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Il libero mercato e la dottrina sociale della chiesa sono compatibili? O il profitto per l’etica cristiana è davvero lo sterco del diavolo? Gotti Tedeschi ha dato voce al pensiero cattolico liberale, sottolineando come “la razionalità della morale cristiana sia il presupposto fondamentale del capitalismo, poiché distingue il fine dai mezzi impiegati per raggiungerlo”. “Il profitto è un mezzo, come un mezzo è il mercato”, spiega Gotti Tedeschi, “ed è l’individuo ad essere l’unico responsabile dell’uso dei mezzi di cui dispone”. Pertanto, “non sono stati il capitalismo o la ricerca del profitto i responsabili della crisi attuale, ma l’uomo con l’uso sbagliato che ne ha fatto”. Un uso, continua il presidente dello Ior, “non finalizzato alla produzione di ricchezza per il bene comune, come è intrinseco nel concetto di libero mercato e nella dottrina sociale della chiesa”, quanto piuttosto, “a scopi dettati dalla cultura nichilista dominante oggi, che ha eliminato dall’orizzonte dell’agire umano la centralità della persona umana e il valore della vita, capisaldi dell’etica cristiana e capitalistica”. Insomma, “l’etica buona del libero mercato è stata scacciata da quella cattiva, che ha fatto del mercato il fine di se stesso”. E’ quindi “l’uomo a dover cambiare, non lo strumento”, ed è questo “il messaggio contenuto nell’enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI, che non condanna il capitalismo o il profitto bensì il modo con cui questi strumenti sono stati irresponsabilmente impiegati”.

La replica di Luciano Pellicani non ha lasciato spazio a giri di parole, affermando che “tra cristianesimo e capitalismo c’è assoluta incompatibilità”. “L’etica cristiana, così come si è manifestata storicamente, associa il profitto, l’essere ricco, al peccato”, spiega Pellicani. Da questo punto di vista, “il profitto è lo sterco del diavolo. Non si può quindi essere ricchi e cristiani contemporaneamente”. Ciò, “è stato scritto nella gran parte della produzione filosofica e dottrinale cristiana attraverso i secoli, ed è scritto anche nel vangelo di Matteo, dove la scelta tra Dio e Mammona non ammette terze misure per il buon cristiano”. Ecco perchè in fin dei conti “il vangelo è socialista. E’ infatti nel vangelo che si possono trovare le radici dell’etica socialista e del marxismo”. Quanto al capitalismo, “dalla Chiesa è sempre stato visto come un nemico da combattere perché l’economia di mercato è autonoma dall’etica e quindi dalla sfera di controllo della Chiesa”.

Le conclusioni del convegno sono state affidate a Monsignor Luigi Negri, presidente della Fondazione Giovanni Paolo II, e il senatore Gaetano Quagliariello, Presidente d’Onore della Fondazione Magna Carta. Ricollegandosi a Gotti Tedeschi, Mons. Negri ha ribadito la centralità dell’esperienza della persona umana nella dottrina sociale della Chiesa. “E’ la persona che persegue la moralità, non l’ideologia o il sistema di per sé”. Nella Caritas in Veritate, prosegue il Monsignore, “Benedetto XVI sottolinea come la fede ci abiliti ad entrare in campo economico, un campo che proprio attraverso i principi della fede può essere riformato”. L’obiettivo è “determinare una processualità nuova, che non perda il rapporto con la realtà, senza parlare di finanza etica”. Quagliariello traccia infine un’analisi delle dinamiche storiche che hanno condotto all’elaborazione dell’enciclica Caritas in Veritate. “Non c’è dubbio che la storia del cristianesimo sia intrisa di anticapitalismo, nei testi ma ancor più a livello di senso comune”, mette in evidenza il presidente d’onore di Magna Carta. Questo è stato “il vero motivo della vicinanza tra la sinistra e il cattolicesimo politico, che si è nutrito di tale subcultura”. Ma con la fine della guerra fredda, rileva Quagliariello, “la partita si è riaperta e la Caritatas in Veritate interviene appunto in questo scenario, mostrando di aver pienamente assorbito le conseguenze della fine di quell’epoca”. “Quanti si aspettavano un documento di dura condanna del capitalismo sulla scia della crisi economica è rimasto pertanto deluso”, spiega Quagliariello, “dal momento che Caritas in Veritate, ancor più delle encicliche che l’hanno preceduta, opera una profonda e resistente conciliazione tra dottrina sociale della chiesa e capitalismo, sdoganando il profitto nella consapevolezza che il mercato non è un luogo selvaggio e senza regole”. “Con Benedetto XVI”, conclude il presidente d’onore di Magna Carta, “viene meno quella distinzione che a lungo ha legittimato l’intervento politico del cosiddetto ‘riformatore cattolico’. Non c’è più infatti il processo capitalistico che provoca ingiustizie e il riformatore cattolico che successivamente deve agire per mettervi riparo. Al contrario, tra l’agire economico e l’agire politico c’è piena integrazione”.