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Partiamo dall’ovvio. Ogni progetto, sia esso un progetto per una casa o il progetto per una istituzione sociale, deve scaturire da una chiara visione degli obiettivi che si vogliono raggiungere. Altrettanto dicasi per qualsiasi  riforma: senza una preventiva definizione degli scopi da conseguire c’è il rischio che essa risulti inutile o, addirittura, dannosa.

L’Università è la più delicata tra tutte le istituzioni che costituiscono l’impalcatura di una società efficiente. I motivi di questa affermazione sono molteplici e qui vorrei esporli brevemente considerando solo i più importanti e trascurando la parte riguardante l’organizzazione didattica.

Ogni Istituzione deve fornire precisi servizi alla comunità che si fa, di conseguenza, carica della sua esistenza e funzionalità. A tutti i livelli, è un principio di sana efficienza quello che per cui chi paga ha il diritto di effettuare il controllo sulla qualità del servizio stesso. Nel caso delle istituzioni sociali, ciò è ovviamente impossibile per il singolo cittadino. Pertanto, questo compito viene demandato allo Stato, il quale si assume il dovere di esercitare il controllo per conto dei cittadini.

Oltre all’Università, vi sono altre importanti istituzioni. Ne cito alcune: la magistratura, la scuola, la polizia, ecc. Ognuna di queste ha il compito di offrire servizi più o meno facilmente valutabili in concreto e, teoricamente, tutti valutabili in tempi brevi. L’Università, a differenza delle altre, deve fornire vari servizi, che, per brevità, classifichiamo nelle seguenti tre categorie:

a) deve formare gli specialisti nei vari settori (medici, ingegneri, storici, ecc.)

b) deve garantire l’efficienza del processo cumulativo delle conoscenze e delle esperienze della società;

c) deve ricercare e acquisire nuove conoscenze che permettano il progresso della società stessa.

Dal punto di vista temporale, le prime due sono, al pari dei servizi forniti dalle altre istituzioni, valutabili in tempi brevi o medi, diciamo entro una generazione. La terza categoria invece richiede tempi più lunghi e questo rende l’Università  la più delicata delle Istituzioni sociali.

Per fare un esempio, se la formazione medica è carente, la società lo avverte nel giro di pochi anni, mentre se la formazione degli scienziati è carente, lo si avverte molto più tardi.

La terza categoria infatti richiede spesso tempi più lunghi per essere valutata: la storia della Scienza è piena di scoperte che hanno cambiato il corso delle vicende umane, ma la cui importanza è stata riconosciuta solo dopo molti anni.  Inoltre, essendo questo servizio di tipo iperspecialistico,  la sua valutazione deve essere demandata, per forza di cose,  alla Comunità stessa che lo espleta. Sono queste due peculiarità  che rendono l’Università la più delicata delle istituzioni sociali: il pericolo del formarsi delle corporazioni (intese non nel senso di Hayek di gruppo di pressione  ma di centro di potere avulso da controlli efficienti. Baronie, per intenderci) o, per usare un termine  più corrente, delle caste, vere metastasi dei corpi sociali, diventa più facile.

Non tutti i servizi inclusi nella terza categoria richiedono tempi lunghi per una valutazione: la parte più tecnologica, cioè la parte della conoscenza di più immediata applicazione, richiede tempi brevi,  essendo la sua produzione quantificabile con il numero di brevetti, contratti con l’industria ecc. La parte che richiede tempi più lunghi è quella che viene di solito chiamata ricerca di base. E’ questa la parte più importante e di più difficile valutazione. Necessariamente i controlli previsti devono essere di natura particolare, aderenti alla peculiarità del settore: paradossalmente, oggi  sono quasi del tutto inesistenti. L’assenza di controlli comporta il pericolo del formarsi di caste autoreferenziali del tutto avulse dal controllo che il tax payer (o il suo surrogato, cioè lo Stato)  avrebbe il diritto, e soprattutto il dovere, nel caso dello Stato, di effettuare.

L’autonomia concessa alle Università realizza proprio questo stato di pericolo, consentendo il formarsi di centri di spesa completamente avulsi dai soggetti pagatori. L’alibi è sempre lo stesso: bisogna creare l’autonomia perché in America funziona…”, dimenticando di dire che in America ci sono altri tipi di controllo sociale, non ultimo, ma certamente dirimente, la possibilità che l’Università possa fallire e tutti, rettori in primis, professori, ecc. rimanere senza stipendio. Inoltre, non è vero che l’università americana sia del tutto privata (a parte il fatto che gran parte di esse è gestita dai singoli Stati). La ricerca fondamentale, che, come abbiamo visto, è il servizio più delicato offerto da questa Istituzione, è strettamente gestita dallo Stato attraverso la NSF (National State Fundation) per quel che riguarda le Scienze e la NIH per quel che riguarda la medicina.

Si rimane sbigottiti nel constatare che tutte le riforme fatte negli ultimi venti anni abbiano colpevolmente trascurato l’aspetto della distribuzione dei fondi alla ricerca fondamentale, in ogni caso dissociandola da una seria valutazione della stessa: l’autovalutazione, come si è avuta talvolta la sfacciataggine di chiamarla, è un non senso.

Riassumendo. Fino a quando l’erogatore dei fondi continua ad essere lo Stato, quest’ultimo ha il dovere di controllare che tali fondi siano spesi per fornire ai cittadini i servizi per i quali essi pagano le tasse. Questo implica che la governance dell’Università non può essere demandata alla corporazione la quale gestisce i fondi autonomamente e quindi è di fatto avulsa dal controllo sociale. Ribadendo un concetto già espresso, la formazione di caste o corporazioni.

(L’Occidentale)