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Insieme al problema della quantità delle fonti da esaminare, esiste quello dell’accesso ad esse. Fortissima è la tendenza dei ministeri a conservare le proprie carte, senza che a questo spirito proprietario si accompagni una cura adeguata degli archivi detenuti.

Quelli delle questure, come ho potuto constatare, si stanno rapidamente impoverendo a causa della distruzione sistematica conseguente alla mancata cura dei depositi, degli inventari, del personale ecc. Si tratta di materiale prezioso che invece di essere versato rapidamente agli Archivi di Stato, inesorabilmente va al macero in sottoscale, cantine, magazzini sottoposti a infiltrazioni di acqua e all’opera di addentatissimi sciami di roditori.

Inutilmente nel corso delle mie ricerche ho informato i ministri, compresi quelli in carica, della necessità di liberalizzare la consultazione disponendo il trasferimento del materiale che non serve più a fini operativi nelle strutture degli archivi statali. E’ un’esigenza che ho visto condivisa allo stesso personale delle questure che ho visitato. Ma finora non c’è stato niente da fare. Roma tace, sorniona e intrigante.

Malgrado i poteri di cui le Commissioni dispongono, la liberalità e la gentilezza di capi-gabinetto e funzionari (mi sia permesso ricordare il gen. Biagio Abrate del Ministero della Difesa, e il Dott. Vincenzo Scopece del Ministero dell’Interno al pari del personale delle questure di Bologna, Genova, Milano, Reggio Emilia, Modena, Imperia, Savona, Torino,Napoli ecc. e del sovrintendente dell’Archivio Centrale dello Stato prof. Aldo M. Ricci), i ministeri continuano ad avere una discrezionalità quasi assoluta.

Anche in questo caso, credo basti qualche esempio. Su argomenti come lo spionaggio politico, militare, industriale ecc. sovietico in Italia, sulla cd rivolta antifascista di massa dell’estate 1960, sugli attentati ai treni, sull’addestramento di migliaia di comunisti in Cecoslovacchia, sui prelievi di tangenti da parte dei Pci sull’import-export con i paesi dell’Europa orientale, sul Cominform, sull’Urss ecc., ho ricevuto dal Ministero della Difesa del materiale incredibilmente scarso. E’ costituito prevalentemente dalle relazioni dei dirigenti del servizio segreto (Sifar) relativamente ad una manciata di anni, quando era diretto dai generali U. Broccoli ed E. Musco.
Più ricco, grazie alla maggiore liberalità del ministro Giuseppe Pisanu, il bottino raccolto presso il Ministero dell’Interno. Pochissimo o nulla è filtrato dagli archivi praticamente impenetrabili, in violazione della legislazione esistente, dell’Arma dei Carabinieri. Eppure non esiste nessuna legge che la esenti dal versare le propri carte all’Archivio Centrale dello Stato o di ammettere gli studiosi alla loro utilizzazione nelle stesse sedi dell’Arma.

Un archivio in pericolo

L’ultima osservazione che intendo fare concerne la fine del materiale archivistico accumulato dalle Commissioni. La sua destinazione è l’Archivio storico del Senato. Avrei preferito, insieme ai colleghi della Società Italiana per lo studio della storica contemporanea, quella dell’Archivio Centrale dello Stato dove esiste un personale specializzato e spazi adeguati per accogliere studiosi e ricercatori, anche se la tragica mancanza di fondi rende l’informatizzazione e la stessa a manutenzione e salvaguardia di queste carte non poco problematica. Purtroppo anche per la tenuta degli archivi siamo il fanalino di coda dell’Europa.

Il versamento delle carte acquisite dalle Commissioni parlamentari di inchiesta esige una procedura che può richiedere anche lunghissimi anni. Nelle more le carte diventano oggetto di una sorta di usucapione, se non di monopolio privato, dei responsabili degli uffici stralcio. Rude pagana burocratica razza padrona.

Possibile che il Presidente del Senato Franco Marini e della Camera Fausto Bertinotti e in generale le stesse assemblee elettive non abbiano l’interesse, e la forza, per segnare una discontinuità con questa prassi, imponendo agli uffici-stralcio di sottoporre ad un regime di apertura, cioè di consultabilità, i materiali acquisiti dalle Commissioni?

La Commissione fa valere il vincolo di segretezza, per 20 anni, anche sulle schede degli ufficiali del Sifar che riguardano pettegolezzi, notizie raccolte di terza o quarta mano sulla vita del Pci la cui importanza è semplicemente ridicola o nulla. Oppure su segnalazioni relative a riunioni di sezioni o di segreterie di federazioni su armamenti, manifestazioni ”sediziose”, il cui fondamento viene smentito dallo stesso Sifar nel giro di qualche mese. Oppure si blindano i dossier (privi di ogni valore) su Pietro Secchia, Massimo D’Alema e su vecchi dirigenti partigiani. Per non parlare delle numerose carte dell’intelligence sull’inchiesta relativa alla Gladio rossa condotta da Franco Ionta, che si trova allegata al relativo processo a Piazzale Clodio, a Roma, o alla strage di Bologna.

Il protagonista di queste carte è certamente il Pci. Ma essendo uscito di scena, condannato dalla storia e dagli elettori, per quale ragione si ritiene che possa essere vulnerato e offeso dal rendere pubbliche le prove del suo passato grande e terribile?
Insomma, aveva o no un braccio militare che dall’Italia si estendeva a Praga e Mosca? Riceveva o no vagoni di miliardi di dollari dai cari compagni sovietici e dal Kgb? Prelevava o no tangenti miliardarie dall’import-export con i paesi dell’Europa orientale?

In base all’infausta delibera proposta dal sen. Paolo Guzzanti e approvata dalla Commissione Mitrokhin, le carte trasferite alle commissioni parlamentari dai ministeri perdono l’eventuale classifica (cioè il vincolo di segretezza che ne vieta la consultazione) solo se l’ente erogatore (Ministero della Difesa, Presidenza del Consiglio, Sismi ecc.) accetta di rimuoverlo nell’arco di trenta giorni dal momento in cui viene informato che tali carte saranno trasferite all’Archivio storico del Senato.
Sia per la sindrome proprietaria esclusiva da cui sono dominati i ministeri sia per l’impossibilità di rinvenire, ed esaminare attentamente fino a rimuoverlo, il vincolo di segretezza apposto, per 20 anni si badi bene, su migliaia di carte prelevate dai consulenti e avviare una procedura per la loro de-classificazione, esse restano segrete, riservate, cioè inconsultabili anche quando approdano al Senato.

Questa procedura sembra essere assai insensata. Non si vede perché le commissioni parlamentari, che sono espressione, e anzi veri e propri organi, fonti primarie della sovranità legislativa rappresentata da Camera e Senato debbano sottostare alla volontà di organi secondari, come i ministeri e, peggio, gli uffici stralcio.

In altre parole, le Commissioni devono poter prescindere, a parte i problemi di etichetta, da autorizzazioni e decisioni esterne, de-classificando, se lo si ritiene necessario e opportuno, i documenti qualunque siano i vincoli con cui sono pervenuti dagli enti erogatori.
Stabilire un principio diverso significa fare strame delle funzioni e dell’identità stessa del potere del parlamento.

Amato e Parisi, Lor Signori delle carte

La domanda di essere autorizzato a consultare le stesse fonti qui richiamate l’ho riproposta al nuovo governo di centro-sinistra di Romano Prodi, che ha sostituito quello di centro-destra di Silvio Berlusconi. Ma i nuovi ministri della Difesa e dell’Interno hanno ritenuto di non dovermi dare una risposta. Né scritta né orale.

Sia pure in una maniera così rusticana, da Lor Signori, credo abbiano voluto comunicarmi il loro veto alla consultazione degli archivi indispensabili per accertare lo spionaggio del Kgb in Italia, l’esistenza dell’apparato militare del Pci e le sue diverse incarnazioni nel tempo ecc., cioè i postumi, gli strascichi della guerra civile che si è combattuta in Italia anche dopo il biennio del “roveto ardente” 1943-1945.

Temo che l’argomento non sia considerato di qualche importanza. Ma è anche possibile che i due ministri pensino di affidarlo a storici loro amici o ben timorati di Dio e delle alleanze di governo di quanto, in verità, possa assicurare io. Non avrebbero torto. In questo senso io non do garanzie.

Ritengo tuttavia il loro comportamento omissivo (o non permissivo, che dir si voglia) un contributo (consapevole o meno) di prima grandezza non a cercare di dipanare, diradando le pesanti cortine di nebbia che l’avvolgono, ma piuttosto a conservare, alimentandone l’esistenza, ogni possibile mistero sulla storia dell’Italia repubblicana.

Ampie tracce di questa cultura demonizzante e complottistica è facile cogliere nelle relazioni e anche tra i consulenti delle commissioni parlamentari presiedute, per circa un decennio, dal senatore diessino Giovanni Pellegrino. Mi pare, però, corretto e doveroso ricordare che a lui si devono delle ricostruzioni della storia d’Italia e dei suoi misteri (1) segnate da grande equilibrio e onestà, poco e nulla in sintonia con la storiografia del suo partito e dei suoi stessi principali consulenti.

Confesso che l’interpretazione Cia-centrica della storia d’Italia mi è sempre sembrata solo il frutto di una concezione pigra, malthusiana, della ricerca storica. Forse è solo un’ossessione da “uffici riservati” o più banalmente da politicanti.
Chi, nella navigazione tra i palazzi romani, è abituato a troncare e a sopire, a sopire e a troncare ogni cosa possa irritare o solo disturbare il maggiore alleato di governo (ieri ed oggi nella sinistra sono sempre i comunisti), non esita a fare strame della stessa possibilità di studi un minimo disinteressati sulle principali vicende del nostro passato più recente.

Col negare la consultazione degli archivi ai singoli studiosi, a centri universitari (come nel caso dell’Ateneo di Ferrara, presso il quale peraltro lavoro) e col consentirla in misura parziale alle stesse commissioni parlamentari di inchiesta, si finisce per alimentare irresponsabilmente l’esistenza di una regia politica (individuata costantemente nei nostri alleati del Patto atlantico) dietro “misteri”, “stragi” e “colpi di Stato”. Da Portella della Ginestra arrivano all’intentona Segni-De Lorenzo, dal golpe del principe Borghese al rapimento e all’assassinio di Aldo Moro, agli attentati ai treni, alla strage di Bologna del 2 agosto 1980 ecc.

Ma Parigi val bene una messa per quanti agguantare un ministero, saltare sulla tolda di comando di un governo o di un governicchio, considerarsi una “riserva della repubblica” o la personificazione del “nuovo che avanza”, dell’incorruttibilità ecc. assomiglia ad un assalto al cielo. Ho l’impressione si tratti, invece, del solito giro fisso intorno al proprio ombelico. Ipertroficamente rigonfiato da un’alta considerazione di sé.
Di questa solfa sono spesso fatti i potentati politici italiani.

Ovviamente mi auguro che i ministri Amato e Parisi, anche senza dover sottostare agli obblighi del parlamento e della magistratura, vogliano imitare i loro predecessori, Antonio Martino e Giuseppe Pisanu, in liberalità e rimozione di veti.
Escludere dal contenzioso politico tra centro-destra e centro-sinistra l’accesso agli archivi e la loro più ampia e indiscriminata consultazione sarebbe un segno di fine della reciproca perdurante demonizzazione. Diciamo pure una piccola, ma robusta, conquista di civiltà in un paese in cui la politica spesso pregiudica gli stessi diritti di cittadinanza.

Ma non si tratta di una facile conquista. Mentre scrivo vengo informato di due decisioni. La prima: il Ministero dell’Interno sul materiale di archivio rinvenuto dai consulenti ha ribadito il proprio parere “relativo alla persistenza del vincolo della vietata divulgazione della documentazione acquisita, a prescindere dall’originaria classifica di riservatezza, consentendone la pubblicazione per le esclusive finalità interne della Commissione stessa”. La seconda: le carte sull’apparato militare del Pci, sul Cominform, sullo spionaggio sovietico, cioè su realtà dileguatesi, ormai fuori mercato, di cui ho nuovamente sollecitato la consultazione, avrebbero un ”interesse ancora attuale”. Pertanto, non sono consultabili!

E’ difficile sottrarsi all’impressione che al Ministero dell’Interno o quello della Difesa ci siano ministri e anche semplici funzionari o collaboratori convinti di rappresentare, e non solo interpretare, le ragioni superiori dello Stato.
Temo che a questo micidiale culto di sé, del proprio ruolo e addirittura della propria persona, si deve il malthusianesimo nel concedere l’accesso ai documenti e sulla loro pubblicabilità.
Questo significa nascondere o soltanto far mancare la prova. Il suo uso, come un indispensabile principio di realtà, ha accomunato giudici e storici, fino ad alimentare una storiografia moralistica ispirata ad un modello giudiziario.

Da Marc Bloch abbiamo imparato che il mestiere dello storico consiste nel comprendere (chi era Robespierre) e non nel giudicare (dicendosi robespierristi o anti-robespierristi). (2) I politici vorrebbero riportarci a questo secondo corno del dilemma. E’ come brandire una clava, un’arma, direi dare fiato ad una cultura che può annunciare solo un pervertimento autoritario dello Stato. Poco importa se con un segno di destra o di sinistra.

(1) Penso a Segreto di Stato. La verità da Gladio al caso Moro, Torino 2000; La guerra civile, Milano 2005, redatte per l’editore Einaudi e la Bur in collaborazione con Claudio Sestieri e soprattutto con un giornalista parlamentare di “Panorama”, Giovanni Fasanella. La sua spiccata sensibilità alla ricerca storica è dimostrata dalle interviste Il misterioso intermediario (con G. Rocca), Torino 2003 e Che cosa sono le Br (con A.Franceschini), Milano 2004 e Guido Rossa, mio padre (con Sabina Rossa), Milano 2006.

(2) M. Bloch, Apologia della storia o mestiere di storico, Einaudi, Torino 1969, pp, 123-125.