02 Ottobre 2008  

C’è bisogno di più Europa nella politica estera degli Stati Uniti

Redazione

 

Ciò che più colpisce della quinta edizione del convengo sulle relazioni transatlantiche, tenutosi a Washington il 22 e 23 settembre ed organizzato in collaborazione da Magna Carta ed American Enterprise Institute, è che quest’anno si sia realmente assistito a vere e proprie “relazioni” da coltivare e rafforzare nel tempo.

Mi spiego meglio. Sin dalla sua nascita nel 2003, l’appuntamento annuale organizzato da Magna Carta ha sempre rappresentato una valida occasione di incontro – e perchè no, talvolta di (pur sempre produttivo) scontro – tra influenti esponenti del mondo politico e diplomatico, giornalisti, accademici, economisti, intellettuali, imprenditori ed esperti nell’ambito della difesa, dell’intelligence e della pubblica amministrazione. Oltre alla volontà di “comunicare” dei diversi ambiti, non mancava tuttavia di riproporsi negli anni la difficoltà naturalmente insita nel raffrontare realtà spesso differenti non tanto nei contenuti, quanto negli approcci al complesso mutare dello scenario geopolitico mondiale del Ventunesimo secolo.

Sino alla scorsa edizione inclusa, quella tenutasi l’8 giugno 2007 a Roma, si è dunque sempre parlato di quello che rappresenta il patrimonio comune a Europa e Stati Uniti, di come promuovere valori condivisi e di come difendere le radici giudaico-cristiane dell’Occidente. Entrambe le parti erano impegnate a perseguire una propria via per mantenere il delicato equilibrio globale, pur emergendo il bisogno di assicurarsi che i principi chiave fossero condivisi. In altre parole, le relazioni transatlantiche rappresentavano il momento ottimale per far incontrare due distinti approcci di gestire le relazioni internazionali, ma si è sempre sentito il bisogno di specificare quali fossero i contenuti da tutelare, di ricordare le ragioni per cui era necessario guardare all’altro lato dell’atlantico, a realtà sotto molti aspetti reciprocamente lontane.

Gli Stati Uniti, più che mai consapevoli del proprio ruolo dominante di difensori del mondo libero all’interno della “realtà unipolare” oggi consolidatasi, sono sempre stati più che ben disposti a condividere con l’Europa il proprio ruolo di guida per tutto l’Occidente; essi hanno inteso in ogni caso mantenere una posizione indipendente, dove l’interesse nazionale americano può subentrare – nelle valutazioni teoriche così come nell’azione concreta – alle condizioni poste dall’alleanza. D’altro canto, l’Europa ha ribadito fermamente la propria certezza di avere qualcosa da offrire all’approccio statunitense, dagli studi strategici, militari e di intelligence sino a quell’abilità nell’applicare il soft power per “ammorbidire” l’ineguagliabile hard power americano al quale gli USA spesso e volentieri fanno ricorso.

Questo, come detto, fino a ieri: ora invece qualcosa è cambiato. All’edizione 2008 del convegno sulle relazioni transatlantiche, gli studiosi dell’American Enterprise hanno più volte riconosciuto che “ci vuole più Europa” all’interno del loro think tank, così come nei loro progetti politici: emerge dunque in primo luogo che gli Stati Uniti oggi credono fermamente nella possibilità concreta di relazionarsi ad un interlocutore valido: l’Europa. Saranno i discorsi di Sarkozy e di Angela Merkel, i recenti mutamenti politici nei paesi dell’ex blocco sovietico, il cambio di governo in Italia con il ritorno del centrodestra o il profilarsi all’orizzonte di Cameron come possibile Primo Ministro britannico; ma l’America ora guarda al Vecchio Continente con rinnovata fiducia ed entusiasmo, con grande volontà di assistere agli sviluppi innescati da questi ultimi anni di cambiamenti. Non è dunque più necessario da parte di Stati Uniti e Europa soffermarsi sul perché sia proficuo agire insieme, e per quali obiettivi; anzi pare che non si tratti nemmeno più di “burden sharing”, ma della soddisfazione di collaborare con un partner a lungo perduto, ed ora ritrovato.

D’altro canto, si vede oggi un’Europa più coraggiosa. Forse quest’ultima non è ancora riuscita a costruire un’identità di per sé omogenea; né (per il momento) l’Unione Europea si è rivelata il tramite per i vari paesi europei verso la tanto agognata presa di coscienza delle proprie radici. Tuttavia, questo non pare impensierirla: l’Europa emerge in occasione di questo appuntamento delle relazioni transatlantiche come un continente che dimostra sempre maggiore chiarezza nel guardare al proprio futuro, appare più matura, più risoluta. E tutto ciò agli Stati Uniti piace.

Sarà per questo che la volontà di conciliare le divergenze che aveva caratterizzato le precedenti edizioni delle relazioni transatlantiche (lavorando sulle dicotomie Venere e Marte, interventismo e diplomazia, hard e soft power) è stata quest’anno, senza apparenti forzature, soppiantata da un vocabolario comune: le minacce principali per l’Occidente, vale a dire Russia, Iran, Afghanistan, Pakistan e Libano, sono state chiamate per nome senza tentennamenti nè dubbi; non si è sentito il bisogno di ribadire perché l’Occidente deve sostenere e difendere Israele, ma si è parlato piuttosto di come; si è dissertato lungamente della crisi economica che investe oggi l’America, non come un problema da confinare oltreoceano ma come una sfida da affrontare uniti e vittoriosamente; si è discusso dell’idea di smart power, mirata a riconciliare l’aspetto militare, diplomatico, politico e strategico nell’affrontare le grandi sfide odierne alla sicurezza internazionale; si è posto l’accento su un’eventuale riforma della NATO, e si sono valutati concretamente pregi e svantaggi dell’idea di una League of Democracies come proposta da John McCain. Non sono mancati approfondimenti sulle elezioni presidenziali statunitensi, con appelli bipartisan affinché il nuovo Presidente degli USA prosegua sul cammino sinora tracciato a difesa dell’Occidente e di tutto ciò che rappresenta.

Il calibro degli interventi dei relatori e di tutti i partecipanti, i temi trattati che hanno spaziato dall’economia alla difesa, dall’intelligence alle politiche elettorali, non hanno fatto altro che confermare la volontà condivisa – e non solo nel momento del convegno, ma in previsione di un impegno puntuale e costante al quale dedicarsi durante tutto l’anno – di confrontarsi apertamente, con dibattiti e discussioni che sono proseguiti ben oltre le occasioni formalmente organizzate per estendersi ai coffee break, ai tavoli a pranzo, ai drink dopocena, alle passeggiate nel sole di Washington. È stato nella consapevolezza di dirigersi insieme verso un obiettivo comune, e nella voglia di costruire il futuro, che le relazioni transatlantiche hanno preso, quest’anno, definitivamente forma.

(L’Occidentale)