Ezio Mauro, il laicato cattolico e il rischio di un ritorno della “Statolatria”
“È ancora consentito, nell’Italia del 2007, credere in Dio e votare a sinistra?”. Con questa domanda tutt’altro che banale il direttore di Repubblica Ezio Mauro introduce il suo editoriale del 7 febbraio. Alcuni lo hanno interpretato come un editoriale duro, politicamente scorretto, una fucilata. A leggerlo attentamente, tutto pare tranne che politicamente scorretto e deflagrante. Certo, un po’ duro; un articolo per essere deflagrante e politicamente scorretto necessita di altri ingredienti, soprattutto se viene da Repubblica. L’articolo è indubbiamente ricco di tesi, sebbene a tratti possa apparire un po’ superficiale nell’analisi. In particolar modo Mauro intende sostenere tre tesi. La prima riguarda la pretesa campagna egemonica condotta dalla Conferenza Episcopale Italiana a guida Ruini. Scrive Mauro: “È un discorso che ha in sé l’obiettivo grandioso della terza e ultima fase del lungo regno ruiniano sull’episcopato italiano: la riconquista dell’egemonia, non più attraverso il partito dei cristiani ma direttamente da parte della Chiesa, che con la spada di questa egemonia rifonderà la politica, separando infine il grano dal loglio e costituendo un nuovo protettorato dei valori nell’esercizio di un potere non più temporale, ma culturale”. Sembrerebbe che personalità come Mauro tendano a sottostimare il fatto che in una società libera a tutti dovrebbe essere consentito di tentare di far contare la propria posizione: laici o ecclesiastici che siano. Inoltre, la rilevanza pubblica del discorso religioso, nella prospettiva cattolica, assume i caratteri di un discorso sull’uomo, un’antropologia; compito di diffondere e promuovere tale prospettiva spetta soprattutto ai laici. Ebbene, così come esistono laici cattolici forse meno sensibili al primato dell’etica sulla politica, in quanto onestamente riconoscono nel momento politico il luogo nel quale si risolvono e si dissolvono le controversie di natura etica, esistono altri i quali – pur tra innumerevoli cadute e grossolane contro testimonianze – tentano di promuovere e di testimoniare la rilevanza etica della politica, evidenziando i caratteri antropologici identitari. Come si nota, è una questione molto seria che il direttore Mauro non dovrebbe liquidare superficialmente con l’argomento dell’ingerenza ecclesiale, a meno che non voglia far torto alla sua intelligenza. Ed in effetti, da uomo intelligente qual è, ad un certo punto svela la motivazione autentica del suo duro intervento. Ciò che lo preoccupa non è tanto l’attivismo dei vescovi italiani, quanto il timore che un’eventuale rinnovata consapevolezza politico-culturale del laicato cattolico possa rappresentare un ostacolo rispetto alla realizzazione del Partito Democratico.
Gratta gratta ciò che turba Mauro è esattamente ciò che meno interessa i vescovi italiani, ossia, il dominio delle ragioni della politica – ridotta a geografia partitica – sulle questioni di natura etica. È qui risiede la seconda tesi del nostro direttore: “Ciò che invece mi sembra sotto attacco è l’organizzazione politica del pensiero cattolico di sinistra, la sua ‘forma’ culturale, l’esperienza storica che ha avuto in questo Paese e infine e soprattutto la traduzione concreta di tutto ciò nella nostra vita di tutti i giorni e nel possibile futuro. Cioè l’alleanza tra i cattolici progressisti e gli ex comunisti che è al centro della storia dell’Ulivo, che oggi forma il baricentro riformista del governo Prodi e che domani dovrebbe essere la ragione sociale del nuovo partito democratico, risolvendo l’identità incerta della sinistra italiana”. Tutto il brano appare rivelatore delle intenzioni autentiche di Mauro, benché le ultime righe sembrerebbero rivelare anche la profonda crisi in cui versa la sinistra italiana. Quest’ultima incontrerebbe il movimento “cattolico progressista” (personalmente rifiuto l’ermeneutica destra-sinistra/conservatore-progressista in ambito religioso) per “risolvere l’identità incerta della sinistra italiana”. Se questa non è una pubblica ammissione di vuoto culturale della sinistra italiana mi dica Mauro di che cosa si tratta! Pubblica ammissione espressa, per giunta, dal direttore del giornale che da trent’anni tenta con intelligenza ed efficacia di rappresentare le istanze e la rilevanza culturale della sinistra riformista.
Credo abbia ragione Pierluigi Pollini, il quale in un documentato articolo pubblicato dal sito della Fondazione Magna Carta, commentando l’editoriale di Mauro, sulla scia della lezione di Augusto Del Noce, scrive “Su questo si sta avverando la profezia filosofico-politica di Antonio Gramsci, in relazione al cattolicesimo progressista e in generale al modernismo. Per lui il vecchio PPI ha il compito di ravvivare le forze cattoliche e condurle sul terreno della democrazia. Compiuto questo compito storico i cattolici democratici si suicidano e consegnano le masse cattoliche ad una dialettica politica non più influenzata da modelli e rappresentazioni religiose. Per Gramsci tale dialettica politica della democrazia sarebbe stata determinata essenzialmente dalla lotta di classe e quindi le masse cattoliche avrebbero dovuto, seguendo il loro interesse di classe, sottoporsi alla direzione del partito rivoluzionario marxista”.
A confrontarsi sono due concezioni di “democrazia cristiana”. La prima vedeva nel partito della Democrazia Cristiana uno strumento necessario affinché i cattolici italiani, fuoriusciti malconci dalla questione romana, fossero traghettati dall’ancien régime sulle sponde della modernità, lì dove è sita la cittadella democratica. A quel punto la “Democrazia Cristiana”, in quanto partito, avrebbe esaurito il proprio compito e si sarebbe dovuta suicidare, consegnando alla società italiana un nutrito numero di cattolici democraticamente affidabili. La seconda accezione ci consegna una nozione di Democrazia Cristiana alquanto diversa, non è un caso che il padre di questa seconda nozione: Luigi Sturzo, non amasse quell’espressione ed adottò il nome di Partito Popolare. Sturzo fece propria l’interpretazione di “democrazia cristiana” come lo strumento che avrebbe dovuto umanizzare in senso cristiano la cittadella democratica e consegnare ai cattolici gli strumenti per contribuire nel migliore dei modi alla sua amministrazione. In questa seconda accezione, la Democrazia Cristiana non è tenuta a suicidarsi per far essere qualcun altro, bensì conserva la propria funzione storica civilizzatrice: “la battaglia per la libertà – ammoniva Sturzo – è una battaglia senza fine”.
La terza tesi sostenuta da Mauro riguarda l’esaltazione della pretesa assolutistica dello “Stato” moderno. Non che Mauro vagheggi la costituzione di uno “Stato” totalitario, tuttavia sembrerebbe insensibile alle ragioni teoriche e alle esperienze storiche che hanno contribuito realmente all’emergere dei totalitarismi nell’epoca moderna. Con freddezza, e spero inconsapevolezza, Mauro afferma: “La terza fase comincia quando Ruini avverte che alla Chiesa è consentito, nei fatti, ciò che nella Repubblica non è permesso alle altre ‘parti’. Ogni componente della società, ogni identità culturale, nella sua autonomia e nella sua libertà deve riconoscere un insieme in cui le parti si ricompongono: lo Stato”. No, caro direttore, in una società libera lo “Stato” (come lo scrive lei con la “S” maiuscola) è anch’esso parte di una galassia civile nella quale le singole componenti delineano un pluralismo irriducibile alla “soluzione hobbesiana”; quella soluzione in forza della quale la vita sociale sarebbe irrimediabilmente condannata alla prevaricazione di una parte più forte sull’altra più debole, sicché dovremmo rassegnarci ad una presenza invasiva dello “Stato” che tutto regolamenta e disciplina. La nostra posizione è che la società civile non rappresenta lo strumento di legittimazione del potere politico, bensì la linea di confine e l’elemento critico che dall’esterno lo controlla e ne impedisce la tracimazione, fagocitando il pluralismo delle formazioni sociali, ossia, quella rete di corpi intermedi i cui membri scelgono di essere liberi e responsabili; realtà sociali, dunque, che svolgono l’ineludibile funzione di tenere a debita distanza, entro i propri argini, il potere politico. In questa prospettiva, la società civile è data dalle relazioni intercorrenti tra persone, le quali si associano in migliaia di modi originali e creativi, nella prospettiva di raggiungere i propri obiettivi sociali. In questo modello lo stato, lungi dall’essere assente o dallo svolgere una funzione di mero guardiano, s’inserisce nella complessa articolazione della società civile con una funzione ausiliare, nel rispetto del principio di sussidiarietà orizzontale, oltre che verticale.
La società civile nel modello relazionale è simile ad una rete internet, una sorta di galassia civile, frutto delicato, prezioso e non intenzionale di secoli di civilizzazione, durante i quali le donne e gli uomini hanno fatto propri i principi dell’autogoverno. In definitiva, l’editoriale di Mauro necessiterebbe da parte dell’autore di alcune precisazioni, in primo luogo, perché mai laici credenti ovvero ecclesiastici, comunque cattolici praticanti, italiani almeno quanto lo stesso Mauro, non potrebbero organizzarsi per promuovere la loro prospettiva antropologica ed avanzare proposte politiche nel rispetto delle regole democratiche? In secondo luogo, se la sinistra italiana non ha ancora una propria identità ben definita, non sarebbe ora di fare i conti con la storia? Infine, che senso ha definirsi liberali e progressisti e poi affidare allo “Stato” il compito di omogeneizzare le istanze plurali che provengono dalla società civile, di cui lo stato è anch’esso una parte e non il “tutto”?