17 Agosto 2007  

Audizione di Tommaso Edoardo Frosini

Redazione

 

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle tematiche riguardanti la modifica della parte II della Costituzione, l’audizione di Tommaso Edoardo Frosini, professore straordinario di diritto pubblico comparato presso il dipartimento di scienze giuridiche dell’Università di Sassari.
Do la parola al professor Frosini.

TOMMASO EDOARDO FROSINI, Professore straordinario di diritto pubblico comparato presso il dipartimento di scienze giuridiche dell’Università di Sassari. Innanzitutto ringrazio il presidente della Commissione per questo invito e approfittando della mia presenza faccio dono al presidente e quindi alla Commissione di un recente volume da me curato intitolato Il premierato nei Governi parlamentari che tocca proprio uno dei temi all’ordine del giorno di questa Commissione.
Cercherò di soffermarmi su qualche cosa che forse – a mio avviso – è sfuggita nelle audizioni che finora si sono tenute, cioè su alcuni argomenti che non sono stati ulteriormente sviluppati.
In particolare questo mio intervento sarà dedicato quasi esclusivamente alla forma di Governo, anche in virtù di questa recente pubblicazione nella quale ho affrontato il tema del premierato. Tuttavia, se è vero che da un punto di vista logistico funzionale l’idea di trattare un argomento consente di approfondirlo meglio, la riforma – ci ho riflettuto più volte – non è separabile, non è affrontabile per temi, una sorta di «pacchetto» che va preso così com’è; infatti, avrei difficoltà a vedere un progetto di riforma costituzionale che trattasse solo della forma di Governo e non affrontasse il bicameralismo o viceversa non rivedesse il Titolo V della Costituzione e non mettesse a punto alcune questioni attinenti alle garanzie costituzionali.
Quindi, penso che questo progetto vada esaminato nella sua unitarietà, anche se capisco che, da un punto di vista della convenienza dialettica, è bene puntare su uno specifico aspetto.
Vorrei ricordare alcuni passaggi che ci fanno comprendere meglio il perché e quando si è arrivati all’idea del premierato; altrimenti sembrerebbe che questa sia una scelta avvenuta improvvisamente sulla base di una serie di condizioni politiche che hanno determinato questa scelta piuttosto che altre che erano sul tappeto come il semi-presidenzialismo alla francese e la forma presidenziale.
Si è giunti a questa scelta del premierato attraverso un processo – a mio avviso – sicuramente politico, ma anche e soprattutto istituzionale che nasce dalla legge n. 81 del 1993, che ha prodotto le elezione diretta del sindaco; infatti, questo – a mio avviso – è stato il momento decisivo in cui il sistema istituzionale ha completamente modificato il su andamento. Da quel momento, si è introdotto un metodo sconosciuto alla democrazia italiana, cioè quello di consentire all’elettorato di scegliere, di decidere, di partecipare nel momento del voto e assumersi la responsabilità nell’eleggere il capo dell’esecutivo comunale. Quel momento quel passaggio ha, inevitabilmente, creato tutta una serie di condizioni che oggi noi troviamo tradotte a livello nazionale nella formula del premierato. Quindi – voglio essere un po’ paradossale – non si potrebbe oggi affrontare il tema del premierato se non ci fosse stata l’elezione diretta dei sindaci e poi – non è un caso – l’elezione diretta dei presidenti delle regioni. Si è verificato un passaggio di livelli costituzionali dal comune alla provincia, alla regione e inevitabilmente oggi ci troviamo di fronte all’intera Repubblica, salvo che, naturalmente, un conto è il vertice dell’esecutivo a livello locale eletto direttamente dai cittadini, un altra cosa è il premierato in cui il Primo ministro – attenzione – non è eletto, ma è designato.
È bene che sia così perché il livello nazionale è altra cosa rispetto al livello comunale e regionale, dove il rapporto tra il cittadino e i governanti è molto più stretto e quindi c’è la possibilità di scegliere, di eleggere tenendo conto di una serie di circostanze, attraverso una propria consapevolezza civica.
Nel caso invece del livello nazionale il premierato – a mio avviso – rappresenta il sistema che meglio consente questa valorizzazione del corpo elettorale attraverso un principio cardine della nostra Costituzione quello dell’articolo 1, della sovranità popolare; infatti, l’articolo 1, secondo comma, della nostra Costituzione afferma: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti stabiliti dalla Costituzione». Questa è un articolo fondante dell’intero impianto costituzionale, quello che apre la Costituzione e che, per certi versi, la chiude perché l’ultimo articolo, il 139, recita: «La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale», ovvero rimanda e chiude come un cerchio la Costituzione.
Questo articolo è stato per mezzo secolo quasi inapplicato, nel senso che non è stata data mai la possibilità al corpo elettorale di esercitare quella sua sovranità costituzionalmente riconosciuta, sia pur nei limiti e nei modi che la Costituzione stabilisce; quindi, oggi attraverso il meccanismo del premierato ci troviamo nella possibilità di dare una certa applicazione proprio a quell’articolo della Costituzione che apre il nostro testo costituzionale e che per certi versi è rimasto un po’ ai margini.
Vi è tuttavia un passaggio che, forse, non è stato messo a sufficienza in evidenza che merita invece di essere sottolineato.
Quando si parla di premierato, rileggendo alcuni degli interventi già svolti nelle audizioni precedenti e, naturalmente, in altri avutisi nell’analoga Commissione del Senato che ha intrapreso per prima i lavori su questo tema, approvando in prima battuta il testo, ho l’impressione di trovarmi di fronte ad una sorta di paura, nel senso che vi è come un timore che tale premierato possa per certi versi consentire ad una sola persona di accrescere in maniera smisurata il suo potere ai danni dell’intero Parlamento.
Si è detto e scritto che questo è un sistema che va addirittura contro il parlamentarismo perché esalta una forma pubblicitaria a danno del parlamentarismo, per il quale si vorrebbe, invece, la ricerca di un compromesso, di un pluralismo politico all’interno dell’arena parlamentare.
A mio avviso, le cose non stanno così per un motivo che forse potrà sembrare semplice ma che, invece, considero determinante. Il premierato, così come è disegnato nel testo del progetto di riforma costituzionale, sia pure con qualche aggiustamento che andrebbe senz’altro fatto, è un meccanismo che più che esaltare la figura del Primo ministro è volto ad esaltare, garantire e valorizzare il corpo elettorale.
Riflettiamo su questo punto. Quando si dice che il Primo ministro deve essere unito ad una maggioranza, non ci si preoccupa di garantire la stabilità del Primo ministro ma, piuttosto, di garantire la stabilità della maggioranza attraverso esso.
Inoltre, che cosa vuol dire garantire la stabilità della maggioranza se non garantire l’espressione del voto dato dal corpo elettorale a quella specifica maggioranza?
Più che preoccuparsi degli eventuali poteri in mano all’eventuale Primo ministro si dovrebbe pensare ad altro e anche questa angoscia dello scioglimento, francamente, mi è sembrata più volte un po’ eccessiva. Lo scioglimento, infatti, è un’arma che va a danno del Primo ministro e della sua maggioranza. In altre parole, l’ipotesi che egli possa usare lo scioglimento come una sorta di revolver per sparare contro il Parlamento è mal posta perché, innanzitutto, egli spara contro se stesso perché sciolte le Camere va a casa il Parlamento ma anche il Primo ministro che dovrà ripresentarsi al corpo elettorale e nuovamente ritrovare la fiducia di quest’ultimo.
Inoltre, parto dal presupposto che il corpo elettorale italiano sia democraticamente maturo; lo ha dimostrato più volte, anche nelle tornate referendarie, sapendo scegliere dove votare sì, quando votare no e lo ha dimostrato nel corso di questo periodo, dal 1994 ad oggi, votando alternativamente per i due schieramenti. Il corpo elettorale, insomma, saprà trarre le sue conseguenze nel momento in cui verrà sciolto il Parlamento sulle cause che hanno indotto il Primo ministro a tale atto, se non ad esclusiva tutela della maggioranza voluta dal corpo elettorale per il tramite del voto.
Questo è secondo me un passaggio significativo. Il premierato indubbiamente esalta la figura del Primo ministro; la stessa formula del premierato ci dice che il Primo ministro diventa un soggetto preminente rispetto al Consiglio dei ministri e non è più un primus inter pares, come oggi, in quanto Presidente del Consiglio dei ministri.
Però, se proviamo ad andare oltre questo modello e cerchiamo di trovare le ragioni politiche ed istituzionali che stanno alla base della scelta del premierato, a mio avviso, possiamo trovare la garanzia per il corpo elettorale, nell’ottica a cui facevo cenno all’inizio di quella valorizzazione del principio di sovranità popolare e di partecipazione del corpo elettorale alle scelte non più soltanto parlamentari ma anche di tipo governativo. La maturità del corpo elettorale si esprime oggi nel momento in cui esso è in grado non solo di scegliere i propri rappresentanti parlamentari, cioè la propria rappresentanza politica, ma anche la rappresentanza di Governo.
Quindi il premierato, così come viene ad essere designato nel progetto, a mio avviso, esalta parimenti il voto del corpo elettorale (cosa che mi sembra essere una preoccupazione comune).
Oggi, il problema è proprio quello di evitare i cosiddetti ribaltoni, i trasformismi evitando di tradire la volontà del corpo elettorale. C’è un effettivo riconoscimento della valorizzazione del corpo elettorale quale cardine della forma di Governo, la quale non si gioca più fra legislativo ed esecutivo (non è più un dialogo chiuso fra il Parlamento e il Governo nell’ambito del rapporto fiduciario) poiché in questa dinamica di rapporti si inserisce il corpo elettorale al pari del Governo, al pari del Parlamento.
Quindi, se vediamo lo schema attraverso questa triplicità – corpo elettorale, potere legislativo ed esecutivo – dobbiamo dare a tutti e tre gli elementi la stessa forza e lo stesso significato: ecco perché il premierato tutela anche e soprattutto il voto elettorale attraverso la maggioranza che è stata designata dallo stesso nel momento del voto.
Dunque, rapidamente, vorrei fare riferimento ad alcuni aspetti che riguardano più propriamente il progetto.
Per quanto riguarda il Senato, innanzitutto, c’è effettivamente un problema. Ho visto che anche nel dossier messo brillantemente a punto dall’ufficio studi della Camera è contenuto un mio articolo nel quale provavo ad interpretare il Senato federale come bicchiere mezzo pieno piuttosto che mezzo vuoto, come più volte lo si vuole individuare.
Ci sono, insomma, anche degli aspetti positivi nel senso che, sicuramente, c’è una preoccupazione affinché il Senato non blocchi – in quanto dovrebbe essere la Camera rappresentativa delle autonomie locali, privata del rapporto fiduciario e via dicendo – l’attività di indirizzo politico del Governo, cosa che può avvenire andando a leggere le norme del progetto di revisione costituzionale nella parte relativa al procedimento legislativo. Tuttavia, ci sono dei passi avanti significativi poiché è dai tempi della Costituente che si parla di trasformare il Senato dando ad esso una fisionomia più regionalista (il diritto comparato ce lo insegna perché il bicameralismo perfetto è un’anomalia soltanto italiana, mentre altrove le Camere sono differenziate per funzioni e per rappresentanza). Ora, qui ci troviamo di fronte ad un tentativo ma è ovvio che in quanto tale non può essere compiuto e definito.
Il modello tedesco del Bundestag tanto celebrato significherebbe compiere un’autentica rivoluzione del sistema politico istituzionale odierno e non credo che saremmo disposti ad affrontare una rivoluzione, seppure pacifica, a forza di cambiamenti normativi. Ci troviamo di fronte ad un Senato che, per la prima volta, mostra una sua organizzazione territoriale, attraverso la coincidenza elettorale – seppure sfumata – tra l’elezione dei consigli regionali e quella dei senatori e poi con alcune forme di partecipazione legislativa riferite soltanto alle materie concorrenti. Insomma, siamo di fronte ad un tentativo finalmente di modificare il bicameralismo.
A questo tentativo se ne unisce un altro che ha sempre pesato come una croce su ogni tipo di progetto di riforma (il cosiddetto paradosso delle riforme costituzionali). Qui ci troviamo di fronte finalmente al voto del Senato sul cambiamento del Senato stesso. Sembrava impossibile che il riformatore potesse votare per cambiare l’organo del quale egli fa parte, per un senso di conservatorismo innato nelle persone che siedono in quell’organo. Ci troviamo invece di fronte ad un tentativo di modificare il Senato che è partito proprio da quest’ultimo.
Ci sarebbe altro da dire ma, per ragioni di tempo, rimando al testo che ho consegnato. Sono comunque a vostra disposizione per eventuali osservazioni.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Frosini per la sua interessante illustrazione, scusandomi ancora per i tempi ristretti della seduta odierna. Dichiaro conclusa l’audizione.