03 Giugno 2008  

Il Pigneto, la Sapienza e la difficile strada della legalità

Redazione

 

Il dibattito politico di questi ultimi giorni ha evidenziato tutta la difficoltà che vi è in Italia a maneggiare la nozione di stato di diritto: quella nozione per la quale esiste un principio di legalità che vale per tutti, che dunque ogni cittadino può rivendicare e che lo Stato è tenuto a far rispettare.

E’ una difficoltà che viene da lontano e che richiama le peculiarità della storia dell’Italia repubblicana, che ha conosciuto forze politiche collocate originariamente in una prospettiva di doppiezza; il confine della legalità si è poi andato facendo sempre più indeterminato a causa della posizione politica del tutto peculiare che l’Italia è venuta a occupare nella guerra tra le due superpotenze: dal ’48 in poi saldamente collocata sul versante atlantico, ma troppo prossima alla zona d’influenza sovietica per poter aspirare a stabilità e autorevolezza.

Poi, in seguito, col ’68, la zona grigia tra ciò che è legale e ciò che non lo è si è ulteriormente ampliata. E si è creata una indeterminatezza di massa: dalle scuole alle università, dai cortei che sfilavano nelle vie delle città ai posti di lavoro, l’illegalità è stata tollerata ritenendo che in questo modo fosse possibile assorbire lentamente quella protesta di massa che l’anno degli studenti aveva suscitato. Anche per questo in Italia il ’68 è durato più di un decennio. Anche per questo si è creato un drammatico collegamento tra quella stagione e gli anni del terrorismo.

Nonostante siano passati diversi decenni, non è facile liberarsi di questo retroterra, né acquisire su questo tema una mentalità più lineare. Qualcuno potrebbe dire più europea.

Tre esempi tratti dalle cronache di questi giorni lo attestano. Il primo lo possiamo derivare dalla notizia dei tanti tentativi di giustizia fai da te suscitati dalle situazioni intollerabili create in alcune parti del Paese dal fenomeno dell’immigrazione clandestina. Da un lato osserviamo la tendenza a giustificare questi atti, dall’altro – ed è se si vuole una tendenza ancora più diffusa – a nutrire lassismo e tolleranza nei confronti dei fatti che li hanno provocati. Quasi si potesse punire solo il fallo di reazione senza considerare il fenomeno che lo ha originato.

In pochi hanno ritenuto che la strada da seguire fosse quella di pretendere che lo Stato torni a far valere se stesso nell’opera di contrasto dell’immigrazione clandestina e delle sue conseguenze, senza cedere prerogative che gli sono proprie ad iniziative estemporanee e personali.

Quanto questa difficoltà abbia a che fare con il vizio di ideologizzare qualsiasi discorso che riguardi la legalità lo si può comprendere riflettendo su ciò che è avvenuto al Pigneto: i fatti recenti sono stati attribuiti immediatamente e meccanicamente a degli estremisti di destra, e solo dopo che si è scoperto il tatuaggio di Che Guevara sull’avambraccio dell’aggressore ci si è decisi ad affermare ciò che invece avrebbe dovuto essere sostenuto fin dall’inizio: che la violenza va deprecata, perseguita e condannata in ogni caso, indipendentemente dall’ideologia di chi la commette.

Infine, si è assistito al “sequestro” del presidente di Lettere dell’università La Sapienza, Guido Pescosolido, che ha ricordato imprese analoghe compiute nel corso degli anni ’70. E qui la falsa coscienza è venuta allo scoperto, in quanto i protagonisti dell’impresa si sono pubblicamente doluti del fatto che si fosse parlato di sequestro, laddove essi si erano limitati a fare in modo che il professore restasse rinchiuso nella sua stanza: quasi che un atto illegale ma non tanto illegale, così come nel passato, debba essere obbligatoriamente tollerato.

Di fronte a tutto ciò, nei prossimi giorni e nei prossimi mesi si sprecheranno le analisi sociologiche sul nuovo disagio giovanile. Seguiranno quelle dei politologi sulla estremizzazione del conflitto dovuta alla fuoriuscita della sinistra estrema dal Parlamento. C’è un solo modo per affrontare tutto ciò: spiegare che un Paese civile è anche un Paese nel quale la legalità va rispettata. Farlo con parole che assegnano a questo concetto il valore di una importante conquista politica. Senza farlo ex cathedra o ricorrendo a formule astruse. Si tratta, insomma, di modificare il senso comune. Il Paese è pronto. Vedremo se la classe politica saprà essere al suo stesso livello.