Barack Obama e il mondo
Barack Obama è stato eletto su temi di politica interna. Ed è normale che un nuovo Presidente, all’inizio del suo primo mandato, si concentri più sulle questioni interne che su quelle internazionali, e questa tendenza sarà certamente rafforzata dalla necessità di porre mano alla grave crisi economica. Eppure egli potrebbe diventare importantissimo per il futuro della potenza e del ruolo americano nel mondo.
Gli Usa di George W. Bush hanno avuto un gravissimo problema: fortissimi sul piano militare, essi hanno sottovalutato l’importanza degli aspetti politici e psicologici, il cosiddetto “soft power” e questo ha finito per rendere inefficace, e talvolta persino controproducente, la loro strapotenza militare. Il Presidente eletto non è né un grande esperto di politica internazionale (anche se si è scelto un vice-presidente che di esperienza ne ha da vendere), né un grande capo militare, ma potrebbe avere quello che mancava a Bush: l’intelligenza e la capacità di convincere e coinvolgere gli altri nelle scelte americane, di esprimere un sogno, un ideale e allo stesso tempo un’immagine dell’America diversa da quella della forza bruta. Per riprendere una vecchia ed abusata immagine, potrebbe schierare Venere al fianco di Marte e convincere (o quanto meno affascinare) prima ancora di vincere. Se così fosse, l’era americana non sarebbe più prossima alla fine, come alcuni temono ed altri sperano, ma troverebbe nuovo impulso e nuova linfa.
Non sarà facile. Certo il Presidente Obama, per quanto stretto dalle priorità di politica interna, non potrà ignorare i grandi temi internazionali. In parte la stessa priorità alla crisi economica lo costringerà sin da subito (anche prima di entrare realmente in carica) ad esporsi sui grandi temi della “governance” economica internazionale: egli non parteciperà al prossimo G-20, ma è certo che tutti o quasi i partecipanti al Vertice cercheranno di avere contatti diretti o indiretti con lui e con il suo staff. Ma oltre alla crisi economica egli dovrà rapidamente affrontare questioni sostanziali come quelle del futuro della presenza americana in Iraq, della guerra in Afghanistan, dei conflitti in America Latina ed in Africa, della Russia, della Cina e del Medio Oriente.
Alcune cose sono molto probabili, come ad esempio l’avvio di un processo di riduzione della presenza militare in Iraq, altre invece sono del tutto aperte. Il candidato Obama si è dichiarato a favore di un nuovo dialogo senza precondizioni con l’Iran, ad esempio, ma la sua fattibilità dipenderà in larga misura anche dalla posizioni che assumerà Teheran (e potrebbe non essere possibile prima delle future elezioni politiche in Iran, la prossima primavera). Altrettanto incerte (e condizionate dalle posizioni che assumeranno nel frattempo i vari interlocutori) sono le prospettive con la Russia e con la Cina.
In altri casi le cose sono più chiare. Il Presidente Obama (del resto, su questo, in apparente sintonia con il suo rivale McCain) si è detto intenzionato a trattare la questione del degrado ambientale e dei gas serra come una effettiva priorità nazionale americana. Anzi, è probabile che egli intenda usare una politica di importanti incentivi allo sviluppo di nuove tecnologie come uno dei volani per favorire la ripresa economica americana.
In realtà il campo dove maggiori sono le incertezze (e i timori) è quello relativo alla politica commerciale. Non solo Obama si è detto favorevole a rinegoziare parte dell’accordo Nafta, ma è possibile che l’approfondirsi della crisi spinga la maggioranza democratica al Congresso americano verso posizioni protezioniste o revisioniste, in particolare nei confronti dei cosiddetti “Fondi Sovrani”, della Cina e del Giappone. Benché nell’ultimo periodo della sua campagna elettorale Obama abbia molto diluito alcune sue prese di posizione iniziali, e sembri aver dato maggiore spazio all’ala più “liberista” dei suoi consiglieri economici, come ad esempio Lawrence Summers, un’indicazione più precisa potrà venire solo dalla scelta del prossimo Segretario al Tesoro e del responsabile per i negoziati commerciali internazionali.
E l’Europa? A differenza di George W. Bush, Obama ha sempre sottolineato l’importanza del sistema delle alleanze costruito attorno agli Stati Uniti, e di un approccio multilaterale più che unilaterale. Tutte cose che all’Europa vanno benissimo. Tuttavia egli avrà a che fare con una situazione fortemente degradata. Avrà bisogno di un forte apporto europeo, ma dovrà trattare con un’Europa incerta, divisa, e percorsa da ventate euroscettiche, in cui la crisi economica potrebbe alimentare una tendenza al ripiegamento su sé stessa più che una propensione all’assunzione di maggiori responsabilità. Peraltro non è neanche chiaro se il nuovo Presidente, al di là della sua impostazione più aperta e multilaterale, saprà o vorrà realmente giocare la carta europea, sia perché distratto da altre priorità, soprattutto in Asia, sia perché magari mal consigliato dai suoi più stretti collaboratori. Molto importante sarà quindi la scelta del prossimo Segretario di Stato, poiché i possibili candidati potrebbero avere convinzioni molto diverse su questo punto in particolare (tra i nomi che circolano, ad esempio, un possibile Richard Holbrooke sarebbe diverso, e certamente più “ostico”, di un eventuale John Kerry o anche di uno Strobe Talbot).
Il mondo ha atteso, con un’attenzione che non ha precedenti nella storia recente, l’esito delle elezioni americane. Sul nuovo presidente gravano ora enormi responsabilità e l’esito dell’impresa a cui si accinge è tutt’altro che scontato. Ma con il voto di ieri gli americani hanno dato prova di voler aprire una nuova stagione, oltre che nella storia del loro paese, anche nella politica internazionale. Per il mondo è un segnale da tenere nel giusto conto.
(Tratto da Affari Internazionali)
*Presidente dello Istituto Affari Internazionali