Privacy Policy Cookie Policy

 

Concordo pienamente con il sen. Mantovano sulla pessima partenza del dibattito sulla Eutanasia. L’ennesima, falsa contrapposizione tra credenti e non credenti, laici e cattolici, ha il perverso effetto di sviare completamente dalla questione: e facilita l’approdo a soluzioni del tutto erronee sia in merito al metodo di discussione sia riguardo al problema sostanziale. E ovviamente in tale situazione i primi a farne le spese sarebbero proprio i cattolici (perlomeno i meno accorti) alle corde ancora una volta per volere imporre dettami esclusivamente religiosi ad una società civile composta anche da gente che non crede etc. etc. O meglio (peggio?), ad una società che in quanto tale deve necessariamente separarsi da qualunque morale di lontana derivazione religiosa, etc. etc. Nulla di nuovo sotto il sole.

Ritengo invece sia interesse di tutti, credenti e non credenti insieme, riportare entro i giusti binari una questione delicata come l’interruzione di vita volontaria. Innanzitutto sostenendo con convinzione che qui non è in gioco una partita sulla libertà della persona, tanto meno un inesistente diritto a morire (come incisivamente ha sottolineato Loquenzi), pena un oscurantismo dell’intelletto paradossale per chi invece si autoproclama paladino dei lumi del progresso. Se si cade nel tranello di discutere in termini di riconoscimento della libertà di staccare o meno la spina, si salta a piè pari l’interrogativo preliminare, l’unico, vero e centrale punto della discussione: è giusto o no terminare un essere umano in base allo stato di salute in cui versa? E la sua volontà di essere terminato è rilevante ai fini della decisione finale? Lascio a chi di dovere, perché di certo più competente, lo sviluppo di questi punti focali (su cui però anch’io mi riservo di tornare più in là con qualche altro articolo): vorrei invece approfondire un’altra questione non meno importante, che riguarda il dibattito in termini più specifici. Perché la querelle sulla eutanasia è infuriata proprio adesso? Di “dolce morte” si parla già da qualche anno, più o meno approfonditamente abbiamo chiari tutti i termini generali della questione. Ciononostante, solo da pochi mesi si è deciso di porla come priorità dell’agenda pubblica, coinvolgendo ampi strati della società italiana.

La risposta all’interrogativo è tanto semplice quanto poco evidente ai più: qualcuno aveva bisogno di una sovraesposizione mediatica. Di avere i riflettori puntati, in modo tale da (ri)attirare l’opinione pubblica su di sè. E quel qualcuno sono i radicali di Marco Pannella, maestri nel giocare allo “scandalo a comando” con i media. Sia chiaro: lungi da me qualunque tentazione complottistica. Non c’è ne proprio bisogno in tempi in cui imperversano le bufale “alla matrixiana” sull’undici settembre. Piuttosto il punto è un altro: c’è da dubitare fortemente dell’innocenza e della buona fede di chi ha innescato la miccia perché, parafrasando la serie televisiva Lost, nulla è accaduto per caso. Andiamo con ordine.

Il 9 e 10 aprile scorso dalle urne elettorali è uscito distrutto un partito che si vantava di essere la novità del panorama politico italiano; un partito (l’unico mi pare) che in campagna elettorale comprava pagine intere del Corriere e che nasceva addirittura dalla fusione di due soggetti politici precedenti, Sdi e Lista Pannella: la Rosa nel pugno. Basta ricordare che se i soli radicali nelle elezioni del 2001 avevano raggiunto la percentuale del 3,8, insieme allo SDI e nello schieramento opposto hanno invece strappato un misero 2,6. A questo si aggiunga la sonora sconfitta del fronte laicista in merito al referendum sulla procreazione assistita, la sostanziale (anche se non totale) estromissione del programma della rosa dalla agenda governativa e non ultimo il suo effettivo status distampella del centrosinistra. Oltre, ovviamente ad una rottura con la Cdl che nonostante i corteggiatori interni certo non è vicina al risanamento (sperando che non avvenga mai). Come rivitalizzarsi allora, come tornare ad occupare la scena mediatica? Qui interviene Piero Welby, co-presidente della associazione “Luca Coscioni ” (protesi dei radicali italiani), con una lettera nientemeno che al presidente della Repubblica in cui rivendica il “diritto” ad essere dolcemente terminato. Segue la risposta ovviamente super partes di Napolitano: si apra un dibattito che coinvolga quanto più largamente politica e società civile. E il gioco è fatto, tg e giornali tutti puntati sul problema eutanasia, gazebo per le strade, manifestazioni e raccolta di firme per petizioni varie.
Ovviamente Welby ha tutta la mia comprensione e carità per le condizioni in cui versa. E però pur essendo da anni in quello stato, non si capisce perchè solo nell’agosto di quest’anno si è deciso a inviare tale missiva al presidente.

L’obiettivo di questo generale comportamento è evidente. Da un lato si vuole distogliere l’attenzione dal fallimento Rosa nel pugno, in crisi anche per i dissidi organizzativi interni tra i due partiti fondatori. Dall’altro serviva una nuova battaglia, un leit motiv per poter recuperare consensi e tornare al centro della scena. D’altronde continuando a pensar male (con la presunzione di azzeccarci) altri episodi recenti confermano questa necessità tornacontistica: ad esempio la lite infuocata tra Pannella e Capezzone nell’ ultima direzione dei Radicali Italiani, che tra bestemmie e insulti ha occupato le pagine dei più importanti quotidiani. Scoppiata qualche giorno prima del Congresso radicale, ha determinato un grande interessamento su quest’ultimo, con tanto di incursione delle Iena Enrico Lucci. Insomma, tutta pubblicità gratuita.

Certa urgenza di inchieste e discussioni sull’eutanasia è sentita solo da Pannella, Bonino & co. Se un dibattito ci deve essere, almeno non sia un fuoco di paglia innescato in fretta e furia solo per ragioni di opportunità personali e politiche. Evidentemente nessuno nega che i rosapugnisti non credano nella loro battaglia, ma semplicemente dimostrano che, tirandola fuori a comando, essi stessi la strumentalizzano, svuotandola quindi di contenuti. E quanto più spesso e intensamente questo avviene, per qualunque tema, tanto più sterile e fuorviante risulterà il dibattito. Pannella e i suoi (in questa come in tante altre occasioni, vedi l’aborto) preferiscono ragionare per slogan e urla di piazza: utilizzando cioè il modo migliore per manipolare e influenzare l’opinione pubblica, per recuperare consensi ad effetto e, in generale, evitare di ragionare serenamente. Tirano ancora una volta tutti quanti per i capelli, costringendo a prendere posizione in fretta e furia su un argomento così complesso che richiederebbe ben altro atteggiamento.

Questioni così fondamentali infatti, per loro stessa natura, necessitano di dibattiti pacati e ragionati, non di scioperi della fame e grandi satyagraha universali. L’ennesima strumentalizzazione va a danno soprattutto dei concetti e della posta in gioco. Anche questa volta il ragionamento da popolino sarà: ma no, i radicali sono estremisti, però anche i pro life sono troppo rigidi, quindi la migliore soluzione è senz’altro quella di mezzo qualunque essa sia. Siamo nel relativismo puro, e soluzioni di questo tipo già in sé racchiudono una piena vittoria del laicismo zapateriano.