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La politica e i principi: tutto parte da lì. Bisogna fare chiarezza su questo rapporto non più scontato da quando l’era delle ideologie è volta al termine per evitare che Forza Italia – il primo grande partito che ha visto convivere cattolici e laici -, corra il rischio di andare in confusione al cospetto di un’iniziativa, come quella assunta da Giuliano Ferrara, per una moratoria mondiale sull’aborto: di dividersi anziché cogliere le occasioni che essa offre.

Tutto ha origine da un paradosso che da sinistra sta contaminando anche l’altra parte dello schieramento politico: mentre si vorrebbe negare che la fede possa avere principi previi e insuperabili, si pretende di trasferire questi dati assoluti nell’ambito della politica.

Si tratta, a ben vedere, della contraddizione plateale di un principio di laicità. Il laico, infatti, riconosce che chi ha fede abbia dei principi innegoziabili, e li rispetta. Sa anche, però, che la politica è l’ambito nel quale – sia per chi crede sia per chi non crede – i principi debbono contemperarsi con circostanze di differente natura: se valessero solo i principi nella loro purezza, la politica diverrebbe il regno degli ideologi o dei santi; mentre se si considerassero solo le circostanze vi sarebbe posto esclusivamente per opportunisti e cinici.

Per queste ragioni, lo confesso, ho vissuto con disagio e persino con fastidio l’iniziativa per la moratoria sulla pena di morte. Anzi, con più precisione, la volontà di assegnare ad essa un significato eminentemente politico: quasi si fosse trattato per davvero di una vittoria storica del nostro Paese nel campo della politica estera.

Tale interpretazione “massimalistica” mi è sembrato andasse incontro ad alcuni inconvenienti gravi. Il primo è stato proprio quello di abolire il significato delle circostanze. Solo così si spiega l’iniziativa del Parlamento di cancellare dalla Costituzione la pena di morte anche per il tempo di guerra: una insensatezza per chiunque abbia anche la minima nozione storica di cosa sia un conflitto armato e di quali necessità, purtroppo, esso comporti. L’altro è stato quello di assegnare a una acquisizione morale un significato immediatamente politico: quasi che la moratoria, per il solo fatto di essere stata proclamata, avesse come per incanto cancellato la realtà delle esecuzioni capitali in Iran (dove il giorno dopo l’approvazione sono stati mandati a morte cinque persone!) in Cina o quelle, in verità assai più rare, in alcuni stati americani.

Al cospetto di queste forzature, l’iniziativa di Giuliano Ferrara, nell’ambito politico-intellettuale, è una provocazione forte: se i diritti umani sono universali e la politica considera sacra la vita anche del più efferato delinquente, come può volgersi dall’altra parte di fronte alla strage d’innocenti ancora nel ventre materno? Lo può fare solo negando quello che il progresso della ricerca biologica e delle tecniche diagnostiche hanno infine reso evidente.

Se moratoria deve essere lo sia dunque anche per l’aborto. Ma moratoria deve per forza essere? E, soprattutto, ha senso che una forza politica si pronunzi su di essa? Io penso che sarebbe meglio lasciare questa incombenza alla coscienza dei singoli per concentrarsi su ciò che per un grande partito di laici e cattolici dovrebbe fare:  dare una risposta politica. Un partito come Forza Italia, di fronte a questa provocazione, non può far finta di niente. Ma non può nemmeno limitarsi ad approvarla o rigettarla: atteggiamenti entrambi politicamente sterili.

Mi chiedo che senso possa avere aggiungere un’adesione accanto a quella di altri che magari, com’è in alcuni casi avvenuto, hanno contemporaneamente richiesto che divenga prassi l’aborto chimico attraverso l’introduzione della Ru486. E mi chiedo anche, però, che senso abbia dire no alla moratoria se non chiudere gli occhi di fronte al vilipendio dell’universalità dei diritti umani, che è spia della consunzione di vecchie egemonie culturali non più in grado di reggere di fronte le sfide del nuovo secolo.

La risposta che, invece, Forza Italia deve fornire è quella d’indicare con responsabilità gli sbocchi politici possibili a una mobilitazione morale delle coscienze. E questa risposta può essere data insieme da laici e cattolici. Perché nell’ambito delle nuove problematiche bio-politiche e al cospetto della sfida antropologica che rischia di condurre la nostra civiltà oltre i confini dell’umano, le vecchie distinzioni non hanno più senso.

Questa strada può essere percorsa se si accetta come presupposto condiviso lo stesso da cui parte la legge 194: che l’aborto non sia un diritto ma, in ogni caso, un dramma individuale e una sconfitta sociale. Per questo anche chi ritiene l’aborto un delitto ne riconosce, infine, la legalizzazione. Lo fa per evitare un male ancora più grande: quello che deriverebbe dal ridare attualità alle antiche pratiche clandestine che tante vittime hanno mietuto nei secoli.

Il medesimo principio di realtà impone, però, di considerare anche quanto le conoscenze scientifiche e le tecniche diagnostiche si siano evolute nei trent’anni trascorsi dall’approvazione della 194. Di fronte a questo dato di fatto, proprio per rispettare quel presupposto della legge che in fondo può essere accettato sia da credenti che da non credenti, è oggi urgente porre alcune questioni come quella dei prematuri o di altre possibili derive eugenetiche che tutti, senza distinzione di fede o di coscienza, vogliono evitare.

Negare questa necessità equivarrebbe a far scadere una legge che si vorrebbe laico strumento per la salvaguardia della vita in un feticcio laicista. Sono certo che nessuno in Forza Italia voglia questo. E che nella quasi totalità ritengano l’emanazione di regolamenti attuativi che indirizzino le pratiche indotte dalla 194 alla luce delle nuove evenienze, un risultato concreto e auspicabile.

E’ questo, nella sostanza, ciò che è richiesto nella mozione parlamentare presentata dal coordinatore nazionale Sandro Bondi: un primo tentativo di trovare la strada comune. Quella stessa richiesta può sicuramente essere formulata con altre parole e anche con altri strumenti. Ma la sostanza non cambia. Per questo, sarebbe importante che nel partito si apra un dibattito che possa portare a una posizione condivisa, che vada oltre le affermazioni di coscienza individuali e le iniziative estemporanee.

Giuliano Ferrara, al fine di aprire contraddizioni positive, si è rivolto al Partito democratico che con più urgenza ed evidenza ha il problema di trovare i modi per far convivere nello stesso ambito laici e cattolici. Da quella parte, alla sua richiesta di dialogo, hanno risposto cortesemente di no. Sarebbe un segno di maturità e di crescita se invece il partito più importante del centro-destra, nel segno di quello stesso dialogo, assumesse autonomamente un’iniziativa tanto inattesa quanto originale.

l’Occidentale