Bush in Iraq senza “timbro di gomma”
“Il Senato, nelle vesti del popolo americano, deve essere chiaro con il comandante in capo [Il Presidente] sul fatto che egli non ha più un timbro di gomma per la questione irachena”, con queste parole il leader della maggioranza Harry Reid, Democratico del Nevada, ha aperto la votazione di sabato, preceduta da quella del giorno prima al Congresso, nella quale si dibatteva la stessa questione: l’invio di ulteriori truppe in Iraq e il relativo stanziamento di fondi.
Il Congresso Usa a maggioranza democratica ha approvato, nella giornata di venerdì, un risoluzione non vincolante che si oppone all’invio di ulteriori truppe in Iraq con un margine di 246 voti a 182. Sembrerebbe proprio un veto di tipo “politico” in quanto durante le prossime elezioni, chi si sarà dimostrato contro la guerra godrà certo di vantaggi dal punto di vista della popolarità. Visto che l’elettorato si dimostra stanco (secondo tutti i sondaggi) di sentir parlare del conflitto iracheno, i democratici ed alcuni repubblicani danno al popolo ciò che il popolo vuole e lasciano intendere di non avere intenzione di proseguire la guerra. Alle volte però un leader deve saper prendere decisioni impopolari e non può limitarsi a governare secondo il sentire comune. Come detto, comunque, la risoluzione non è vincolante e il presidente Bush ha già fatto sapere che non intende in alcun modo dare retta al Congresso. Nelle parole del senatore repubblicano dell’Indiana Richard Lugar, che ha parlato alla trasmissione “Face the Nation” (CBS): “Credo che il presidente opporrà il suo veto e che tale veto sarà duraturo”.
Mentre Nancy Pelosi ha reso noto che il veto concerne soltanto l’iniezione di nuove truppe e non il supporto economico che sarà loro fornito (circa 93 milioni di dollari) e che questo rappresenta “un messaggio forte” all’amministrazione Bush. I democratici hanno come obbiettivo quello di limitare la portata dell’autorizzazione a procedere che il Presidente Usa ricevette nel 2002, prima dell’inizio del conflitto iracheno. Come ha sottolineato il Democratico del Michigan Carl Levin: “Cercheremo di ottenere una modifica a quella autorizzazione in modo di limitare la missione delle truppe americane ad un compito di supporto invece che di combattimento, il che è molto differente dal tagliare semplicemente i fondi”.
Nella giornata di sabato, poi, la risoluzione “anti-Bush” non è passata al senato visto che non si è raggiunto il quorum necessario dei 60 voti (56-34). La motivazione ufficiale per la disfatta della risoluzione non vincolante riguarda la questione dei fondi. Secondo i senatori all’opposizione, questo provvedimento sarebbe privo di significato proprio perché non contiene nulla riguardo allo stanziamento del denaro necessario.
Per il capo della minoranza Mitch McConnel (Repubblicano del Kentucky): “Questa risoluzione non vincolante non fa nulla sul piano pratico ma è stata disegnata per disapprovare la nuova missione…il nostro punto di vista è che non si può discutere la nuova missione in Iraq senza discutere lo stanziamento di fondi per le truppe”. Di tutt’altro avviso il senatore democratico dello stato di New York Charles Schumer, che avrebbe detto: “Stiamo appoggiando una guerra civile in Iraq…le truppe americane non dovrebbero essere nel mezzo di quella guerra…per dirla in maniera gentile, l’escalation del Presidente è male indirizzata”.
Mentre il Segretario di Stato Usa, Coondoleeza Rice era in visita a Baghdad, nell’ambito di un meeting con i leader mediorientali, ha ricordato alle truppe che, nonostante il dibattito politico che si sta svolgendo a Washington, il loro contributo è “molto apprezzato”. Tale dichiarazione è stata poi seguita dalle frasi di George W. Bush il quale ha ricordato che, seppure i senatori “hanno tutto il diritto di esprimere le loro opinioni…I nostri uomini e le nostre donne in uniforme contano sui loro leader affinché questi provvedano a rifornire loro del supporto necessario per portare a termine la missione”.
Ovvio che, dopo un simile dibattito, la stampa Usa si scateni nel commentare ciò che succede a Washington. In un articolo di Ellen Ratner apparso su WorldNetDaily, ci si chiede come sia possibile che il tema della risoluzione non vincolante abbia assunto una posizione di tale rilievo in mezzo a tutte le altre questioni che dovrebbero avere la loro importanza come il riscaldamento globale, l’immigrazione, l’Afghanistan, le cure mediche, la previdenza sociale etc. Inoltre la Ratner fa un paragone interessante tra la situazione politica al Congresso ed il capitano di una nave che, attraversando acque tempestose, si ritrovi a dover dibattere con l’equipaggio in merito alla direzione da prendere. La prematura fine del battello su di uno scoglio sarebbe inevitabile. Robert Novak sul Washington Post ha invece puntato sul fatto che il Democratico John Murtha, alleato strategico di Nancy Pelosi, con le sue moine contro lo stanziamento di fondi per le truppe, sta tentando di assumere il comando della politica Usa in Iraq, per quanto possa sembrare strano. Ovviamente quella di Novak è una provocazione. E chiaro, però, che l’aumento di truppe in Iraq, vista l’impossibilità pratica di un ritiro immediato dei soldati americani dal conflitto, non farebbe che aumentare la sicurezza di quelli che sono lì ora a rischiare la vita quotidianamente. Forse è questo che i pacifisti non riescono a vedere: se la politica americana ci ha insegnato qualcosa è che spesso i Democratici prendono le posizioni dei Repubblicani e viceversa, ora chi è contro la guerra in generale, dovrebbe riconoscere che fare rischiare la vita a dei soldati per partito preso non è certo la decisione più saggia.