17 Agosto 2007  

Audizione di Achille Chiappetti

Redazione

 

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle tematiche riguardanti la modifica della parte II della Costituzione, l’audizione di Achille Chiappetti, professore ordinario di diritto pubblico presso la facoltà di scienze politiche dell’Università «La Sapienza» di Roma.
Ringrazio per la sua presenza il professore e gli do senz’altro la parola.

ACHILLE CHIAPPETTI, Professore ordinario di diritto pubblico presso la facoltà di scienze politiche dell’Università «La Sapienza» di Roma. Il progetto di legge oggi all’esame della Camera ha una caratteristica che va immediatamente messa in rilievo; si tratta di un disegno di legge particolarmente complesso in quanto, con disposizioni più o meno importanti, coinvolge tutti gli organi che compongono il circuito politico-istituzionale per il Governo del paese, sia quelli direttamente inerenti alla forma di Governo – e quindi svolgenti indirizzo politico governativo o sostenenti tale indirizzo – sia gli altri organi quali la Corte costituzionale e la magistratura. Si può anche dire, in via generale, che, per alcuni versi, le modifiche introdotte sono tra loro strettamente correlate e, quindi, difficilmente scindibili, il che giustifica per certi aspetti la presentazione di un progetto di tipo unitario, progetto che poi diventa, alla fin fine, una sorta di riforma istituzionale. Possiamo però aggiungere che, se dovessero sorgere difficoltà, potrebbe essere stralciata o, comunque, trattata separatamente la parte concernente il Governo.
In effetti, per quanto concerne il Parlamento, le modifiche previste – con riferimento sia all’organizzazione sia alla funzione legislativa e di ispezione politica – sembrano mirate, quanto meno, a tre ordini di esigenze comuni. L’ammodernamento e l’adeguamento delle istituzioni alle attuali esigenze della democrazia italiana, ormai ampiamente maturata dopo cinquant’anni di vita repubblicana; l’adeguamento alla forma di Stato federalista; infine, l’adeguamento alla forma di Governo di premierato.
Per quanto riguarda il Presidente della Repubblica, pure abbiamo una pluralità di ragioni che giustificano le modifiche. Le principali modifiche sono collegate alla sua elezione ed all’introduzione del federalismo in Italia. Invece, le modifiche concernenti i suoi poteri sono, connesse in parte ad una diversa visione degli effetti della sua posizione neutrale, super partes, di garante della Costituzione, in altra parte, anche se del tutto minoritaria, all’introduzione del sistema del premierato.
Per quanto concerne il Governo – forse conviene trattare prima di tutto questo aspetto – le modifiche, come si è anticipato, hanno una matrice che si potrebbe definire endogena, essendo tutte tese a consolidare e confermare, a livello di Costituzione scritta, la voluta mutazione della forma di Governo, sul tipo del premierato, che si è avuta nella Costituzione vivente.
Per quanto concerne la magistratura, le modifiche previste sono molto limitate e sono il portato – in parte veramente minimale – dell’introduzione del federalismo e dell’intervenuta mutazione dei poteri del Presidente della Repubblica.
Un discorso molto diverso, invece, si deve fare per quanto riguarda le modifiche relative al regionalismo ed al federalismo; le modifiche introdotte, previste dal progetto di legge sono finalizzate ad apportare limitate correzioni ad alcuni dei vizi che inficiano l’affrettata riforma introdotta con la legge costituzionale n. 3 del 2001. Inoltre, vengono introdotti alcuni ampliamenti delle competenze regionali sulla spinta delle proposte di cosiddetta devolution del ministro Bossi, già approvate dal Parlamento in prima lettura.
Per quanto attiene alla Corte costituzionale, la sua composizione viene modificata alla luce dell’introduzione del federalismo e per alcuni aspetti di dettaglio. La funzione di revisione costituzionale subisce anch’essa piccoli correttivi, solo per migliorarne il funzionamento e per tenere conto anche in tale ambito – ma in modo del tutto formale – dell’avvenuta introduzione del federalismo.
Ho voluto fare questo discorso di carattere generale perché mi sembra importante trarre una conclusione di carattere generale a prima vista. Può dirsi che il progetto di legge, pur coinvolgendo in realtà la quasi totalità delle disposizioni della parte seconda della Costituzione, non rivoluzioni in modo drastico l’attuale assetto istituzionale. Da una parte, va detto che numerose disposizioni sono coinvolte soltanto per motivi di correzione formale o per modifiche di dettaglio; dall’altra, va pure osservato come le modifiche più rilevanti – quali le nuove discipline dello scioglimento anticipato, dell’elezione del Presidente del Consiglio, dei poteri del presidente della Repubblica, nonché la nuova disciplina del bicameralismo, con l’introduzione, in particolare, del Senato delle regioni – siano in fondo una risposta, sul piano legislativo, a modifiche già in parte introdotte dal legislatore o già in parte esistenti nella Costituzione vivente del paese. Si tratta, quindi, di riforme in qualche misura maturate nella coscienza civile, anche se va aggiunto che le due principali modifiche – ovvero l’introduzione del Senato federale e la partecipazione dello stesso alle elezioni dei giudici costituzionali – presentano una particolare forza intrinseca. Ciò anche se, ad analizzare bene il sistema come si è evoluto, esse sono una logica conseguenza di quanto già sta avvenendo da tempo in Italia.
Premessa tale valutazione, vorrei fare un discorso di carattere generale, da costituzionalista. Esaminando i vari organi costituzionali coinvolti, mi sembra che, per le ragioni dianzi riferite, si debba anzitutto considerare la parte del progetto di legge concernente la riforma del Governo. Credo sia una opinione abbastanza diffusa; si tratta di una parte della riforma che ha due caratteristiche peculiari: è già di fatto compiuta nella Costituzione vivente; inoltre, l’intervento di revisione costituzionale proposto nel disegno di legge, in fondo, non innova la disciplina in modo particolarmente rilevante ma, semplicemente, cura alcuni dettagli che servono a consolidare e legittimare questo assetto della Costituzione vivente.
In altre parole, esprimo il mio personale convincimento che noi abbiamo già in Italia un sistema che funziona in modo simile al premierato; esso però ha bisogno di fondarsi su una legge elettorale. Al contrario, il principio generale della nostra Costituzione, già osservato nel 1948, è che la Costituzione non si occupi della legge elettorale. Quindi, spetta alla Carta stabilire quegli istituti che servono comunque a garantire la possibilità di sopravvivenza di questa forma di Governo simile al premierato. La chiamo premierato per comodità ma, in realtà, si tratta di una forma di Governo nata in Italia con peculiarità del tutto specifiche (le quali, però, per molti versi, l’avvicinano al premierato inglese). È una forma di Governo che in fondo è stata accolta dal sistema e dal corpo sociale e che, quindi, merita di essere salvaguardata anche a prescindere dal mantenimento della vigente legge elettorale.
Questa accuratezza e questa attenzione a questa esigenza, in particolare, emerge sulle disposizioni sul modo di elezione del Presidente del Consiglio e del Parlamento. La previsione di garantire al candidato che riceve il maggior numero di suffragi di avere una forza parlamentare atta a garantirgli il mantenimento della posizione di Governo per tutta la legislatura risponde proprio a questa logica nel rispetto anche dell’idea che possano essere modificate le leggi elettorali.
D’altronde, non si tratta di una grandissima innovazione, perché già, di fatto, abbiamo avuto in sostanza la designazione quale Presidente del Consiglio nelle scorse legislature del capo delle coalizioni, che erano da intendersi come candidati alla carica di Presidente del Consiglio.
Anche la previsione riguardante la sostituzione del Presidente del Consiglio, per cui non è necessario in ogni caso arrivare allo scioglimento anticipato, e l’introduzione di quella disposizione che prevede che, anche se il Presidente del Consiglio richiede lo scioglimento anticipato, possa essere proposto dal Parlamento e dalla maggioranza parlamentare uscita dalle elezioni di sostituirlo è confermativa di questa visione, secondo me molto più logica e sistematica, del nuovo assetto del premierato. L’innovazione che si è voluta deriva nella Costituzione vivente italiana da una legge elettorale e da quanto essa sia riuscita a modificare l’assetto politico all’interno del Parlamento e l’atteggiamento del corpo elettorale.
La legge elettorale ha fatto nascere questo soggetto quasi nuovo per la nostra esperienza costituzionale: una maggioranza che esce dalle elezioni e che nel corso della legislatura è tenuta presente non solo dal Presidente della Repubblica quando sceglie il Presidente del Consiglio all’inizio della legislatura, ma anche nei casi successivi. Questa è una grande novità ed è un grosso riconoscimento di quanto è stato realizzato oggi nella nostra Costituzione vivente. Tra l’altro, non mi sembra che la vicenda delle recenti elezioni abbia fortemente inciso su questo assetto, perché si tratta di un’elezione strettamente proporzionale senza neanche uno sbarramento di rilievo e, quindi, non si può pensare ad una soluzione alternativa di questo genere. Non credo che oggi sia possibile ripensare ad un sistema proporzionale senza il minimo sbarramento.
Certamente il Presidente del Consiglio nel progetto di riforma ottiene dei notevoli poteri che rispondono anche in Parlamento al suo nuovo ruolo. Lasciamo stare le altre norme, che sono sicuramente apprezzabili, come le modifiche all’articolo 95, in cui si stabilisce che finalmente il Presidente del Consiglio determina la politica e dirige i ministri. D’altronde questa era una logica conseguenza, che forse si poteva individuare già nel precedente sistema, quando, bene o male, la nostra Costituzione prevedeva che il Presidente della Repubblica designasse un Presidente del Consiglio il quale individuava nel Parlamento la sua maggioranza e il suo programma e, a seguito di questo lavoro, indicava i ministri al Presidente della Repubblica.
Quindi, si tratta di un passo molto limitato, specie se si tiene presente l’attuale legge elettorale ed il consolidamento dei poli, nonché il potere di nomina e revoca dei ministri. In particolare, la novità riguarda la revoca, che suppone appunto un sistema consolidato di assetto partitico che forse può porre dei problemi se inserito direttamente nella Costituzione. Infatti, quando prevediamo il potere di revoca dei ministri in capo al Presidente del Consiglio supponiamo una struttura polare, bipolare o partitica molto forte. Potrebbe darsi che in futuro, pur mantenendo la forma di Governo di tipo premierato, il sistema dei partiti italiani renda molto difficile e problematico l’esercizio di questo potere di revoca con possibilità di conflitti. Potrebbe trattarsi di una norma che complica le cose piuttosto che semplificarle.
Vi sono poi alcuni aspetti di dettaglio su questa normativa. Mi chiedo, per esempio, perché non sia più previsto il termine di tre giorni per la votazione della mozione di sfiducia. Le ragioni possono essere tante, ma non è chiaro perché sia stata compiuta questa scelta. Lo stesso vale anche per quanto concerne la fiducia. Nel testo che ho avuto a disposizione non sono riuscito bene a capire l’articolo 94.

MARCO BOATO. L’articolo 94 è interamente sostituito.

ACHILLE CHIAPPETTI, Professore ordinario di diritto pubblico presso la facoltà di scienze politiche dell’Università «La Sapienza» di Roma. Il rapporto di fiducia viene totalmente cambiato, anzi, tramite il sistema delle regioni, si crea un rapporto diretto con l’elettorato e quindi vi è successivamente solo il potere di «sfiduciare», che è collegato eventualmente allo scioglimento.
Mi sembra che nel suo complesso il sistema sia molto razionale. Un altro problema relativo alla forma di Governo riguarda il potere del Presidente del Consiglio di chiedere lo scioglimento anticipato. Sono dell’opinione che le contestazioni che sono state rivolte a quest’innovazione sono un po’ eccessive, perché la lettura della vigente Costituzione consentiva qualsiasi interpretazione. Lo scioglimento anticipato è sempre stato un istituto che la dottrina ha diversamente collocato tra i poteri esclusivi del Presidente della Repubblica, tra i poteri del Presidente del Consiglio dei ministri e tra i poteri di esercizio misto.
È chiaro che questo potere va letto in sede interpretativa a seconda del sistema dei partiti. In un sistema nel quale un partito ha nettamente la maggioranza, come successe durante la vicenda di De Gasperi, tale potere va inteso come un potere d’iniziativa governativa. Nel sistema della prima Repubblica, in cui vi era la pluralità di partiti e nel quale la mancanza di maggioranze precostituite faceva sì che la maggioranza si poteva ricostituire variamente nel corso della legislatura nell’ambito del Parlamento, lo scioglimento anticipato era sì deciso dal Presidente della Repubblica, ma doveva avere almeno come presupposto l’assenso della maggioranza dei partiti. Automaticamente, con questo nuovo sistema elettorale, l’articolo 95 deve essere interpretato nel modo in cui viene formalizzato nella riforma.
Mi riallaccio a questo aspetto per ricordare che questa innovazione costituisce una risposta per chiarire qualcosa che già esiste, per legittimarlo e per formalizzarlo.
Per quanto riguarda il Parlamento, non potrò soffermarmi su tutte le questioni che sono affrontate molto in dettaglio dalla riforma. Vorrei soltanto concentrarmi su un aspetto, quello del modo diverso di intendere il bicameralismo che la proposta contiene. Sembra che il bicameralismo perfetto, che abbiamo avuto in Italia per oltre cinquant’anni con tutti i suoi difetti e le critiche che ha subito, non venga aggredito o modificato alla luce di una visione chiara delle esigenze che stanno a monte del suo superamento, ma nasca prevalentemente dall’idea che si debba introdurre il Senato delle regioni.
Forse una più approfondita considerazione di questo aspetto avrebbe potuto condurre ad una visione complessiva di queste disposizioni per apportare alcune modifiche. Per esempio, non so se sia così giusto il discorso svolto nell’ambito del disegno di legge sulla riduzione del numero dei parlamentari. Non vorrei eleggermi a difensore dei vasti numeri che caratterizzano i nostri due rami del Parlamento. Tuttavia, il problema non è tanto quello del numero, che probabilmente era più giustificato quando esisteva un sistema elettorale proporzionale e quindi occorreva consentire un’effettiva partecipazione ai vari partiti o micropartiti. Certamente la riduzione del numero dei componenti del Parlamento non è il modo per ovviare alle difficoltà e a quegli appesantimenti che sono determinati dal bicameralismo perfetto. Sarebbe molto più logico pensare meno a ridurre i numeri, conoscendo il peso del lavoro del Parlamento, perché ci potrebbe essere qualche problema che non può essere risolto attraverso la riduzione del numero dei senatori a 200 e, in particolare, dei deputati a 400. Sarebbe molto più logico ridurre il lavoro, distribuendo meglio le funzioni tra i due rami del Parlamento e riducendo quelle in cui ambedue i rami devono operare congiuntamente o alternativamente. Parlerò di questo aspetto successivamente nell’ambito della potestà legislativa.
Un altro aspetto che forse meriterebbe di essere affrontato riguarda proprio il criterio di differenziazione. La riforma parte dall’idea di creare un Senato delle regioni adeguato ad un sistema federale; in ogni caso, non credo che l’elencazione dei cittadini che possono far parte del nuovo Senato federale sia adeguata. Infatti, la disposizione di chiusura introdotta all’articolo 4 del disegno di legge attraverso la locuzione «o risiedono nella regione alla data di indizione delle elezioni» annulla il principio della territorialità che si tende a rispettare in varie disposizioni successive. Una soluzione al problema potrebbe essere data dall’individuazione di enti o di istituzioni locali di vario tipo (culturali e scientifiche) operanti nella regione. In ogni caso, non si può mantenere la formula iniziale, bisogna allargare la platea degli eleggibili.
Per quanto riguarda la potestà legislativa mi permetto di suggerire che forse bisognerebbe ridurre al massimo le materie che coinvolgono ambedue i rami del Parlamento. Si potrebbe attribuire ad una Camera rappresentativa la possibilità di prendere decisioni senza la necessità di un doppio passaggio. In secondo luogo, andrebbe reso più complicato – o meno agevole – il potere della seconda Camera di valutare i progetti di legge di competenza della prima Camera.
Come per tutti i testi normativi non viene mai espressa la logica che sottostà alle scelte del legislatore. Quale è, in realtà, il principio portante? Quali interessi rappresenta il Senato? Perché alla Camera sono state attribuite determinate competenze, mentre al Senato ne sono state attribuite altre? Dal contesto complessivo del progetto di legge di riforma costituzionale al nostro esame sembra evincersi la conclusione, gravemente sbagliata, secondo cui la creazione del Senato federale toglierebbe autorità alla Camera; intendo dire che la Camera, presa singolarmente, non avrebbe la valenza costituzionale delle due Camere in precedenza unite. Questa è proprio la negazione del principio del superamento del bicameralismo perfetto, il quale si supera nel momento in cui si ritiene che una Camera sia abilitata ad esercitare da sola la potestà legislativa. Il testo non chiarisce il motivo per cui il Senato – rappresentativo delle realtà territoriali – debba necessariamente occuparsi delle materie di competenza principale della Camera che, in fondo, rappresenta l’unità nazionale.
Sembrerebbe quasi che l’Assemblea più completa sia il Senato – luogo della composizione – all’interno del quale andrebbero risolti i veri problemi. Per quanto riguarda lo scioglimento dei consigli regionali, ad esempio, è il Senato ad esprimere il parere inoltre, l’articolo 127 come modificato dal disegno di legge prevede che qualora il Governo ritenga che una legge regionale pregiudichi l’interesse nazionale della Repubblica, può sottoporre la questione al Senato federale. Secondo me questa logica meriterebbe un maggior approfondimento proprio da parte della Camera dei deputati, la quale dovrebbe riuscire a stabilire cosa in realtà rappresentino questi due rami del Parlamento; infatti, la configurazione proposta risponde ad una logica non sempre facilmente desumibile. Probabilmente, se si riuscisse a correggere questa visione, alla Camera potrebbero essere attribuite in via esclusiva altre materie coperte da riserva di legge. In questo senso, il Senato ha compiuto un buon lavoro perché originariamente tutte le materie coperte da riserva di legge dovevano essere esaminate da entrambi i rami del Parlamento; attualmente, invece, è stata contemplata un’eccezione riguardante le materie coperte da riserva di legge relativa.
Inoltre, per l’approvazione di leggi sui diritti fondamentali potrebbero essere previste maggioranze più qualificate. La nostra Costituzione, ad esempio, già prevede la maggioranza assoluta per l’approvazione di determinate leggi ordinarie.
In conclusione, per quanto riguarda il Parlamento, posso dire che il progetto di legge di revisione costituzionale mi sembra abbastanza meritevole, anche se vi è ancora molto da limare. Per quanto riguarda il Presidente della Repubblica si può portare avanti lo stesso discorso già svolto in riferimento al Presidente del Consiglio dei ministri. In fondo le modifiche introdotte riguardanti le elezioni sono tendenzialmente dirette a rispecchiare l’esigenza dello Stato federale. Certamente il nuovo organo chiamato ad eleggere il Presidente della Repubblica ne rafforza la posizione super partes di neutralità.
Per quanto concerne i poteri del Presidente della Repubblica, l’articolo 87 come modificato del disegno di legge merita di essere esaminato unitamente all’articolo 67 e all’articolo 114. In precedenza ho sentito che il professor Cammelli parlava del cosiddetto principio della cooperazione che sta alla base dell’articolo 114.
Il dettato dell’articolo 114 risulta essere estremamente contraddittorio soprattutto se si analizza il rapporto tra il primo comma e il secondo comma di tale disposizione. Il primo comma afferma che la Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato. A parte i problemi di interpretazione riguardanti il concetto di Repubblica e i rapporti tra quest’ultima e lo Stato, questa previsione prelude ad un federalismo di tipo collaborativo. Tutto ciò però viene immediatamente contraddetto dal comma successivo dell’articolo 114 laddove si afferma che i comuni, le province, le città metropolitane e le regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. Questa confusione si aggrava leggendo l’articolo 67 nella formulazione proposta – meritevole di qualche correzione – laddove si afferma che ogni deputato e ogni senatore rappresenta la Nazione e la Repubblica ed esercita le proprie funzioni senza vincolo di mandato. La Nazione è un concetto non giuridico, mentre la Repubblica è un dato molto preciso; in ogni caso, questa rappresentanza è in contraddizione con il concetto che vede la Repubblica costituita dai comuni e dalle province. Ciò significa che ogni parlamentare rappresenta i comuni, le province, le città metropolitane, eccetera.
Un altro elemento di incertezza derivante da questa visione un po’ problematica dei rapporti tra Stato, Repubblica e autonomie federali è dato dall’articolo 87 che intravede nel Presidente della Repubblica il garante della Costituzione e il rappresentante dell’unità federale della Nazione; egli, inoltre, esercita le funzioni che gli sono espressamente conferite dalla Costituzione ed è il Capo dello Stato. A questo punto mi chiedo di quale Stato sia presidente il Presidente della Repubblica, poiché lo Stato non è che una delle tante entità che costituiscono la Repubblica. Vi è quanto meno un problema di collegamento tra l’articolo 114, l’articolo 87 e l’articolo 67.
Lo scioglimento anticipato da parte del Presidente della Repubblica risponde ad un’interpretazione che poteva già desumersi dal preesistente articolo 95, ma il vero problema è perché non è previsto lo scioglimento del Senato. L’articolo 87 afferma che il Presidente della Repubblica è garante della Costituzione e non vedo che non possano esistere delle esigenze di scioglimento del Senato per gravi e ripetute violazioni della Costituzione. In questo caso ritorna quella visione del Senato che rappresenta un qualcosa di più della Camera, un qualcosa di diverso e, forse, di più completo. Forse si tratta del nuovo Parlamento ed allora bisognava avere il coraggio di pensare ad un Parlamento con un’unica Camera, dove sono rappresentate anche le regioni, perché il discorso si sarebbe semplificato ancora di più.
È stato previsto di non procedere allo scioglimento quando viene proposto un nuovo Premier ed allora si poteva anche esaminare la strada dell’elezione del vice premier. Considerando anche alcuni fatti avvenuti recentemente con riferimento alla vicenda della grazia, un’altra grande innovazione concerne l’indicazione di alcuni poteri che vengono demandati al Presidente della Repubblica senza controfirma. In questo caso non ci sono problemi, si può fare sostanzialmente quello che si vuole, ma occorre soltanto tener presente che più poteri si danno al Presidente della Repubblica maggiore è la sua responsabilità. Quindi, il problema si pone con riferimento all’articolo 90, mentre l’ultimo comma dell’articolo 89, proprio in questa logica contraddittoria, prevede che gli atti adottati dal Presidente della Repubblica senza l’iniziativa e la controfirma del ministro siano attribuiti alla sua responsabilità.
Ripeto, si tratta di una scelta politica, ma in questo modo diamo dell’irresponsabilità una nozione completamente diversa da quella che abbiamo avuto fino ad oggi sulla base della controfirma ministeriale. Invece, senza la controfirma ministeriale la responsabilità sussiste, ma si può dire che non esiste perché il Presidente della Repubblica è responsabile soltanto se arriva agli estremi che portano alla sua responsabilità penale. Tuttavia, si dà al Presidente della Repubblica un ruolo politico che la nostra Costituzione aveva escluso, dalla lettura del nuovo articolo 87 potrebbe desumersi un potere politico costituzionale del Presidente della Repubblica che si rafforza; egli infatti diventa un organo di rilievo politico nel momento stesso in cui è l’arbitro del sistema delle autonomie federali.
Per quanto concerne il federalismo, vorrei contestare una cosa di ciò che è stato fatto in precedenza: bene o male, l’impianto del 2001 viene mantenuto in vita dall’attuale progetto di riforma, in particolare l’articolo 114 e il sistema del riparto delle attribuzioni legislative tra lo Stato e le regioni. Il sistema introdotto dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, a mio avviso, tra i vari difetti, ha quello gravissimo di mantenere la potestà legislativa concorrente. Quest’ultima è un meccanismo di riparto che il nostro costituente ha previsto nel 1948 quando non vi era una visione fortemente autonomistica dello Stato. La potestà legislativa concorrente opera sul principio dell’inferiorità politica delle regioni perché la loro rappresentanza politica non è corrispondente a quella dello Stato e, quindi, le loro scelte debbono essere poste sotto tutela quando svolgono una potestà legislativa.
Quindi, il riparto si svolge in questi termini: la competenza che viene deferita alla regione è giustificata sulla base del principio di sussidiarietà secondo cui certe attribuzioni debbono essere svolte a livello regionale. Le regioni sono soggetti politicamente inferiori e non possono disciplinare pienamente le materie di competenza in base al principio di sussidiarietà; di conseguenza, lo Stato interviene e stabilisce i principi di materia. Quindi, oggi aver mantenuto nella nostra Costituzione la categoria delle materie di competenza ripartita è una contraddizione di termini e, tra l’altro, ha tutti i difetti tipici della legislazione concorrente (complicazioni, corresponsabilità, mancanza di chiarezza, il fatto che lo Stato, anche con l’ausilio della Corte Costituzionale, abbia molto ridotto gli spazi legislativi residui della regione).
La proposta di riforma del Titolo V presentata dal ministro La Loggia, approvata dal Governo ma mai presentata alle Camere, reca il brillantissimo e difficilissimo tentativo, da studiare con estrema attenzione, di eliminare le competenze ripartite. Infatti, siccome le materie sono di competenza statale o regionale, se applicassimo anche nell’articolo 117 il principio di sussidiarietà, potrebbero capitare ambiti tematici in cui una parte della materia è di interesse e di disciplina naturale nazionale statale ed un’altra, invece, merita di essere disciplinata a livello territoriale regionale. Occorre suddividere queste materie e si deve trattare sempre e soltanto di competenze esclusive: da una parte lo Stato per la disciplina della dimensione statale e le restanti alle regioni. Questa logica è palesemente evidenziata dalla differenza tra gli articoli 117 e 118: l’articolo 118 richiama il principio di sussidiarietà e il 117 viola il principio della sussidiarietà in materia legislativa.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Chiappetti per il suo intervento, del quale ci fornirà una relazione scritta. Dichiaro conclusa l’audizione.
Sospendo brevemente la seduta.