18 Dicembre 2007  

La malintesa strada della modernità

Redazione

 

Non vedevano l’ora di poter titolare così. Lo tenevano a denti stretti.
Ma ce l’avevano sulla punta della lingua, sulla punta della tastiera, della rotativa. E infine ieri hanno mollato. Hanno potuto finalmente scriverlo nella posizione che un titolo così merita: in cima all’editoriale fiume della domenica: ‘Il papa che rifiuta il mondo moderno’.
L’estensore dell’articolo, Eugenio Scalfari, prima di disquisire sul testo dell’enciclica di Benedetto XVI ‘Spe salvi’, ci avvisa che il sospetto ce l’aveva da un po’. Lo si era notato, annuncia il giornalista­filosofo- teologo, questo Papa aveva dato qualche segno.
E ora finalmente si può dire: è un anti­moderno. Ecco, finalmente la categoria bell’e fatta, lo stampo già pronto. L’articolista se lo aspettava, poiché a suo dire ‘il cammino di Benedetto XVI verso la pienezza del suo magistero era stato fin qui piuttosto incerto’. Non si capisce cosa intenda ma la frase fa effetto. E dopo una iniziale ‘viva aspettazione’ (scrive proprio così, quasi con tocco curiale, invece di una più laica e normale ‘aspettativa’) il testo di Papa Ratzinger lo ha definitivamente deluso.
E convinto che si poteva dare il via al titolo che per i lettori di Repubblica equivale ben più che a una scomunica. Chi è contro il mondo moderno è automaticamente contro tutto ciò che quel quotidiano ritiene di rappresentare.
E invece io che teologo non sono, francamente m’aspettavo dagli esponenti culturali della modernità molto di più. E ancora me lo aspetto, nonostante Repubblica. Scalfari fa quasi tenerezza quando ci rimane male perché il testo dell’Enciclica è rivolto esplcitamente ‘Ai vescovi, ai presbiteri, e ai diaconi e a tutti i fedeli laici’.
Voleva che fosse rivolta anche a lui. Come se un’enciclica fosse lo scritto di un grande opinionista. Non si rassegna al fatto che il Papa faccia un mestiere diverso dal suo, e rivolga un documento ex cathedra a coloro che son tenuti a considerare quel documento non un’opinione ma un magistero vincolante. Si sente escluso e assediato Scalfari, e allora si ‘rifugia’ sul quotidiano secondo più venduto del Paese come se fosse un’ultima piccola trincea di difensori della modernità mentre intorno infuriano orde papaline che vogliono cancellare secoli di storia e di acquisizioni.
Ancora mi aspetto e ho visto altrove da parte di non credenti una maggiore curiosità. E non solo perché il terreno della speranza, come l’Enciclica mette in rilievo, è stato quello del maggior incontro tra cristiani e non, ma anche perché la categoria di modernità – come insegnano Leopardi e Nietszche tra gli altri – è una delle più ambigue e soggette, nella storia della cultura, a fraintendimenti e smentite. E a clamorosi rovesciamenti. In altre parole, è davvero sicuro il fondatore di Repubblica, che nella sua piccola povera trincea sta difendendo la ‘modernità’?
Non vede anche lui, come tutti noi, movimenti nella nostra epoca che mettono radicalmente in discussione quanto fino a ieri si presentava presuntuosamente con la patente di moderno?
Solo un esempio dalla cronaca di questi giorni, visto che mi rivolgo a un giornalista: è più moderno l’atteggiamento di coloro che in nome della ricerca scientifica senza ma e senza se sono disposti a sacrificare migliaia di embrioni, o il lavoro della dottoressa Eleonora Porcu che da scienziata (non da bigotta) ha dimostrato che ha ragione chi quel sacrificio condanna poiché sono altre le strade che permettono risultati scientifici e clinici?
Ed è più moderno chi liquida il problema della speranza e di Dio in un articolo con poche espressioni acrobatiche e qualche ritrito luogo comune, o chi impegna cento pagine di una riflessione che non ha paura di guardare in faccia la realtà, i mutamenti storici, le inquietudini e le risorse dell’uomo?

(da “Avvenire”)