22 Giugno 2007  

Breve riflessione sulla vicenda delle intercettazioni telefoniche

Redazione

Nel lontano 1788 Immanuel Kant ha parlato di una differenza destinata a diventare famosa: quella tra “moralità” e “legalità”. Se la nostra azione, scriveva, è conforme alla legge soltanto per ragioni esterne alla coscienza, per esempio, per paura delle conseguenze che possono derivare dalla mancata osservanza della legge medesima, l’azione conterrà “legalità”, ma non “moralità”; e anche se non può essere punita dalla legge scritta, su di essa ricadrà sempre la condanna morale, forse più pesante, soprattutto quando si tratta di azioni pubbliche, di quella penale.
L’argomento kantiano appare del tutto adeguato alla vicenda delle intercettazioni telefoniche, che vede oggi coinvolti alcuni tra i protagonisti della vita politica del nostro paese. Da questi infatti, a dispetto della distinzione tra etica e politica, i cittadini hanno il diritto di pretendere comportamenti moralmente corretti, e non soltanto non perseguibili penalmente. Tuttavia, riflettendo più da vicino su questa vicenda, non ritengo stia in questo il nòcciolo della questione; che non sia questo – che al più coinvolgerebbe sul piano della moralità privata le persone chiamate in causa – il suo aspetto più preoccupante. Il quale risiede invece nella devastazione in corso nel nostro paese del principio della separazione dei poteri, che non sono più soltanto quelli tradizionali, il legislativo, l’esecutivo e il giudiziario. A questi, infatti, si sono aggiunti quelli creati spontaneamente dalla società e dalla cultura occidentali; e a devastare il principio della loro separazione è la politica, la quale ha invaso e assoggettato – dimenticando che è soltanto uno di essi – “tutti” gli ambiti della vita pubblica.
Non voglio qui richiamare l’antica teoria dei “limiti dello Stato”; preferisco ricordare che un noto politologo statunitense contemporaneo, Michael Walzer, ha definito il liberalismo “art of separation”, l’arte, cioè, di riconoscere, e mantenere separate, le strutture etiche che costituiscono la società occidentale moderna: l’economia, la religione, le università, la cultura, l’informazione, che non possono essere in alcun modo subordinate alla politica, né attirare l’”interessato interesse” – mi si passi l’espressione – dei nostri dirigenti politici, né sopportarne le arroganti risposte quando soltanto li si invita a non intervenire dove non hanno autorità per farlo. Non amo le affermazioni conclusive: ma credo che la crisi della politica di cui tanto si parla e che tanto si depreca, soprattutto da parte di coloro che l’hanno favorita, abbia qui le sue prime radici.

da Gazzetta del Sud
18 giugno 2007