizie chef anno sì che io paghi tasse che vengono poi versate dallo Stato a al-Azhar che non ammette i copti in nessuna facoltà.

Se fossi un copto esprimerei tutta la mia rabbia perché devo pagare tasse usate per costruire decine di moschee quando lo Stato egiziano non ha mai pagato una lira per la costruzione di una sola chiesa a partire dal 1952, con l’unica eccezione di una donazione attuata 40 anni fa dal Presidente Nasser per la costruzione della cattedrale di san Marco ad Abbaseya.
Se fossi un copto leverei la voce per l’assenza di un solo copto in molti consigli legislativi nell’Egitto contemporaneo.

Se fossi un copto scriverei un articolo dietro l’altro per descrivere il modo in cui i mezzi di informazione ignorano le mie esigenze e le feste religiose come se la popolazione copta in Egitto non esistesse.
Se fossi un copto farei sapere al mondo intero che la storia copta non è debitamente considerata nei curriculum scolastici egiziani e che lo studio della lingua araba a scuola non consiste più nello studio di testi letterari, poesie, romanzi, drammi e racconti brevi, bensì nello studio della sacra scrittura islamica che viene giustamente insegnata nelle classi con studenti musulmani.

Se fossi un copto avrei mobilitato il mondo intero per fare notare le difficoltà che i copti hanno per ottenere il permesso a costruire una chiesa [con i propri fondi, non con i proventi delle tasse che loro stessi pagano].

Se fossi un copto porterei all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale i commenti oltraggiosi fatti da alcuni scrittori musulmani sui copti, quali il loro convincimento che i copti non devono assumere il governo pubblico, che devono pagare la gizya e che non devono servire nell’esercito. Tradurrei gli scritti oscurantisti quali il testo assurdo del Dr. Mohamed Emara, finanziato da al-Azhar, il cui finanziamento proviene dalle entrate fiscale, comprese quelle pagate dai copti, che sono vilipesi in libri pubblicati a spese dello stato.
Se fossi un copto avvierei una campagna sia interna sia esterna in cui si chiede l’eliminazione della voce “religione” dalla carta d’identità egiziana. Perché mai una persona che vuole a vere a che fare con me deve sapere la mia religione?
 
Se fossi un copto avvierei una campagna contro la burocrazia egiziana che ha consentito alla legge dello statuto personale per non musulmani di restare chiusa in un cassette per quasi un quarto di secolo, facendo sì che i copti la chiamino scherzosamente la legge del disastro personale invece di legge dello statuto personale (in arabo statuto si dice ahwal, ma se la lettera h viene pronunciata gutturalmente il significato diventa disastro).

Se fossi un copto farei sapere al mondo intero che la questione copta in Egitto è solo una delle manifestazioni di una forma mentale che è diffusa in questa regione del mondo e chiamerei l’umanità intera a costringerla a ritornare sui propri passi e abbandonare questo cammino oscuro e pericoloso.

(Traduzione di Valentina Colombo)

 

Se fossi uno sciita in Arabia Saudita

di Tarek Heggy

Se fossi uno sciita in Arabia Saudita colmerei l’Arabia Saudita e il mondo intero di notizie sul clima di oppressione generale che colpisce oggi gli sciiti in Arabia Saudita. Il fatto più disdicevole è accaduto durante la rivolta delle regioni sciite nel 1979, durante la quale sono state uccise decine di persone, arrestate centinaia e quelle zone sono state circondate e isolate per più di quattro mesi consecutivi.
Se fossi uno sciita in Arabia Saudita farei sapere al mondo intero delle ingiustizie che hanno subito molti sciiti sauditi a partire dalla fondazione del Regno nel 1932 e da quando i wahhabiti hanno assunto il potere in Arabia Saudita. Farei sapere che gli sciiti sono stati privati di ogni forma di sovranità nelle loro terre dove viene loro impedito di occupare le posizioni politiche, le posizioni esecutive di alto livello cui hanno diritto per non parlare del fatto che sono del tutto esclusi da qualsiasi incarico a livello ministeriale.
Se fossi uno sciita in Arabia Saudita griderei ad alta voce all’Arabia Saudita e al mondo intero per ricordare che abito nell’area più ricca al mondo, dove si trovano un terzo delle riserve mondiali di petrolio, mentre le città sciite sono le città più trascurate dal Regno. Qui mancano molti servizi primari, qui gli abitanti non possono rivestire alcun incarico importante all’interno delle grandi compagnie petrolifere che si trovano sui loro territori.
Se fossi uno sciita in Arabia Saudita solleverei il mondo intero perché il governo spende milioni di dollari per costruire migliaia di moschee in ogni parte del regno, mentre non ha finanziato nemmeno in parte la costruzione di una sola moschea sciita né di una sola husayniyya dalla fondazione del Regno. Inoltre vieta regolarmente la costruzione delle moschee sciite e delle husayniyya finanziate totalmente da sciiti i quali vengono puniti qualora pratichino i loro rituali religiosi nonostante tutte le risorse petrolifere del paese provengano dai loro territori.
Se fossi uno sciita in Arabia Saudita griderei al mondo intero che dalla fondazione del Regno sino a oggi non è mai stato nominato un ministro sciita e che sino al momento in cui è stato scritto questo articolo agli sciiti è vietato ricoprire qualsiasi incarico al Ministero degli Esteri, nell’esercito, nelle forze armate e nella Guardia nazionale.
Se fossi uno sciita in Arabia Saudita pubblicherei articoli su articoli su come i mezzi di informazione saudite ignorano totalmente le questioni che riguardano me, le mie festività come se gli sciiti in Arabia Saudita non esistessero.
Se fossi uno sciita in Arabia Saudita farei sapere al mondo intero quel che è accaduto veramente nella storia saudita e quel che si insegna nei programmi scolastici sauditi, come viene fomentato l’odio nei confronti degli sciiti e come viene diffuso il rancore nei loro confronti presentandoli nel loro insieme come i nemici della umma islamica.
Se fossi uno sciita in Arabia Saudita mi lamenterei con il mondo intero denunciando le tribolazioni che devono subire gli sciiti per costruire una moschea o una husayniyya. Queste vengono costruite clandestinamente e in totale segretezza, finanziate solo da sciiti che qualora venissero scoperti verrebbero arrestati e le costruzioni distrutte.
Se fossi uno sciita in Arabia Saudita convocherei il mondo intero affinché legga le atrocità pubblicate da alcuni autori e le risposte di alcuni scrittori e uomini membri del Consiglio degli ulema e delle ricerche, da tutti gli shaikh wahhabiti vicini al governo saudita, in cui si legittima lo spargimento di sangue sciita, la denigrazione degli sciiti e l’impossessarsi delle loro ricchezze e dei loro averi.
Se fossi uno sciita in Arabia Saudita condurrei una campagna dentro e fuori il mio paese contro l’abitudine saudita di classificare le persone in base alla scuola religiosa di appartenenza. Perché mai dovrebbe interessare a una persona che ha a che fare con me nella vita di ogni giorno qual è la mia affiliazione religiosa?
Se fossi uno sciita in Arabia Saudita avvierei una campagna pubblicitaria sulla burocrazia saudita che ha trasformato il diritto applicato nei tribunali del paese in uno strumento di oppressione in modo particolare nei confronti degli sciiti. Chiederei che venisse abrogato perché mette a repentaglio e offende i più elementari dei diritti umani.
Se fossi uno sciita in Arabia Saudita cercherei di fare capire al mondo intero che la condizione degli sciiti in Arabia Saudita è una delle tante espressioni di una mentalità oppressiva la cui influenza si è diffusa in tutta questa zona del mondo e che l’umanità intera deve combattere.
 
(Traduzione di Valentina Colombo)
 

L’Islam tra imitazione e ragionamento

di Tarek Heggy

 

Negli anni compresi tra il 1967 e il 1973, mentre mi stavo laureando in Legge e Diritto comparato, ebbi modo di acquisire una conoscenza seppur rudimentale dei fondamenti del diritto islamico. In seguito, quando mi sono trovato a insegnare in università all’estero, ho iniziato ad approfondire l’argomento. Le mie letture mi condussero ben al di là della cerchia ristretta delle quattro scuole giuridiche sunnite per giungere a quelle sciite (la più importante delle quali è quella duodecimana o imamita) e alle quattro principali dottrine dei Kharigiti (la più importante delle quali è quella ibadita che è la scuola dominante in Algeria e nel sultanato dell’Oman), così come ad altre scuole, quali le interpretazioni degli eponimi al-Tabari e al-Laith. Ma le mie letture non si sono fermate lì. Mi sono ritrovato ad esplorare altri mondi connessi al campo del diritto islamico, non da ultimo la dottrina dei mutakallimun , o teologi dialettici, e a indagare a fondo gli insegnamenti filosofici dei mu’taziliti e degli ash’ariti. Sono stato introdotto al mondo dei batiniti da un caro amico, il dottor Mahmud Ismail, i cui scritti sul pensiero dei kharigiti, dei Carmati e di quelle che lui definisce le altre “sette segrete” dell’islam sono state le mie fonti primarie nello studio del diritto islamico.
Nel corso di un viaggio durato più di vent’anni ho sviluppato una profonda avversione nei confronti di coloro che io definisco “gli adoratori della parola” e “i prigionieri della tradizione” e al contempo ho iniziato a nutrire una profonda ammirazione per i sostenitori della ragione, in primo luogo ovviamente Ibn Rushd (Averroè), il cui primato della ragione è stato adottato dall’Europa e rifiutato dal mondo islamico. L’Europa ha acquisito quel che noi ci siamo lasciati sfuggire di mano: voltando le spalle a Averroè abbiamo perso un’occasione storica verso il nostro progresso. Un’attenta lettura di tutti i testi di Ibn Taymiyya e dei suoi discepoli, da Ibn Qayyim al-Jawziyya a Muhammad Ibn Abd al-Wahhab alla fine del XVIII secolo, ha semplicemente acuito la mia avversione nei confronti di questa corrente e la mia ammirazione verso i mu’taziliti che hanno enfatizzato la responsabilità umana nelle questioni religiose e verso i pensatori liberali che hanno scelto la via della ragione abbandonando quella del dogma, quali Ibn Sina (Avicenna), al-Farabi e il loro precursore Ibn Rushd.
Quando metto a confronto le opere di al-Ghazali (Algazel) quali “La vivificazione delle scienze religiose” ( Ihyà ‘ulum al-din ), “Il criterio della conoscenza” ( Mi’yar al-‘ilm ), “Il criterio del lavoro” ( Mi’yar al-amal ), “La salvezza dalla perdizione” ( al-Munqidh min al-dalal ), “L’essenza dell’ortodossia” ( al-Mustasfa min ‘alm al-usul ) e “L’incoerenza dei filosofi” ( Tahafut al-falasifa ), che mancano palesemente di razionalità, con gli scritti di Averroè, nei quali la ragione regna sovrana, rimango esterrefatto al notare che la battaglia tra queste due distinte scuole, iniziata dieci secoli fa, si sia conclusa con una netta vittoria di al-Ghazali e una atroce sconfitta di Averroè. La differenza di approccio dei due pensatori si evidenzia nella scelta dei titoli delle loro opere: all’“L’incoerenza dei filosofi” di al-Ghazali si contrappone “L’incoerenza dell’incoerenza” di Averroè. Sono rimasto altrettanto esterrefatto dall’osservare che gli storici del pensiero islamico hanno occultato il fatto che al-Ghazali fu un instancabile sostenitore di tiranni, mentre Averroè fu una perenne spina nel fianco dei despoti che volevano mantenere i propri sudditi in uno stato di perenne inerzia, garantendo quindi lo status quo e il protrarsi del loro potere. Di fatto una mente attiva è fonte inesauribile di domande e le domande richiedono una presa di coscienza e, come ha affermato un amico illuminato, le domande hanno occhi mentre le risposte sono cieche!
Ho trascorso anni nel tentativo di capire perché i musulmani hanno scelto di seguire la direttiva avviata da Abu Hamid al-Ghazali, fautore dell’ortodossia e della tradizione per il quale conoscenza significava solo conoscenza della religione e che ha cancellato il ruolo della ragione negando sia la possibilità di acquisire la conoscenza attraverso l’intuizione, come invece sosteneva Averroè, che propugnò il primato della ragione e sparse i semi di una rinascita che non abbiamo voluto raccogliere. Perché mai le idee di al-Ghazali sono state accolte senza esitazione mentre quelle di Averroè sono state rifiutate? Credo che la risposta a questo paradosso possa essere riassunta in una parola: dispotismo. In un’epoca in cui il dispotismo nel nostro mondo viveva il suo apice non ci si deve stupire del fatto che i sovrani musulmani si siano trovati in maggiore sintonia con le idee di al-Ghazali piuttosto che con quelle di Averroè. La linea ortodossa si confaceva maggiormente anche ai loro sudditi che, sotto il giogo della tirannia, ritennero più sicuro e meno faticoso allinearsi con le idee di chi richiedeva loro semplicemente di sospendere la loro capacità critica. In Europa, dove le forze dell’illuminismo affrontavano a testa alta il clericalismo che ostacolava ogni iniziativa intellettuale e la razionalità, il dispotismo era in arretramento. Questa è la ragione per cui, nel XIII secolo, un centro prestigioso d’insegnamento quale l’Università di Parigi appoggiò e diffuse le idee dell’arabo-musulmano Averroè a scapito dell’europeo Tommaso d’Aquino, il filosofo scolastico celebre per la sua dottrina delle due spade.
Nel frattempo, il mondo islamico continuava a essere governato da despoti che non lasciavano spazio a chi voleva mettere in questione la loro autorità e da una classe religiosa parimenti autoritaria che criticava l’uso della ragione e chiedeva cieca obbedienza all’autorità della tradizione. Strettamente connessi quanto a metodi, motivazioni e obiettivi, questi due fattori favorirono un’atmosfera ostile al libero uso della ragione. Tuttavia sono necessari alcuni chiarimenti e delucidazioni. E’ vero che i musulmani hanno perso un’opportunità storica di usare le idee di Averroè come trampolino che avrebbe dato loro la possibilità di seguire l’Europa lungo il cammino che l’ha allontanata dal pensiero oscurantista del XIII secolo per condurla al vigoroso clima intellettuale che incoraggia il dibattito, il libero pensiero, le libertà e la creatività nell’arte, nella letteratura e nelle scienze. E’ tuttavia altrettanto vero che i musulmani hanno conosciuto due “islam”, uno che può essere definito come il modello turco-egiziano, l’altro che può essere chiamato il modello beduino. Se del primo non si può affermare che abbia raggiunto il livello di illuminismo, pensiero progressivo e libertà che caratterizza il pensiero di Averroè, ciononostante è stato un islam gentile e tollerante che poteva coesistere con gli altri. Certamente, i non musulmani che vissero nell’Impero ottomano godettero di maggiore protezione rispetto a qualsiasi altra minoranza dell’epoca. Sotto gli Ottomani, i cristiani del Levante e gli ebrei nel mondo arabo vivevano in condizioni molto simili a quelle dei musulmani stessi. Anche quando vennero perseguitati da alcuni sovrani, come al-Hakim bi-Amr Allah, si trattava di una politica più ampia che non distingueva tra musulmani e non. Anche se questo modello di islam non può essere definito laico, ha adottato un approccio illuminato alla religione, trattandola come un sistema di credenze spirituali piuttosto che come un sistema che governava tutti gli aspetti della vita e della società.
Nel frattempo, un modello totalmente diverso di islam stava prendendo forma in seno a comunità geograficamente isolate e quindi lontane dagli sguardi del mondo esterno. Il loro isolamento fornì terreno fertile alle idee di Ibn Taymiyya, Ibn Qayyim al-Jawziyya e, verso la fine del XVIII secolo, a quelle di Muhammad ibn Abd al-Wahhab. Una collisione tra i suddetti due modelli di islam era inevitabile e, nella seconda decade del XIX secolo, si scontrarono sul campo di battaglia. Guidato dal figlio di Muhammad Ali, Tussun, e dall’altro suo figlio Ibrahim, senza dubbio il più brillante dei due, l’esercito egiziano, e con quest’ultimo il modello turco-egiziano dell’islam, ottenne la vittoria.
Purtroppo il vento si apprestava a soffiare in senso contrario e gli anni che seguirono non furono certo favorevoli all’Egitto e alla Turchia. Il crollo dell’Impero ottomano a seguito della Prima guerra mondiale segno la fine dell’ascesa della Turchia, mentre l’influenza dell’Egitto iniziò a diminuire mentre la sua economia e il suo sistema educativo intrapresero la via del declino. Nel frattempo, i sostenitori del modello di islam che chiedeva una stretta adesione all’interpretazione letterale della scrittura e che sbatteva la porta in faccia alla razionalità, si trovarono all’improvviso a controllare un’enorme ricchezza che non aveva precedenti nella storia. Tutto ciò fornì loro un grande vantaggio nei confronti dei loro rivali moderati e consentì loro di estendere la loro influenza anche nelle roccaforti tradizionali del modello turco-egiziano di islam. Qui avviarono una campagna sistematica al fine di cooptare personalità e istituzioni. Il successo di questa campagna trova la sua espressione più elevata nella nascita di movimenti radicali come i talebani, che interpretavano le dottrine religiose sulla base della sola tradizione e imponevano un tipo di islam scolastico e dottrinale che non lasciava spazio alcuno alla ragione. Questo triste risultato si sarebbe potuto evitare qualora la maggioranza dei musulmani avesse appoggiato Averroè oppure se le condizioni non avessero costretto il modello turco-egiziano alla ritirata.
Nelle mie numerose conferenze in Europa e in America, ho cercato di illustrare alle persone quello che io definisco l’islam egiziano che, sino agli anni Quaranta del secolo scorso, costituiva un unicum di tolleranza e flessibilità. Conosciuto per la sua accettazione dell’Altro, non era per nulla patologicamente ossessionato dalla scrittura. Riconosceva la natura divina delle leggi rivelate dal Profeta, ma riconosceva altresì che le regole erano state stabilite in un’epoca diversa, in un luogo diverso, in circostanze diverse. Quindi la natura divina riguardava la religione e non ai mortali che interpretavano le sue regole. Si accettava tacitamente l’esistenza di una dimensione soggettiva riguardante l’interpretazione e che quest’ultima è necessariamente colorata dalla formazione culturale, dalle conoscenze e dalle capacità intellettuale dell’interprete.
Chi in Occidente in generale e negli Stati Uniti in particolare mette in guardia dalla minaccia dell’”islam militante” farebbe bene a porsi qualche domanda importante:
1. Chi ha chiuso i loro occhi per anni a un clima che ha consentito al modello militante di islam di diffondersi liberamente e ha fatto in modo che il modello turco-egiziano, civile e umanistico, dovesse arretrare mentre le condizioni economiche e le istituzioni educative peggioravano, aprendo il varco all’invasione del modello militante? Chi ha fatto finta di non vedere questi sviluppi per trent’anni tanto da arrivare alla situazione attuale?
2. Chi negli anni Cinquanta del secolo scorso e forse anche prima ha inventato il pericoloso gioco che consiste nell’uso dell’islam politico per creare un equilibrio strategico con il socialismo? (Negli anni Settanta, l’Egitto ha tentato la stessa strategia con esito disastroso).
3. L’Occidente ha capito solo ora che non c’è posto per la libertà, la democrazia, i diritti umani, i diritti delle donne o i diritti civili in seno al modello militante di islam? Credeva davvero che questo modello potesse essere un brillante esempio di questi valori umanistici negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta?
4. Perché il dossier della luna di miele tra gli Usa e i mujahidin afghani non è stato aperto? Così come il dossier degli stretti legami tra l’islam politico dell’Iran pre-rivoluzionario e l’Occidente, in modo particolare la Francia? E, prima ancora, quello delle relazioni tra l’islam politico in Egitto e la Gran Bretagna, ai tempi forza occupante, soprattutto durante i due governi di Muhammad Mahmud (1928 e 1938)?
Lo spirito critico, che è l’orgoglio dell’umanità civilizzata, ci impone di rispondere a queste domande. Impone a tutte le parti in questione di assumere le proprie responsabilità rispetto a quanto è accaduto e sta accadendo. Ci impone di analizzare attentamente i due modelli di islam di cui ho parlato in questo articolo e di domandarci qual è quello che più si addice al progresso della civiltà e a vivere in armonia con la nostra epoca, senza abbandonare la nostra specificità culturale. Preferiamo il modello generato dalla scuola dei tradizionalisti, vittime dell’isolamento geografico dietro alte dune di sabbia oppure il modello turco-egiziano moderato, tollerante e liberale? Meglio ancora, non dovremmo forse adottare il modello illuminato di Averroè che ha aiutato la civiltà europea ad uscire dal Medioevo in un’epoca in cui abbiamo scelto di adottare il pensiero dei suoi oppositori, cadendo quindi nel baratro di una cultura che favorisce la superstizione, i miti, l’ignoranza e una becera militanza a scapito dell’istruzione, del lavoro, dello sviluppo e della fratellanza?

(Traduzione di Valentina Colombo)
 

Perché scrivo?

di Tarek Heggy

 

Scrivo da un quarto di secolo per instillare nella mente egiziana che noi siamo, in prima istanza, solo egiziani. La nostra identità è forgiata dalla nostra posizione geografica sulla sponda meridionale del Mediterraneo. Abbiamo legami con musulmani, cristiani, arabi e africani, ma nessuno di costoro può sostituire la nostra unica e sola identità egiziana.
Scrivo per instillare nella mente egiziana il fatto che nonostante il mondo esterno dimostri talvolta ostilità nei nostri confronti e spesso operi per favorire i propri interessi, i nostri problemi, nella loro totalità, hanno origine solo dentro di noi e possono essere risolti solo in seno alla nostra realtà. Solo noi siamo responsabili di quei problemi e del fatto che questi rimangano irrisolti. L’eccessiva fede nella teoria della cospirazione è un’implicita ammissione della nostra impotenza e della supremazia altrui rispetto alla nostra inefficacia.
Scrivo per instillare nella mente egiziana i valori del liberalismo, della democrazia, delle libertà generali e dei diritti umani in quanto sono i raggiungimenti più nobili, più sublimi e civili dell’umanità.
Scrivo per instillare nella mente egiziana i valori della società civile in quanto è il meccanismo più efficace per partecipare alla vita civile.
Scrivo per instillare nella mente egiziana che la percezione negativa delle donne in alcune culture è una disgrazia. Le donne non solo rappresentano la metà della popolazione, ma, fatto ancora più importante, sono le madri che crescono le generazioni future. In quanto tali costituiscono una preziosa porzione della società e la società che non garantisce alle proprie donne pieni diritti in tutti i campi non può sperare di sviluppare al massimo le proprie potenzialità.
Scrivo per instillare nella mente egiziana che la gestione moderna efficace e creativa è l’unico modo per progredire. La triste realtà è che abbiamo una carenza di risorse umane addestrate nelle tecniche della gestione moderna.
Scrivo per instillare nella mente egiziana che la storica decisione di Anwar Sadat di spostare il conflitto arabo-israeliano dal campo di battaglia ai negoziati era l’unico modo di raggiungere un accordo ragionevole per un conflitto che è stato per troppo tempo sfruttato come scusa per ritardare la democrazia e lo sviluppo.
Scrivo per instillare nella mente egiziana che il nostro sistema educativo necessita una rivoluzione copernicana. Nelle condizioni in cui si trova attualmente il sistema produce solo cittadini che sono del tutto incapaci di affrontare le sfide della nostra epoca. Ripetute dichiarazioni in cui si ribadisce che il sistema educativo egiziano è in fase di riforma sono decisamente esagerate, come dimostra il livello dei laureati prodotti da questo sistema.
Scrivo per instillare nella mente egiziana che l’islam egiziano tollerante e pacifico  è stato attaccato su vari fronti. Gli attacchi sono giunti da una trinità costituita dalla fede wahhabita, da un approccio dottrinario alla religione, dall’onnipotenza del petrodollaro che ha fondato un islam fondamentalmente diverso dall’islam delicato praticato in Egitto e che ci ha consentito di coesistere con gli altri per anni.
Scrivo per instillare nella mente egiziana che i copti egiziani non sono cittadini di seconda classe, che hanno diritto a una cittadinanza totale al pari dei cittadini musulmani e che tutti i problemi che stanno affrontando devono essere risolti.
Scrivo per instillare nella mente egiziana che la cultura occidentale ha dei difetti, ma che si tratta di un piolo essenziale nella scala della civiltà umana. Opporsi alla cultura occidentale è come opporsi alla scienza, allo sviluppo e alla civiltà.
Scrivo per instillare nella mente egiziana che dobbiamo frenare la nostra tendenza a indulgere nell’eccessiva autostima e a esaltare il nostro passato. Dobbiamo imparare l’autocritica e accettare le critiche che ci vengono mosse dagli altri. Dobbiamo cercare di infrangere la nostra cultura soggettiva a favore di una cultura più oggettiva. E scrivo per instillare nella mente egiziana che la deificazione degli ufficiali è una delle principali fonti della nostra complicata e problematica realtà … e che la responsabilità risiede in noi stessi in quanto individui.
Scrivo per instillare nella mente egiziana che i nostri mezzi di comunicazione devono essere radicalmente riformati in base alle esigenze della nostra epoca. I cambiamenti necessari non riguardano aspetti formali o il numero dei canali televisivi nazionali, ma nella sostanza del messaggio mediatico. Se l’educazione è lo strumento di riforma a lungo termine, i mezzi di comunicazione sono lo strumento ideale per risvegliare le coscienze a breve termine.
Scrivo per instillare nella mente egiziana (soprattutto nella mente dei giovani) che se si vuole fermamente qualcosa c’è di sicuro un modo per ottenerlo e che, armati di una solida formazione e di determinazione, possono raggiungere qualsiasi obiettivo. Il futuro non esiste in quanto tale, bensì è il prodotto che creiamo oggi.
Questi sono i messaggi che ho cercato di trasmettere nelle centinaia di articoli e nei tredici libri che ho pubblicato nello scorso quarto di secolo. Gli scettici potrebbero considerare la mia voce, come quella di Giovanni Battista, ovvero come una voce che grida nel deserto. Dovrebbero però ricordare che le parole di Giovanni Battista erano molto di più di un grido nel deserto, di fatto erano i primi importanti passi di un cammino nobile e glorioso.

(Traduzione di Valentina Colombo)
  

L’erosione della classe media … e le sue conseguenze

di Tarek Heggy

 

Credevo, mi sono in seguito reso conto, erroneamente, che la mia lettura dei motivi soggiacenti alla diffusione delle idee fondamentaliste islamiche fosse ormai, se non definitiva, quasi. Ritenevo che la situazione potesse essere riassunta come segue:
•  Le interpretazioni dell’islam per milleduecento anni a partire dalla sua nascita erano state caratterizzate dall’esistenza di quella che, considerati gli standard medievali, poteva essere definita una tendenza sunnita moderata, talvolta persino estremamente moderata. Parallele a questa tendenza moderata esistevano diverse scuole, tendenze e interpretazioni che spaziavano da una moderazione relativa a un radicalismo estremo, sia in seno alle principali scuole sunnite (rappresentate da Ibn Taymiyya e Ibn Qayyim al-Gawziyya appartenenti alla corrente hanbalita) sia in seno a sette radicali quali i kharigiti, i Carmati e altre ancora. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, erano le interpretazioni moderate dell’islam che hanno segnato la via nelle società islamiche.
•  Sebbene l’interpretazione moderata dell’islam abbia prevalso per dodici secoli, nell’undicesimo e dodicesimo secolo dell’era cristiana questa tendenza, che poneva l’enfasi sulla ragione, ricevette un colpo mortale quando la classe al potere, unitamente alle orde di religiosi e alla classe colta, si avvicinarono alla scuola del naql , che invitava ad attenersi strettamente alle regole dell’ortodossia e della tradizione. L’influsso di questa scuola fu tale che il suo principale esponente, Abu Hamid al-Ghazali, venne chiamato hujjat al-islam (ovvero “la fonte autorevole dell’islam”). Al contempo vennero messe al rogo le opere del grande filosofo Averroè, grande fautore della ragione. Mentre al-Ghazali sosteneva che solo l’intuizione, non la ragione, era in grado di afferrare la Verità così come ordinava Dio, Averroè, studioso, interprete ed espositore di Aristotele, era convinto proprio del contrario, e affermava il primato della ragione al pari di Aristotele secoli prima. Il colpo inferto all’islam moderato in questo periodo ha preparato il terreno per quella che in futuro sarebbe diventata la diffusione pericolosa delle idee scaturite dagli insegnamenti di Ahmad ibn Hanbal, Ibn taymiyya e Ibn Qayyim al-Gawziyya.
•  A metà del diciottesimo secolo dell’era cristiana, una corrente sino a quel momento marginale ricevette enorme impulso con la creazione di uno stato il cui sistema di governo e la cui giustizia si basavano su un’interpretazione estremamente rigida dell’islam. Questo sistema era nato dall’alleanza siglata nel 1744 tra il sovrano di Dir’iyya, Muhammad ibn Sa’ud, e il suo giudice, Muhammad ibn ‘Abd al-Wahhab, dal cui nome deriva il termine wahhabismo.
•  Negli ultimi due secoli l’islam moderato, che sino a quel momento aveva svolto un ruolo decisivo nello sviluppo della mente islamica, è stato spodestato dalla scuola di pensiero radicale con due modalità: la prima fu l’insediamento di un sistema politico che derivava la propria legittimità da una rigida interpretazione dell’islam; la seconda fu la ricchezza senza precedenti creata da un massiccio afflusso di petrodollari nei forzieri degli estremisti religiosi che non concedono alcuno spazio alla ragione o al pensiero indipendente quando si tratta di interpretare i testi sacri. Contemporaneamente a questo sviluppo, le società che tradizionalmente professavano un islam moderato si trovavano in una condizione di estrema retrocessione su tutti i livelli – politico, economico, cultural ed educativo.
•  Tutto ciò fornisce una panoramica dei cambiamenti del modo con cui i musulmani hanno inteso la loro religione per oltre quattordici secoli e di come nei due ultimi secoli avviano preso piede le interpretazioni rigide e dottrinali come risultato di una combinazione di fattori strategici, politici, economici, etici, culturali, educativi e sociali che si sono andati a sommare all’impatto crescente di una ricchezza inaspettata che non aveva precedenti nella storia.
 
Se collochiamo gli eventi che hanno avuto luogo in Egitto dopo il 23 luglio 1952 in questo contesto l’immagine diventa ancora più drammatica. Credo che l’essenza del sogno politico soggiacente al progetto del 23 luglio sia stata l’espansione della classe media egiziana. Si tratta di una nobile aspirazione, ma come si converrà, non si può dire la stessa cosa riguardo alle misure pratiche prese per tradurre il sogno in realtà. Non c’è dubbio che il regime che giunse al potere in quella data abbia ereditato una classe media egiziana (nelle sue componenti media-bassa, media-media e media-alta) che era vibrante e consistente. Tuttavia costituiva uno strato relativamente sottile sotto il quale la stragrande maggioranza viveva in condizioni molto lontane dal corso della storia. Il grande sogno era quello di espandere la classe media egiziana sia in senso verticale che orizzontale, di aumentarne dimensioni, numeri e livelli. Il sogno si è poi realizzato? La risposta è sì e no. Dal punto di vista quantitativo si è assistito a un’enorme crescita della classe media in tutti i suoi strati. Tuttavia, il tutto è stato raggiunto a scapito della qualità con il deterioramento, per non dire del tracollo, che si è avuto a tutti i livelli, forse ben esemplificato dalla differenza che si ha oggi tra lo standard dell’Università del Cairo e il suo status di istituzione accademica che ha compiuto sessant’anni.
Contro questo stato di arretramento – ovvero gli estremisti che assumono le redini delle questioni islamiche a scapito dei moderati e il rapido declino degli standard educativi e della cultura della classe media egiziana (standard che erano tra i più alti al mondo tra il 1900 e il 1950) – ci troviamo a vivere una nuova realtà priva di una grande classe media che sia in grado di difendere l’islam moderato che ha regnato sovrano in Egitto per quasi 1300 anni.
Uno degli effetti negativi del declino dello standard della classe media è stata la perdita della capacità di servire come modello da seguire, in campo politico, sociale e culturale. La classe media-alta nell’Egitto pre-1952, al pari di altre società, svolgeva due funzioni: da un lato ammirava le classi superiori, compreso il grande contingente straniero che viveva all’epoca in Egitto e cercava di imitarle; dall’altro era a sua volta un modello che le classi inferiori ammiravano e cercavano di imitare.
Si può affermare che l’arte in tutte le sue forme, in modo particolare il cinema e le canzoni, erano uno specchio che rifletteva queste due funzioni. In quanto interessato alle analisi del linguaggio filologiche e psicologiche, ritengo che l’arabo colloquiale in uso oggi in Egitto dimostri lo stato di declino. Sessant’anni fa, la lingua rifletteva l’aspirazione di ogni classe verso l’alto. Oggi questo processo si è capovolto e la lingua degli strati più bassi si sta diffondendo verso quelli più elevati.
Credo che se il regime post 1952 fosse riuscito a realizzare il proprio sogno di estendere la classe media egiziana mantenendo la stessa alta qualità di conoscenze, educazione e culture che possedeva in passato, la scuola dell’estremismo islamico non avrebbe guadagnato tanto terreno. Il suo principale successo è stato quello di conquistare la cultura e la forma mentis egiziane, un successo che le scuole dell’estremismo islamico considerano importante al pari del loro successo a diffondere il loro messaggio al mondo intero.
Ogni religione ha la sua dose di zeloti che predicano idee contrarie al corso del progresso. La storia dell’ebraismo e del cristianesimo è piena di esempi del genere. Ancora oggi esistono proseliti di entrambe le fedi che professano idee estremiste. Tuttavia i loro seguaci sono di numero decisamente inferiore e non rappresentano un serio problema per l’umanità. Nelle società islamiche invece coloro che predicano una versione estremista dell’islam riescono ad attrarre molti seguaci, mentre la loro controparte moderata raggiunge solo un numero limitato di credenti.
Ho sempre attribuito il successo degli estremisti nelle società islamiche a fattori politici, economici e sociali. Tuttavia di recente sono giunto alla conclusione che questa spiegazione è del tutto inadeguata. Forse l’esempio migliore di quel che intendo dire è il Kuwait contemporaneo, una società la cui estrema ricchezza non ha impedito l’ascesa di una corrente islamista rigida e conservatrice, isolata dal corso dell’umanità e della civiltà. Quindi il fenomeno che vede le masse attratte dal messaggio estremista è più complesso e non può essere spiegato solo in termini di povertà, rabbia e frustrazione. La vera spiegazione è l’assenza di una classe media moderna e proiettata verso il futuro con una formazione all’avanguardia che possa quindi difendere i valori del progresso e della modernità. L’esistenza di una siffatta classe è il nucleo essenziale che può agire contro la diffusione delle idee estremiste che non mancano dei mezzi per diffondersi in tutte le città e i continenti, non solo nelle nostre società, ma in Europa, America e nel mondo intero.

(Traduzione di Valentina Colombo)