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Cari amici, grazie innanzi tutto per aver accolto l’invito di Magna Carta in un giorno così importante. Grazie a Giuseppe de Vergottini, Giovanni Pitruzzella, Giorgio Spangher, Ida Nicotra, Giovanni Guzzetta, Valerio Spigarelli, Ennio Amodio, per aver accettato di confrontarsi praticamente in tempo reale con un tema così attuale, e a Tommaso Frosini che coordinerà i nostri lavori. E un grazie particolare al Ministro Angelino Alfano, non solo per la sua presenza qui questo pomeriggio, ma anche e soprattutto per aver essersi assunto la responsabilità di una riforma che è stata definita epocale, attesa dalla grande maggioranza dei cittadini che ha dato e più volte confermato fiducia a questo governo, e attesa da un Paese che dopo centocinquant’anni di unità attende finalmente di diventare una democrazia moderna, matura, normale.

La riforma costituzionale della giustizia non nasce dal nulla e non è un reato. Non è un capriccio, e tantomeno è una punizione o una controriforma, come abbiamo sentito dire nei giorni scorsi un po’ frettolosamente da chi pur non avendo letto alcun testo già preannunciava le barricate. Nasce da una consapevole riflessione sull’architettura del nostro ordinamento giudiziario. Dall’osservazione di come i principi e i meccanismi che regolano in astratto il funzionamento della giustizia italiana si siano calati nella realtà e progressivamente deformati nella pratica concreta e quotidiana. Dalla presa d’atto dello scollamento che vi è fra la teoria e la realtà, con un equilibrio apparente divenuto nei fatti squilibrio sistematico e quasi istituzionalizzato. Soprattutto, nasce dalla convinzione che in un sistema-Paese che evolve verso la maturità sarebbe da irresponsabili lasciare indietro, ostaggio del partito della conservazione, uno dei pilastri sui quali si fonda la possibilità di una democrazia di definirsi democrazia dei moderni. Sappiamo bene che ci attendono aspre polemiche e levate di scudi: ne abbiamo già assaggiato l’antipasto.

Ma vorrei approfittare di questa occasione e della presenza di così autorevoli ospiti per lanciare una sfida in positivo a quanti fra i nostri avversari non intendono svendere la ragionevolezza alle esigenze della propaganda. Nel lungo dibattito che ci attende dentro e fuori il Parlamento confrontiamoci anche duramente sui contenuti, scontriamoci se è necessario, ma mettiamo al bando la menzogna e la disinformazione. Lanciamo una moratoria delle bugie. Misuriamoci col metro dell’onestà intellettuale, affinché ad avere la meglio non siano quelle sacche di resistenza al cambiamento rumorose e minoritarie che nel timore di dover rinunciare a qualche rendita di posizione non si fanno scrupoli di raccontare al Paese tutto un altro film. Di esempi se ne potrebbero fare in abbondanza.

Noi vogliamo la separazione delle carriere per realizzare la parità fra accusa e difesa e una effettiva terzietà del giudizio. Si può non essere d’accordo, ma non per questo si può accusare il governo di voler assoggettare i pm al potere esecutivo. Neanche questo sarebbe un reato ma semplicemente, per quanto riguarda la nostra proposta di riforma, non è vero. Noi crediamo in un’azione penale che sia obbligatoria ma regolata da criteri oggettivi che rendano i cittadini uguali davanti alla legge, e non affidata all’arbitrio. Crediamo nelle indagini e non nelle pesche a strascico. Si può non condividere, ma non si può accusare il governo di voler legare le mani agli inquirenti, perché non è vero. Noi crediamo che se un magistrato compie un atto in violazione dei diritti di un cittadino debba risponderne al pari di tutti gli altri funzionari e dipendenti dello Stato, non di meno e non di più. Si può essere in disaccordo, si può pensare che debba esserci una categoria più uguale degli altri, ma non si possono imputare al governo intenzioni punitive perché sarebbe semplicemente falso.

Cari amici, credo insomma che il primo compito che ci attende sia quello di sgomberare il campo dai cascami della falsa propaganda. Sfidare i nostri avversari sul terreno di riforme che non nascono dalla furia di vendetta di un’orda culturalmente barbarica e moralmente inferiore, come qualche intellighenzia illuminata o sepolcro imbiancato vorrebbe far credere, ma appartengono al patrimonio genetico della nostra Repubblica. Riprendiamo i resoconti del dibattito dell’Assemblea costituente, rileggiamo le parole di Calamandrei, dello stesso Togliatti: si scoprirà che i nodi giunti al pettine dopo sessant’anni di storia repubblicana non sono fantasmi che ossessionano il centrodestra e i suoi elettori, ma questioni di fondo che i padri della nostra Carta fondamentale avevano ben presenti. Si scoprirà che tutte le proposte che oggi destano tanto scandalo derivano dallo stesso humus dal quale la Costituzione italiana scaturì come opera di sintesi e alto compromesso, mirabile ma non intangibile. Riprendiamo il dibattito della Bicamerale, rileggiamo i contenuti e i principi ispiratori della bozza Boato, e si comprenderà quanto inspiegabili e dettati dal pregiudizio sarebbero gli eventuali fuochi di sbarramento che dovessero provenire dal centrosinistra nei confronti della riforma del ministro Alfano.

Io spero davvero che vi sia lo spazio per un confronto alto e approfondito. Con la chiara avvertenza, però, che mai la disponibilità al dialogo più ampio possibile si tradurrà nella concessione di un potere di veto rispetto a una riforma che è parte fondamentale del programma di governo scelto dal popolo italiano nelle urne. Spero che la sinistra abbia il coraggio di scendere dalla barricata dell’antiberlusconismo e rinunci a brandire l’arma spuntata della presunta riforma ad personam, se non altro perché i tempi di approvazione di una riforma della Costituzione renderebbero tale argomentazione priva di qualsiasi fondamento anche remoto. Non ci si rifugi dietro l’alibi del clima incandescente di queste settimane; non ci si illuda che calare oggi la carta della pregiudiziale antiberlusconiana e sperare che nel frattempo qualche Procura tolga di mezzo “l’incomodo” consentirebbe domani di fare le riforme.

Chiediamo all’opposizione, alle sue forze ragionevoli, un atto di coraggio. Non mancheranno i tentativi di ostacolare il dialogo, e già nelle ultime settimane e ancora in questi giorni abbiamo visto quale particolare attenzione mediatica, non sempre amichevole, sia stata riservata agli esponenti del centrosinistra sospettati di “collaborazionismo” con la maggioranza in tema di giustizia. Chiediamo però ai colleghi dell’opposizione di resistere, resistere, resistere. Si liberino delle ipoteche giustizialiste, della zavorra della conservazione, e accettino il confronto senza pregiudizi e veti preventivi. Noi siamo pronti. E, dissipata la nube tossica della disinformazione, siamo fiduciosi di trovare al nostro fianco, lungo il cammino, anche quella grande maggioranza di magistrati silenziosi che ogni giorno con grande sacrificio, senza clamori e spesso in condizioni difficili lavorano al servizio del Paese e dei cittadini. Infine, e concludo, sono certo che gli illustri ospiti che animeranno questo convegno vorranno contribuire a un duraturo e proficuo confronto tra politica e scienza giuridica. Le loro posizioni ci aiuteranno a tenere alto il livello del dibattito e ad evitare di farci risucchiare dalla strumentalità in cui qualcuno vorrebbe trascinarci. L’idea del convegno di oggi è nata proprio con questo spirito, e non è altro che il primo passo di un lungo percorso. Se ognuno farà la sua parte, potranno derivarne una politica migliore e anche una scienza giuridica meno astratta e meno prevenuta. Potrà sembrare paradossale, ma a volte la conquista dell’autonomia passa proprio dal coraggio di prendere posizione. E i nostri ospiti che sono qui oggi lo sanno bene. Grazie.

(Intervento del senatore Gaetano Quagliariello, vicepresidente dei senatori Pdl e Presidente d’Onore di fMC, al convegno sul tema “Riformare la giustizia non è reato”, Sala Zuccari del Senato della Repubblica, alla presenza del ministro della giustizia Angelino Alfano)