Il caso costituzional-giudiziario
Ho letto con interesse l’intervento dei professar Zanon apparso il 23 novembre sul Sole-24 Ore, relativo alle sentenze delta Corte costituzionale in materia d’immunità parlamentare che hanno interessato la posizione del presidente del Senato Marcella Pera. Ferma rimanendo il rispetto per la seconda carica della Stato e, dunque, astraendo dalla vicenda concreta che ha dato origine alle deliberazioni del Senato poi impugnate, dai giudici con conflitti d’attribuzione, risolti con le menzionate sentenze, desidero esprimere alcune considerazioni che credo necessarie per chiarire alcuni punii del ragionamento. Mi preme innanzitutto fare mia precisazione sul titolo («Quei limiti alla libertà di critica»i, ovviamente non attribuibile al professar Zanon: la Carte in sede di conflitto tra poteri dello Stato non si preoccupa di limitare o di espandere “ti diritto di critica politica dei cittadini, interpretando (‘articolo 21. La Corte invece – in quella sede – deve solo dire a quale potere spetti giudicare certi fatti e a quale invece non spetti. In secondo luogo, ritengo indispensabile collocare le sentenze di cui si discute (che possono essere oggetto di critica, ma ancora non d’impugnazione) entro un filone giurisprudenziale ormai da tempo consolidato la cui origine è necessario ricordare. Da quando le Camere hanno deciso dì scegliere una linea interpretativa estensiva del criterio dell’esercizio delle funzioni parlamentari in chiave protettiva di interviste, di articoli dì giornale e di esternazioni varie da parte di deputati e senatori, si è posto il problema della tutela dei terzi quando tali interventi contengano, non solo e non tanto la giusta rivendicazione e divulgazione del proprio operato parlamentare, ma anche espressioni gravemente offensive di persone. Nella mia esperienza di “deputato semplice” (mi sì passi l’espressione) prima e di presidente della Giunta delle autorizzazioni della Camera poi, mi è capitato di esaminare casi in cui deputati chiedevano l’applicazione dell’immunità per frasi di contenuto osceno, per vilipendi della bandiera nazionale, per condotte materialmente lesive dell’altrui persona. In questi casi, disquisire di funzione parlamentare mi sembra francamente fuori luogo e bene ha fatto la Corte costituzionale ad annullare le relative deliberazioni parlamentari. Aggiungo che quando la magistratura, pur sollecitata dalla parte offesa, non ha ritenuto di elevare conflitto d’attribuzioni innanzi alla Corte costituzionale, è dovuta intervenire nientemeno che la Corte europea dei diritti dell’uomo per riconoscere ai soggetti gratuitamente svillaneggiati un equo risarcimento. Orbene, le sentenze che ineriscono al senatore Pera non sono dunque che il frutto dell’eccesso in cui le Camere sono incorse nel considerare l’immunità anziché una giusta garanzia della funzione un privilegio personale. Sicché la conseguente costante e condivisibile giurisprudenza della Corte costituzionale ha inteso ribadire che il diritto di critica, pienamente riconosciuto in Italia, va esercitato da lutti i cittadini in condizioni di parità, senza che i parlamentari possano avvalersi gratuitamente di uno speciale statuto immunitario. Altrimenti non di libera critica si tratterebbe ma di una stravagante licenza d’insulto. Del resto, la recente legge n. 140 del 2003 ha attuato l’articolo 68 della Costituzione nel senso di richiedere un visibile nesso tra le dichiarazioni oggetto di un processo e l’attività parlamentare.
Vincenzo Siniscalchi
Presidente della Giunta delle autorizzazioni, Camera dei deputati, Roma
Pienamente d’accordo sul fatto che affermazioni calunniose, offensive o volgari rivolte a privati non possano in alcun modo essere ricondotte all’esercizio di funzioni parlamentari. Ma nel mio articolo distinguevo bene questi casi da quelli che hanno dato spunto alle sentenze che commentavo, nei quali si trattava invece di critiche, anche aspre, ma di chiarissima natura politica. Tant’è che la stessa Corte suggerisce al giudice penale di considerarle così: come espressioni non diffamatorie di libera critica politica. Quel che più conta, mi pareva (e mi pare) che in quei casi il “nesso funzionale” con l’esercizio di funzioni parlamentari tipiche fosse argomentala le. E che solo la giurisprudenza formalistica inaugurata nel 2000 dalla Corte costituzionale abbia impedito di ravvisarlo. Ignoravo, sinceramente, che la Presidenza della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dei deputati condividesse invece questa giurisprudenza.
Nicolò Zanon
Il Sole 24 Ore, 28 novembre 2004