Privacy Policy Cookie Policy

Lasciatemi iniziare dicendo che per me è un grande onore poter parlare davanti a un pubblico così prestigioso. Devo fare le mie congratulazioni a Gaetano Quagliariello, presidente della “Fondazione Magna Carta”, e a Danielle Pletka, voce presidente dell’American Enterprise Institute, per aver organizzato un evento di grande interesse.
Nel report “Transatlantic Trends”, di recente pubblicazione, è scritto che “negli ultimi anni della presidenza di George W. Bush, i policy-maker americani ed europei hanno mantenuto una condotta pragmatica, mettendo da parte le differenze del passato sulla guerra in Iraq per dare risalto alla cooperazione nelle sfide comuni in Afghanistan, Iran e nell’economia globale”. In altre parole, nonostante le critiche e i dubbi ricorrenti, la cooperazione tra le due sponde dell’Atlantico è ancora “viva e vegeta” e i legami della nostra comune amicizia diventano sempre più forti e profondi. Le Relazioni Transatlantiche restano oggi, più che mai, l’elemento centrale delle relazioni internazionali.
Il mondo sta cambiando per l’influenza di centri di potere sovranazionali, transnazionali e locali, rappresentati da organizzazioni regionali, società multinazionali ma anche dal crimine organizzato e dai movimenti separatisti. Vi sono nuove minacce globali (il riscaldamento del pianeta, la proliferazione delle armi di distruzione di massa e il terrorismo internazionale), e minacce di tipo regionale in Medio Oriente, Caucaso, Africa e in altre aree del mondo. Sono anche emersi nuovi attori internazionali: Cina, India, Brasile, per citarne solo alcuni. Tali sviluppi e tali sfide richiedono un nuovo tipo di governance globale cui Europa e Stati Uniti devono dare forma insieme.
Per quanto a volte possa sembrare inevitabile, l’unilateralismo è una risposta inadeguata e insufficiente alle minacce e alla sfide che noi tutti dobbiamo affrontare. Sono indispensabili una visione comune, un unico scopo e una linea d’azione condivisa tra Europa e Stati Uniti. Come alleati e partner, Stati Uniti ed Europa sono insostituibili l’uno per l’altro. Ciò che rende il legame transatlantico davvero unico, proiettato verso il futuro più che ancorato al passato, è la forza degli ideali nonché degli interessi che abbiamo in comune.
Noi crediamo nella libertà e nella dignità dell’individuo come valori universali su cui non è ammissibile scendere a compromessi. Noi crediamo nella democrazia come il modello migliore possibile per dare una compiuta espressione politica agli ideali di libertà e giustizia. E siamo consapevoli che la realizzazione pratica di questi ideali deve adeguarsi nella forma e nei tempi, in modo da tener conto di situazioni, tradizioni e culture differenti. Gli interessi che abbiamo in comune sono una diretta conseguenza dei principi in cui crediamo in quanto democrazie liberali e libere economie di mercato.
Il 2003 è stato un anno di tremende divisioni tra America e Europa, e all’interno della stessa Europa, sulla condotta da assumere in Iraq. E’ stato un capitolo drammatico ma istruttivo. Noi europei abbiamo imparato che un forte rapporto con gli Stati Uniti è d’importanza vitale per il rafforzamento dell’unità della stessa Europa. E d’altro canto, che tensioni nei nostri rapporti con gli Stati Uniti sono causa di divisioni e un elemento di debolezza per l’Europa. E non c’è bisogno di dire che un’Europa debole e divisa non sarà mai nella condizione di far fronte alle minacce e alle sfide globali come invece dovrebbe.
Ma anche gli Stati Uniti hanno avuto lezioni da imparare. Hanno imparato che per contrastare con successo quelle sfide e quelle minacce – sfide e minacce che nessuno può affrontare da solo – l’America ha bisogno di contare sull’aiuto degli amici e degli alleati. E gli Stati Uniti sanno che un’Europa unita, che abbia la volontà e la capacità di impegnarsi attivamente come attore globale, è l’alleato e il partner più affidabile e credibile su cui possono contare, come il Presidente Bush ha spesso riconosciuto.
Su entrambi i versanti dell’Atlantico stiamo per sperimentare una stagione di grandi cambiamenti. Da come li affronteremo dipenderà in larga misura il modo in cui saremo capaci di ridefinire la nostra alleanza per il futuro che è alle porte.
Negli Stati Uniti, l’elezione di un nuovo Presidente rappresenta un cambiamento importante che farà sentire la sua influenza a livello mondiale. L’interesse e l’entusiasmo con cui il mondo sta seguendo la campagna elettorale sono la prova più tangibile e rassicurante di come la capacità di attrazione globale degli Stati Uniti è lontana dal suo declino. In ogni caso, le Relazioni Transatlantiche continueranno a essere una priorità per Washington. I candidati alla presidenza, sia il Senatore McCain che il Senatore Obama, lo hanno confermato in più di una circostanza.
In Europa anche noi siamo alla vigilia di cambiamenti importanti, come pure ci troviamo davanti a sfide altamente significative. Sapete che i 27 Stati membri dell’UE hanno firmato un Trattato che introduce miglioramenti sostanziali all’architettura istituzionale e alle procedure decisionali dell’Unione. Io mi auguro davvero che nel 2009 queste innovazioni possano entrare in vigore, malgrado il duro colpo patito con il recente referendum in Irlanda che ha respinto il Trattato di Lisbona. L’Europa non può permettersi di sprecare altro tempo, paralizzata nelle sabbie mobili degli interminabili negoziati che sono stati condotti negli ultimi sette anni. La globalizzazione, infatti, avanza più velocemente delle nostre discussioni sulle riforma delle istituzioni dell’Unione Europea.
L’Europa deve trovare una linea d’azione comune. Noi abbiamo bisogno di un’Europa più forte, di un attore globale che sia partner serio e affidabile per gli Stati Uniti. Un partner che non venga meno alle sue responsabilità, specie nel delicato settore delle politiche di sicurezza e difesa, ma che abbia la volontà e sia in grado di assumere su di sé queste responsabilità nella giusta maniera. Un alleato che sia finalmente capace di produrre sicurezza, invece di continuare a esserne un consumatore netto a spese degli americani. I leader europei e i vertici delle principali istituzioni dell’Unione ora convergono tutti nel sostenere che stringere un legame più saldo con gli Stati Uniti è una precondizione essenziale per il rafforzamento della coesione dell’Europa e della nostra capacità di diventare un autorevole attore globale.
Un’Europa forte ha bisogno di Stati Uniti forti. Washington è e rimarrà il protagonista fondamentale delle relazioni internazionali. Non tutti sono d’accordo. Alcuni analisti vedono una tendenza al declino e alla progressiva erosione della posizione degli Stati Uniti nel mondo. Questa non è la mia visione delle cose. La mia opinione è che le ricorrenti profezie che vogliono la potenza degli Stati Uniti in declino non si avvereranno.
E’ vero che l’ascesa di nuovi e vecchi attori globali è un dato di fatto ineluttabile. Ma questo non vuol dire che gli Stati Uniti perderanno in breve tempo il loro primato mondiale. L’influenza che l’America è in grado di esercitare in ogni angolo del globo è anche immateriale, qualcosa che è più difficile misurare concretamente ma che è, nondimeno, estremamente potente.
Senza una leadership forte e determinata da parte degli Stati Uniti, la comunità internazionale ha poca speranza di successo nelle difficili sfide che abbiamo davanti. E io credo che l’Europa, che legittimamente aspira a un riconoscimento del suo ruolo (lo status e le responsabilità di attore globale), abbia in quest’ottica una chiara missione da compiere. La missione di aiutare gli Stati Uniti ad esercitare la propria leadership nella maniera più efficace e di successo possibile. More Europe, no less America: dovrebbe essere questo il nostro motto quando parliamo di legame transatlantico.
Nell’agenda globale non mancano le questioni dove una simile leadership condivisa può e deve essere esercitata: Afghanistan (dove i nostri valori comuni e la nostra credibilità è a rischio); Medio Oriente (dove vorrei che l’Unione Europea svolgesse un ruolo politico maggiore); Iran (dove siamo chiamati a realizzare una politica che si muove su due binari, quello della sanzioni e quello del dialogo); la ridefinizione della governance internazionale (in favore di un multilateralismo efficace); i cambiamenti climatici (una delle preoccupazioni principali dell’opinione pubblica americana ed europea); la sicurezza internazionale (la crescita del costo dell’energia e le turbolenze economiche sembrano aver scalzato il terrorismo nell’agenda politica sia negli Stati Uniti che in Europa); la promozione della democrazia e dei diritti umani (che è un elemento cruciale dell’identità transatlantica).
Circa gli strumenti della nostra cooperazione, noi abbiamo bisogno, in particolare, di una relazione più ampia tra la NATO e l’UE. E’ una meta questa che non si raggiunge nell’arco di una notte. Ma con una ricca dose di flessibilità, pragmatismo e soprattutto volontà politica potremo centrare l’obiettivo, dal momento che l’UE sta sviluppando la sua nuova strategia di sicurezza e la NATO ha in cantiere l’aggiornamento del suo concetto strategico. Ritengo sia importante ricordare che quel che unisce le nazioni appartenenti alla NATO e all’UE è di gran lunga più forte di ciò che può dividerle. Nel prossimo futuro nessun altro gruppo di nazioni coopererà più strettamente. Neppure ci sarà un altro gruppo di nazioni in grado di generare una tale capacità magnetica nel promuovere la cooperazione politica e nel campo della sicurezza.
L’Alleanza Atlantica resta il fondamento della politica estera e di sicurezza sia degli Stati Uniti che dell’Unione Europea. La NATO ha già dimostrato la sua capacità di trasformarsi, adattandosi al nuovo contesto e alle nuove minacce. Ora dobbiamo compiere ogni sforzo necessario affinché la NATO abbia successo nelle cruciali missioni in cui le sue forze sono attualmente impiegate, dall’Afghanistan ai Balcani, e dove uno degli asset più preziosi dell’Alleanza, la sua credibilità, è a rischio. Il valore aggiunto che la NATO può fornire va oltre la dimensione puramente militare. Dobbiamo impegnarci a fondo per approfondire e far crescere la dimensione politica dell’Alleanza, così da continuare a garantire l’esistenza di un foro permanente di consultazione tra gli alleati.
Per l’Italia avere Relazioni Transatlantiche forti e vitali è di eccezionale importanza. Il governo italiano vuole ed è pronto a contribuire al conseguimento di questo obiettivo. Per l’Italia l’Atlanticismo è l’elemento fondante, la pietra miliare della sua politica estera.
La sfida italiana è quella di fornire un contributo costruttivo all’edificazione di un sistema multilaterale più efficiente ed effettivamente funzionante, che è la risposta più appropriata alla complessità delle sfide e delle minacce che la comunità internazionale deve affrontare. Abbiamo l’opportunità concreta di agire anche all’interno del G8, di cui l’Italia assumerà la presidenza il prossimo anno e che ha la specifica responsabilità di occuparsi di molti di questi pressanti e cruciali problemi globali.
Uno dei princìpi chiave della presidenza italiana del G8 sarà il rafforzamento delle iniziative volte ad aprire alla partecipazione di altri partner. Crediamo fermamente nella necessità di coinvolgere un numero crescente di attori nella ricerca di soluzioni praticabili e sostenibili alle principali sfide globali. Pertanto, il nostro scopo è quello di coinvolgere non solo le economie emergenti più l’Egitto, paese arabo che svolge un ruolo importante; ma vogliamo includere nel nostro dialogo tutti i paesi che posso offrire un utile contributo agli sforzi di coordinamento e di cooperazione in quelle regioni che sono minacciate più direttamente dalla diffusione dei gruppi terroristici a causa della loro instabilità e della loro esposizione al radicalismo.
Oggi la relazione transatlantica deve superare una nuova prova: la crisi tra Russia e Georgia. Europa e Stati Uniti hanno mostrato diverse sensibilità nella scelta dell’approccio da adottare specie nei confronti di Mosca, ma fino adesso sono state comunque in grado di prendere e mantenere una linea comune. Abbiamo condannato l’uso eccessivo della forza da parte della Russia in Georgia e abbiamo condannato la sua decisione unilaterale di riconoscere l’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud. Abbiamo unanimemente richiesto al governo russo di ritirare le sue forze nelle posizione antecedenti il conflitto. Abbiamo espresso il nostro pieno supporto verso l’integrità territoriale della Georgia. Abbiamo fornito aiuti umanitari alla Georgia e abbiamo deciso di convocare una conferenza internazionale per dare assistenza alla sua ricostruzione.
L’Unione Europea sotto la presidenza francese ha giocato un ruolo cruciale per fermare il conflitto e per sviluppare una strategia finalizzata a una soluzione pacifica e durevole della crisi. In particolare, l’UE ha deciso d’inviare in Georgia una missione di osservatori civili indipendenti; si è dichiarata pronta a preparare ed a partecipare alle future discussioni internazionali sulla risoluzione della crisi; ha sostenuto l’idea di un’inchiesta internazionale indipendente sul conflitto. In altre parole, l’UE ha mostrato di essere capace di fare la differenza anche in situazioni così delicate.
L’Italia ha tenuto un approccio equilibrato durante tutta la crisi. Da un lato, ha preso una posizione ferma e di solidarietà con i suoi alleati in Europa e in America. Dall’altro, non ha rinunciato allo sviluppo di un dialogo aperto e positivo con Mosca. Senza questo dialogo, saremmo ripiombati in un clima di antagonismo tra Russia e Occidente che non avrebbe giovato a nessuno.
La Russia ha una lunga tradizione come potenza di rango europeo e mondiale. Riconquistare tale status è stata la priorità della politica estera della presidenza Putin. Di ciò dobbiamo tenere conto. Una cooperazione costruttiva con Mosca – sia con la NATO che con l’UE – è indispensabile per affrontare con successo tutte le questioni più importanti a livello internazionale: Afghanistan, Iran, terrorismo, e altre ancora.
Su questo punto, come comportarsi con la Russia, Europa e Stati Uniti devono compiere ogni sforzo possibile per trovare una terreno comune. Disaccordo e divisioni su una questione di vitale interesse è un lusso che nessuno di noi può permettersi nel quadro dell’ordine mondiale sempre più interdipendente in cui viviamo.