02 Novembre 2007  

L'aborto, l'eutanasia e la lezione di Benedetto

Redazione

 

Anche se ormai si è spenta la discussione in merito al discorso che Benedetto XVI ha rivolto ai partecipanti al XXV Congresso internazionale dei farmacisti cattolici, stigmatizzando la commercializzazione di farmaci abortivi ed eutanasici, ha un senso continuare a riflettere sulle parole del Papa, la cui rilevanza ha un valore esemplare, che sembra andare al di là della situazione contingente. Vorrei soffermarmi in particolare su tre singoli punti attinenti al discorso.
In primo luogo si  tratta di un discorso rilevante sotto l’aspetto mediatico. In generale, ogni discorso del Papa – per l’autorevolezza della sua figura e della sua funzione – rileva sotto questo aspetto; nel nostro caso però la rilevanza del discorso acquista un profilo particolare. Grazie ad esso, infatti, potrà giungere a più ampi settori dell’opinione pubblica un’informazione particolarmente preziosa, sul fatto che si stanno moltiplicando (e sempre più si moltiplicheranno in futuro) le istanze per la commercializzazione, tramite le farmacie, di farmaci (o meglio di pseudo-farmaci) che non hanno alcuna funzione propriamente terapeutica, né genericamente “curativa”, ma che sono progettati e venduti con intenzionali finalità abortive ed eutanasiche. L’immagine che viene fornita di alcuni di questi pseudofarmaci (penso ad es. alla c.d. “pillola del giorno dopo”) è spesso volutamente ed eufemisticamente distorta: se ne indicano le funzioni contraccettive, ma se ne tacciono gli effetti propriamente abortivi; in altri casi (penso alla pillola RU 486) se ne banalizzano le contro-indicazioni (analiticamente descritte già da tempo in un documentatissimo libro di Roccella e Morresi, non a caso pochissimo citato dagli abortisti), dimostrando un’obiettiva insensibilità per i problemi di salute delle donne. Insomma, se questo discorso del Papa avrà come effetto quello di aumentare una maggiore e soprattutto una maggiormente corretta informazione dell’opinione pubblica, dovremmo tutti esserne più che soddisfatti.
In secondo luogo il discorso del Papa è rilevante sotto l’aspetto propriamente bioetico. Egli torna ad insistere sul dovere di lottare contro la progressiva “anestetizzazione” delle coscienze che caratterizza il nostro tempo e che induce così tante donne a pensare all’aborto non più come ad un’eventualità estrema, eccezionale e tragica, ma come ad una banale possibilità, gestibile attraverso altrettanto banali sussidi farmacologici (o meglio pseudo-farmacologici). Ma c’è anche un altro punto da  sottolineare e che per me punto possiede un rilievo ancora maggiore, per la sua forte carica di novità: il Papa delinea, in poche, ma perfette espressioni, l’essenza della deontologia del farmacista, che, se non vuole ridursi al rango, indubbiamente onesto, ma riduttivo, del mero commerciante, deve percepire se stesso come intermediario tra medico e paziente ed esercitare nei confronti di quest’ultimo una funzione di fondamentale informazione, che – data la delicatezza delle questioni sanitarie- diviene inevitabilmente una funzione “educativa”. Non è una mera e neutrale informazione lo spiegare ad una donna che quella pillola che essa sta per comprare non  si limita a rendere impossibile il concepimento, ma può produrre la morte di un figlio già concepito: quando è in questione né più né meno che la vita stessa ogni informazione o è “educativa”  o è per forza di cose “diseducativa”, se il valore della vita non viene adeguatamente ricordato e promosso.
In terzo luogo, il discorso del Papa ha una forte e legittima valenza politica. Questo è il punto cruciale. Sappiamo come molti laicisti abbiano reagito alle parole di Benedetto XVI ribadendo logore proteste contro le “invadenze” vaticane. Si tratta di proteste indebite, per una ragione formale e per una ragione sostanziale. Formalmente, perché l’eutanasia in Italia è illegale e lo è anche l’aborto, se non viene praticato nel rispetto di una procedura difficilmente compatibile con la vendita in farmacia di pillole abortive (e non solo la RU 486, ma anche la c.d. “pillola del giorno dopo” può di fatto produrre effetti abortivi): quindi, auspicare l’obiezione di coscienza alla vendita di prodotti abortivi ed eutanasici è paradossalmente un ammonimento perché non si violino, surrettiziamente, i principi normativi vigenti. Ma il cuore della questione, ovviamente, non è formale, ma sostanziale. Nella sostanza, l’appello del Papa per il riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza per i farmacisti va molto al di là del caso, pur delicatissimo, che lo ha provocato: è un appello perché non si perda la consapevolezza che quando sono in gioco temi etici fondamentali (e quelli della vita e della morte sono –se così si può dire- i più fondamentali di tutti), che suscitano gravissime questioni di coscienza, è dovere di tutti fermarsi e attivare una riflessione ampia ed articolata, per evitare che simili questioni vengano degradate a mere dispute di carattere ideologico o meno che mai confessionale. Fa impressione la superficialità con cui la Repubblica del 30 ottobre (pag. 2) afferma che accogliere l’appello del Papa (definito riduttivamente “una parola d’ordine”) equivarrebbe ad una “balcanizzazione” del nostro sistema sanitario, con una evidente allusione ai conflitti insensati, ciechi ed ottusi, pregiudiziali e violenti, che hanno insanguinato i Balcani. Tutto, tranne questo, si può dire a carico di chi promuove la difesa della vita, affidandola all’obiezione di coscienza. Dovrebbero ricordarselo soprattutto quei laicisti, che in altre occasioni hanno giustamente e laicamente lottato perché l’obiezione ottenesse un doveroso riconoscimento nel nostro ordinamento.

(da L’Occidentale)