02 Novembre 2007  

Il Papa davanti alla coscienza

Redazione

 

C’è un filo rosso di natura liberale nella riflessione del Papa ai farmacisti cattolici. La premessa implicita è che i diritti fondamentali non dipendono da un giudizio altrui sulle capacità o qualità che un individuo esprima in un dato momento della sua esistenza, né dall’altrui disponibilità a stabilire una relazione con lui, bensì, per l’appunto, dalla sua stessa esistenza. Nozione, questa, che fonda il principio di uguaglianza, vale a dire il fondamento stesso della democrazia. Il fatto che quando sussista il processo esistenziale continuo e autogovernato in cui s’identifica la vita di un individuo umano sussistano anche i diritti propri di un essere umano non è un’impuntatura ecclesiastica, ma il cardine della civiltà moderna.
A monte c’è il convincimento che le istanze etiche fondamentali non costituiscano mero riflesso di scelte a priori filosofiche, religiose o culturali, ma facciano capo a una dimensione tipica dell’umano: quella che ci fa constatare come gli interrogativi sul bene e sul giusto non si fondano sul decidere, ma sul comprendere. Né ciò stupisca: che cosa è la scienza se non la faticosa lettura di una realtà che già esiste, e della quale viviamo? E perché, dunque, non ci sarebbe nulla da riconoscere, invece, sul piano etico o antropologico? Alla base della democrazia, in realtà, c’è un altro da riconoscere, che esige l’agire verso di lui in modo conforme alla sua dignità. Lo si era capito nel secolo stesso dei lumi, quando la democrazia fu costruita sul discernimento dei diritti dell’uomo, cioè di esigenze etiche con lo spessore di un’oggettiva corrispondenza all’umano, contro tutti gli interessi di parte. Il che, ancor oggi, rende manifesto come il riferimento a un esigente giudizio morale rappresenti l’unico possibile presidio della libertà di qualsiasi attività umana nei confronti dei più diversi poteri.
Da simili presupposti il Papa ha richiamato, con riguardo al settore farmaceutico, la centralità del rispetto della coscienza individuale nei casi in cui venga richiesta una condotta (comunque) suscettibile di incidere sui diritti umani fondamentali. Ciò che, del resto, era stato riconosciuto nel 2004 dal Comitato Nazionale per la Bioetica – facendo riferimento al Codice di deontologia medica (vale, tuttavia, anche il riferimento quantomeno analogico a ciò che esprimono in tema di obiezione la legge n. 40/2004 e la stessa legge n.194/78) – con riguardo alla prescrizione sanitaria di prodotti dei quali non possa escludersi l’interferenza con lo sviluppo, in fase precoce, dell’embrione umano.
Nella misura in cui il problema sussiste, e se non sussistesse sarebbero le stesse case farmaceutiche le prime interessate a negarlo (ma ciò non si evince dai foglietti illustrativi), esso non può essere celato attraverso obbligazioni contro coscienza. E ove si ritenga di rendere disponibili determinate molecole per fini indiscutibilmente problematici rispetto a beni fondamentali (a prescindere dalla riflessione sulle sedi decisionali competenti e dalla definizione di ciò che costituisce presidio terapeutico) non è liberale realizzarlo imponendo scelte contro coscienza nell’esercizio di attività professionali. Del pari, riveste un contenuto liberale ben difficilmente contestabile, nelle parole rivolte da Benedetto XVI ai farmacisti, la sottolineatura dell’importanza che assume l’informazione circa i problemi anche etici soggiacenti all’uso di determinati mezzi, in quanto requisito cardine di una libertà che non sia solo formale. Le parole del Papa richiamano a non banalizzare i comportamenti: è un’esigenza laica che, forse, ci potrebbe trovare tutti sensibili. Anche per saper tornare a condividere qualcosa, nella democrazia pluralistica, circa il valore umano di ogni nuova vita e l’aiuto alla donna che ne rende possibile l’esistenza: persistere nel trascurare queste dimensioni non avrebbe davvero nulla a che fare con la laicità.

(da Avvenire)