Immobili in cambio di debiti
Il consiglio di amministrazione della Cassa depositi e prestiti (Cdp) ha dato ieri il via libera alla costituzione di una società di gestione del risparmio (Sgr) per lo sviluppo di fondi comuni di investimento immobiliari. La Sgr è lo strumento attraverso il quale la Cdp diventerà protagonista del “Piano Casa” del Governo che prevede la valorizzazione delpatrimonio immobiliare degli enti territoriali e nuove iniziative di social housing. Il Dpcm attuativo del Piano Casa, anticipato dal Sole-24 Ore domenica scorsa, prevede un fondo di investimento nazionale partecipato dalla Cdp e articolato in una rete di fondi immobiliari e di investimenti pubblici e/o privati da promuovere localmente. Il Governo contribuirà con 150 milioni e potrà partecipa-re ai fondi locali con una quota massima del 40 per cento. Al resto penseranno fondazioni bancarie e assicurazioni. Si punta a raccogliere 1-3 miliardi di euro, trasformabili in 20-30mila appartamenti.
Ma è sufficiente questa operazione per risolvere il problema dell’edilizia sociale (si stima un fabbisogno di 4 milioni di appartamenti)? Non è troppo lento e macchinoso il meccanismo dei fondi locali? C’è un’alternativa più ambiziosa, più rapida e che avrebbe un forte impatto sul debito pubblico. Il progetto, che è sulla scrivania del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, è stato presentato a un seminario della Fondazione Magna Carta da Fabrizio Ghisellini, all’epoca direttore finanziario del Comune di Roma e ora dirigente del Tesoro, e Salvatore Rebecchini, presidente di F2i, il fondo per le infrastrutture avviato dalla Cdp. Prevede lo scambio tra la Cdp e gli enti locali di 75 miliardi di debiti contro immobili di valore equivalente da conferire a un fondo immobiliare. Tremonti ha chiesto a Goldman Sachs di valutare la realizzabilità del progetto e di segnalarne le criticità. L’operazione consentirebbe una riduzione-shock del debito pubblico e restituirebbe margini di azione agli enti locali, responsabili dell’80% degli investimenti pubblici ma al momento paralizzati nella loro capacità di investimento (e quindi di indebitamento) da una situazione delle entrate assolutamente statica. Il primo passaggio consiste nell’individuazione di un patrimonio immobiliare, degli enti locali e delle Ater (Aziende territoriali per l’edilizia residenziale), per un valore di libro di circa 60 miliardi con un valore teorico di mercato di 150 miliardi. Poiché il mercato non sembra in grado di assorbire questi immobili, ecco che entra in gioco la Cdp. La banca del Tesoro ha un portafoglio dì circa 75 miliardi di mutui verso Comuni e Regioni, l’equivalente di cinque punti di Pil. Con lo scambio mutui-immobili gli enti locali risparmierebbero ben 3 miliardi l’anno di interessi sul debito, più di quanto hanno perso con l’abolizione integrale dell’Ici sulla prima casa. Inoltre avrebbero 2 miliardi di minori spese per il rimborso del capitale. Gli immobili sarebbero conferiti a un fondo le cui quote andrebbero nell’attivo della Cdp al posto dei mutui verso gli enti locali. Al fondo potrebbero però apportare immobili “liquidi” anche soggetti privati e lo Stato (le caserme, per esempio). L’ideale sarebbe una ripartizione delle quote tra Cdp (40%), i privati, gli enti territoriali e lo Stato con il 20% ciascuno. A quel punto, anche con “soli” 85 miliardi di equity immobiliare (la Cdp ne conferirebbe 35), il Fondo potrebbe indebitarsi per 50 miliardi, da utilizzare nella realizzazione di circa 50mila abitazioni da affittare con canoni di intermediate housing (40-50% in meno dei canoni di mercato).
Quanto renderebbe il fondo? Ipotizzando un piano di dismissione ventennale, il rendimento potrebbe arrivare al 7% grazie alla valorizzazione degli immobili liquidi, alle plusvalenze realizzate con la cessione annuale del 5% degli immobili, alla differenza tra canoni di intermediate housing e costo del debito. Alla Cassa arriverebbero 1,5 miliardi di dividendi e 0,7 miliardi di rimborsi fin dal primo anno. Grazie a ulteriori meccanismi di garanzia a carico degli enti locali, i flussi in entrata per la Cdp sarebbero analoghi a quelli attualmente derivanti dai mutui. L’operatività della banca non ne risentirebbe. La Cdp, oltretutto, diventando l’investitore istituzionale dedicato al social housing (una specie di Agenzia per la casa sul modello della Housing Corporation inglese), potrebbe giustificare quell’accesso facilitato al credito (la raccolta postale) contestato dalle altre banche e dalla Commissione europea. Lo schema è ancora da perfezionare. Per esempio, ci sono enti virtuosi, con poco debito e molti immobili, ed enti con debiti elevati e pochi immobili: come avverrebbe una ipotetica compensazione? Ma se anche fosse realizzato solo in parte, il piano mobilizzerebbe risorse significative e potrebbe contribuire a costruire il quadro del federalismo fiscale.