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La fondazione Magna Carta è da sempre impegnata nel fornire un contributo di idee e di analisi sugli argomenti all’ordine del giorno dell’agenda politica e parlamentare; in particolare, un argomento come quello della concessione della cittadinanza italiana rappresenta un ambito di analisi molto importante per la Fondazione, in quanto esso è direttamente collegato al tema dell’identità nazionale e della responsabilità dei cittadini. A questo proposito, quindi, Magna Carta ha avvertito la necessità di presentare un proprio un manifesto con un titolo molto esplicito: “Identità nazionale, libertà e responsabilità. Manifesto sulle regole per la concessione della cittadinanza italiana”.

Il tema su cui dibattere è molto importante ed attuale, perché riguarda le basi fondamentali della legislazione nazionale, l’identità politico-giuridica del cittadino, la sua modalità di partecipazione alla vita pubblica e l’insieme dei suoi diritti e doveri; un argomento, quindi, che va affrontato con una visione strategica, cercando il più possibile di abbandonare logiche di mera e contingente tattica politica.

Innanzitutto c’è da dire che la cittadinanza non è un diritto ma è un patto identitario. Lo status di cittadino rispetto allo status di straniero, regolarmente soggiornante sul nostro territorio, implica il riconoscimento dei diritti elettorali e il diritto di accedere liberamente al territorio dello Stato, e nulla più; la concessione della cittadinanza, quindi, non riguarda i diritti universali dell’uomo ma certe valutazioni che sono strettamente legate all’interesse nazionale. In altre parole, la concessione della cittadinanza va disciplinata tenendo conto degli specifici interessi nazionali e della cultura nazionale.

Le problematiche della concessione della cittadinanza vengono molto spesso messe in relazione con le questioni relative ai processi migratori. Le due problematiche, tuttavia, pur avendo punti di contatto, sono autonome. Per quanto riguarda la concessione della cittadinanza, si tratta di una serie di regole che consentono all’individuo di entrare a far parte di una comunità nazionale; il governo dell’immigrazione, invece, riguarda una serie di norme che regolano i flussi di entrata in un territorio. Le differenze non sono solo teoriche ma, soprattutto, numeriche; l’immigrazione è un fenomeno dai numeri importanti, mentre le richieste di concessione della cittadinanza, riguardano poche decine di migliaia di persone ogni anno.

Negli ultimi vent’anni i flussi migratori hanno assunto caratteri diversi rispetto agli inizi del Novecento quando i nostri nonni e i nostri padri lasciavano il territorio italiano con scarsissime possibilità di potervi tornare, se non dopo un lunghissimo lasso di tempo. Oggi l’immigrazione è un fenomeno temporaneo che nasce da esigenze prettamente economiche, a volte anche politiche; l’immigrato, quindi, non ha come priorità la richiesta della cittadinanza ma l’opportunità di lavorare e di risiedere regolarmente nel paese che lo accoglie.

Un altro elemento da mettere in discussione è la convinzione dell’esistenza di una diretta connessione tra il processo d’integrazione e le normative sulla cittadinanza. In questo caso non c’è autonomia ma c’è sicuramente una distinzione. E’ possibile sostenere, quindi, che la cittadinanza sia il risultato di una corretta integrazione, ma la concessione della cittadinanza non favorisce la maggiore o minore integrazione di un individuo straniero; quando quest’ultimo si identifica pienamente con la comunità che lo ospita, solo a quel punto entrano in gioco le regole della cittadinanza.

Come si è detto, quindi, oggi i fenomeni migratori sono processi estremamente mobili. Rispetto a cinquant’anni fa, gli immigrati che arrivano in Italia hanno molte più possibilità di rimanere in contatto con il loro paese d’origine, mantenendo rapporti anche di ordine economico. Per queste ragioni il desiderio di restare nel paese nel quale sono stati accolti ha caratteri profondamente diversi rispetto al passato.

Il manifesto presentato da Magna Carta tiene presenti due aspetti. Spesso si fa riferimento a quei paesi europei che si dice abbiano una normativa sulla cittadinanza meno rigida rispetto della nostra. La Francia e il Regno Unito, ad esempio, hanno dovuto fare i conti negli anni con il fatto di essere state grandi potenze coloniali; ciò significa che l’integrazione dei cittadini appartenenti alle ex colonie ha richiesto un’attenzione diversa. La recente normativa sulla concessione della cittadinanza approvata in Gran Bretagna è una normativa molto rigida che introduce, ad esempio, criteri di ordine qualitativo.

Un ultimo aspetto è la questione dello ius soli. Si dice da più parti che la nostra legislazione corrente non regoli questo aspetto in maniera flessibile. Ritengo che sia da sfatare il fatto che secondo la legislazione vigente il figlio di genitori stranieri nato in Italia, al compimento del diciottesimo anno, abbia la possibilità di chiedere la cittadinanza italiana in maniera molto semplice e molto diretta. C’è poi un’altra questione: una legislazione che riguardi la cittadinanza e che abbia criteri non solo burocratici o temporali ma anche criteri valutativi, non può prescindere da una più strutturata regolazione delle regole che riguardano la doppia cittadinanza. È abbastanza normale ritenere che il cittadino immigrato sia interessato ad ottenere la cittadinanza per non avere più il problema del permesso di soggiorno.

Rispetto a questa rapida analisi, quali potrebbero essere gli elementi di discussione per andare a definire una proposta strutturata ed integrata sulla concessione della cittadinanza italiana? Innanzitutto sarebbe opportuno introdurre, in parallelo ai profili meramente cronologici e quantitativi della legislazione vigente, criteri di natura valutativa e qualitativa che prestino attenzione al grado di conoscenza che l’immigrato ha della realtà culturale, sociale, politica ed economica in cui vive.

La legislazione inglese – come si è detto – ha irrigidito i termini cronologici che riguardano la concessione della cittadinanza, ma ha anche introdotto un’articolazione flessibile che tiene conto dei motivi per i quali l’immigrato è arrivato nel paese (motivi di lavoro, motivi di famiglia, asilo politico), differenziando il sistema delle regole. E’ molto interessante, poi, il profilo qualitativo che è stato introdotto attraverso i concetti della cittadinanza meritata e quello della cittadinanza attiva. Si tratta, cioè, di esortare l’immigrato ad operare in maniera attiva all’interno della società ospitante, per dimostrare di meritarsi a pieno titolo la cittadinanza britannica; ad esempio, lo svolgimento di alcune attività di utilità sociale (volontariato) da parte dell’immigrato riduce il tempo necessario per ottenere la cittadinanza.

A nostro parere, quindi, si deve mantenere l’attuale periodo minimo (10 anni) di residenza regolare sul territorio italiano, che funge da base di tutto l’ordinamento sulla cittadinanza; questo periodo minimo, tuttavia, potrebbe essere rivisto, in alcuni casi e per alcune fattispecie abbreviato, in relazione ad una più rapida integrazione dell’aspirante cittadino, integrazione che però dovrebbe essere in qualche modo valutata secondo criteri anche qualitativi. Bisognerebbe integrare il tradizionale fattore cronologico con criteri qualitativi: buona conoscenza della lingua italiana e delle nozioni fondamentali della storia, della cultura e del diritto costituzionale italiani.

Ricordo, ad esempio, che per un figlio di italiani nato in Svizzera, solo al compimento del venticinquesimo anno di età è possibile chiedere la cittadinanza svizzera, sostenendo quattro diversi esami di fronte all’autorità comunale di residenza.

Sarebbe importante, quindi, valutare attentamente la conoscenza della lingua italiana, considerando il grado di stabilità economica dell’individuo che richiede la cittadinanza; in questo senso forse sarebbe importante rivalutare anche la carta di soggiorno, che è possibile richiedere dopo cinque anni di residenza regolare in Italia e avendo un reddito minimo. La carta di soggiorno potrebbe essere ripensata come un passaggio intermedio verso il conseguimento della cittadinanza italiana.

In paesi come Olanda, Svezia, Germania, Svizzera, Canada il conseguimento della cittadinanza passa attraverso determinate fasi. Tornando all’esempio precedente, la legislazione approvata a luglio in Gran Bretagna prevede tre fasi: la residenza temporanea, la cittadinanza di prova e, infine, la cittadinanza a tutti gli effetti. Diverse fasi, quindi, che permettono al legislatore e alle autorità competenti di potere valutare la reale integrazione dell’aspirante cittadino.

Si potrebbero ancora introdurre altri elementi più complessi da disciplinare, come la stabilità della residenza in una determinata area territoriale del paese, il titolo di studio, la natura del lavoro, tutti aspetti che andrebbero a definire un profilo qualitativo e permetterebbero di verificare la reale sincera volontà dell’immigrato a diventare cittadino, contribuendo al rafforzamento e alla crescita dell’identità nazionale del paese ospitante.

(La presentazione del presidente della Fondazione Magna Carta, Francesco Valli, al manifesto “Identità nazionale, libertà e responsabilità. Manifesto sulle regole per la concessione della cittadinanza italiana”, presentato dalla Fondazione)