Le autorità a vent’anni dal loro “erompere”, tra tecnica, mercato e istituzioni
SOMMARIO: 1. Introduzione; 2. Tecnica, mercato e istituzioni al momento del nascere delle autorità indipendenti; 3. La specificità del caso italiano: procedimento e processo come garanti e contrappesi dell’indipendenza; 4. Le autorità oggi: la tecnica e la neutralità; 5. Segue: il mercato; 6. Segue: le istituzioni; 7. Una proposta concreta: il canale discendente tra Parlamento ed autorità.
1. Affrontare in un breve scritto come questo il tema delle autorità indipendenti od anche solo dire dei loro principali aspetti, problemi operativi, prospettive riformatrici è ovviamente cosa impossibile. Mescolare insieme autorità vecchie e nuove, regolazione e antitrust, libertà di mercato, privacy e diritto di sciopero, vera indipendenza e semi-indipendenza dal Governo, ed ancora trattare insieme di autonomia dalla politica ed, all’inverso, di resistenza alla “cattura” ordita dalle imprese, nonché di sistema nazionale e di rapporti con l’ordinamento comunitario, e persino delle relazioni tra diritto ed economia, significherebbe dar vita ad un calderone tanto ricco quanto indefinito. Ed il rischio sarebbe di uscirne con le idee confuse. O, più probabilmente, con la convinzione di fondo, piuttosto comune a dire il vero e presente persino nel circuito mediatico, che, per un verso, le autorità in Italia siano bisognose di “riforme” e che, per altro verso, esse restino l’unico appiglio cui rivolgersi, pigramente, per sanare qualsiasi imperfezione della politica e per nobilitare l’azione amministrativa.
Un risultato, si converrà, troppo vago, scontato ed opinabile.
Dovendo ricorrere ad una sintesi, quel che si può allora tentare è una ricostruzione che, seguendo il titolo, guardi al modo in cui il sistema delle autorità indipendenti si svela, oggi, all’occhio dello studioso ed al “tatto” dell’operatore, anche al fine di fornire alcuni suggerimenti per il futuro.
Guardiamo, dunque, alla tecnica, al mercato ed alle istituzioni come titoli di altrettanti capitoli del libro ideale sulle autorità indipendenti in Italia a vent’anni dalla loro nascita. Ed iniziamo osservando che proprio tecnica, mercato ed istituzioni sono la sintesi delle ragioni del loro diffondersi agli inizi degli anni ’90.
2. La tecnica, anzitutto.
Il legislatore decide di affidare la cura di alcuni diritti costituzionali e interessi sensibili e primari ad istituzioni dotate di alta competenza tecnica, nel presupposto che tali settori di intervento vedano la tecnica come tratto caratterizzante e che da essi sia opportuno che la politica, intesa sia come potere esecutivo sia come potere legislativo, faccia un passo indietro. Contemporaneamente, si ritiene che tale regolazione possa e debba essere neutrale, ossia incontaminata dalla serie di interessi che nella mediazione politica solevano trovare il punto di sintesi. La neutralità implica che le autorità debbano mirare, senza scostamenti, alla tutela pura, quasi arbitrale, giurisdizionale, di interessi e diritti costituzionalmente tutelati: la libertà di iniziativa economica, la privacy, i diritti dei consumatori.
Il mercato, in secondo luogo.
Il legislatore sceglie di aprire al mercato l’ordinamento e questo segna un passo indietro della sfera pubblica dalla rete dei rapporti economici. Privatizzare e liberalizzare divengono, nel nostro Paese ancor più che in altri Stati membri dell’Unione Europea (basti pensare alla Francia), un’endiadi ferrea e dominante. L’azione pubblica diventa allora solo regolatrice. E la regolazione, affidata appunto alle autorità, dovrebbe perlopiù essere condizionale, ossia volta ad assicurare il livellamento di quel campo di gioco in cui la concorrenza dovrebbe liberamente attuarsi.
Infine, le istituzioni.
Le autorità sono indipendenti dal Governo e si accetta che il rapporto col Parlamento si sostanzi pressoché solo nella presentazione della relazione annuale. Nel contempo, si va diffondendo la convinzione, visibilmente confortata da altrettanti fatti normativi ed iniziative concrete, che possa essere soprattutto l’ordinamento comunitario la cornice istituzionale delle autorità e che la rete sopranazionale debba avere il suo vertice di coordinamento nella Commissione Europea: un organo tecnico al vertice di una serie di organi tecnici a presidio del libero mercato come anche a protezione dei diritti che in esso campeggiano. Questo completerebbe una visione complessiva in cui, in qualche misura, il diritto (specie l’ordinamento nazionale) si verrebbe a “sciogliere” in un quadro di relazioni economiche sì libere, ma con solide garanzie per i diritti dell’individuo.
E’ un disegno che non poteva non suscitare la suggestione degli analisti. Pur surrettiziamente (ma risolutamente) optando per l’idea di un’Unione Europea “comunitaria” piuttosto che intergovernativa, nelle proposte dei suoi fautori esso si presentava con tutto il fascino che, indubbiamente, un modello di tal genere esercita. E sebbene una certa qual propensione per un approdo tecnocratico fosse alla radice di queste costruzioni (il che, per chi scrive, beninteso è segno di debolezza e non di forza) è innegabile che esse fossero storicamente giustificabili per quel che era, a quel tempo, la situazione del Paese e che presentassero un qualche contrassegno di apprezzabile “modernità” Basti pensare alla globalizzazione come fenomeno dato, per assumere che questa linea di sviluppo fosse meritevole di attenzione e di rispetto.
3. Tutti e tre i capitoli hanno però una specificità tutta italiana. Una specificità che affonda le radici nella nostra storia, nei suoi giorni insieme drammatici e di grande speranza.
La crisi della prima Repubblica come esito della “democrazia” bloccata e gli accadimenti che l’accompagnarono restano un episodio che connota in modo specifico la transizione italiana dopo il 1989 (transizione davvero chiusa?) e che ancor oggi probabilmente manifestano le loro conseguenze [1]. La perdita di legittimazione della politica e la sfiducia nella sua capacità rappresentativa e nella sua responsabilità (talora giustificate, talora davvero pericolose) ha aperto la strada a modelli di cura istituzionale degli interessi che fossero solo tecnici ed ha fatto pensare che la neutralità fosse la soluzione migliore per deciderne le sorti. Del pari, ha confortato la tesi che vedeva in un mercato libero dall’intervento pubblico, in una con le spinte post Maastricht, l’arena preferibile delle relazioni socio-economiche, limitando la sfera istituzionale ad una regolazione neutrale. Infine, ha alimentato, da una parte, lo spessore dell’indipendenza dalla politica come connotato delle autorità e, dall’altro, l’idea di una loro attrazione verso il polo comunitario.
E’ nella forza di questa spinta riformatrice e nella temperie di idee e proposte che si riesce ad assorbire quella duplice anomalia che Enzo Cheli, ancor recentemente [2], così indicava: in primo luogo, l’eccezione al principio di separazione di poteri, con l’assegnazione di poteri normativi, amministrativi e quasi giurisdizionali ed arbitrali in capo al medesimo soggetto, le autorità appunto; in secondo luogo, la deroga al modello di amministrazione previsto dall’art. 95 Cost., che salda il potere amministrativo al Governo ed al circuito della responsabilità politica e della legittimazione rappresentativa: l’esatto contrario dell’indipendenza delle autorità.
Le autorità hanno rapidamente occupato una posizione autorevole e sono divenute una preziosa isola nel sistema delle relazioni istituzionali, come aveva previsto Alberto Predieri descrivendone l’iniziale loro “erompere” [3]. Le autorità sono uno dei poteri che si muove nel nostro pluralismo istituzionale e, nei fatti, hanno incarnato la logica della bilancia e dei “pesi e contrappesi” [4]. E’ in questo modo che, nel divenire dei rapporti istituzionali, le autorità hanno potuto in larga misura assorbire la predetta duplice anomalia. Esse sono un potere che frena altri poteri, privati e pubblici, e che così concorre a formare il diritto vivente, e che però, a sua volta, è frenato da altri poteri. Il procedimento come vincolo per il loro agire e soprattutto i controlli del giudice sui loro atti hanno consentito di incastonare questo tassello nel quadro istituzionale complessivo.
Questo assetto ha sostanzialmente smentito quelle voci che avevano addirittura denunciato una sorta di radicale loro incompatibilità col modello costituzionale nazionale. Procedimento e processo sono diventati quasi dei “garanti della neutralità” o, se si preferisce, dei “contrappesi alla indipendenza” delle autorità. Nel contempo, hanno anche assegnato loro un carattere che mi parrebbe inconfutabile: le autorità non sono un giudice e sono invece una amministrazione [5]. Le autorità danno sostanza ad un modo di amministrare che presenta la predetta divaricazione dal modello tradizionale, ma restano comunque un’amministrazione. Questo approdo è, anzitutto, una conseguenza del modo concreto in cui questi poteri si sono collocati nella rete istituzionale, dato che, come testé detto, esse operano in un procedimento che, pur con le sue peculiarità, è sottoposto ai canoni di pubblicità, trasparenza e partecipazione che sono propri di ogni agire amministrativo e dato che rimangono sottoposte nel processo al sindacato giudiziale. L’approdo della loro qualificazione come pubblica amministrazione è anche ciò che giustifica e legittima il controllo di legalità, che restituisce al diritto ed al principio di legalità la sua giusta compensazione rispetto alle leggi economiche (sovente molto generiche) e che configura le regole procedimentali e di trasparenza come altrettanti vincoli cui le autorità sono assoggettate.
Si potrebbero sintetizzare questi esiti con le previdenti parole di Fabio Merusi, secondo cui “se l’essenza della democrazia è il processo e la libertà economica è una libertà processuale, le autorità amministrative indipendenti sono uno strumento organizzativo e funzionale della democrazia economica” [6].
Nondimeno, la galassia delle autorità, secondo un’opinione diffusa, presenta alcune imperfezioni e necessita di alcune correzioni.
In questi ultimi anni il dibattito riformatore si è incentrato sopratutto su tre aspetti: i) una riforma costituzionale che ospitasse le autorità nella carta fondamentale; ii) una riforma legislativa che rendesse omogeneo il regime delle varie autorità e che, eventualmente, completasse e razionalizzasse il quadro delle competenze regolatorie nei vari mercati; iii) infine, forse gli aspetti più spinosi, una riforma delle procedure di nomina dei componenti ed un ritocco dei modi e forme dei rapporti col Parlamento.
4. E’ il momento però di tornare ai tre capitoli che vorrei utilizzare per passare al vaglio il ruolo delle autorità, oggi; e per tracciare anche delle possibili linee evolutive.
La tecnica, allora.
La tecnica è stata effettivamente in questi anni sia la matrice delle valutazioni effettuate dalle autorità, sia la più autentica giustificazione del loro essere nell’ordinamento, sia, infine, la ricetta dei loro migliori risultati sul campo. Quando si parla di tecnica si allude in primo luogo al fatto che, quando è in gioco l’assetto del libero mercato, le discipline antitrust e la regolazione condizionale non possono cibarsi solo delle norme e del diritto inteso in senso kelseniano (una norma che dica, puramente e semplicemente, se X, allora Y). Esse abbisognano anche delle scienze economiche. In secondo luogo, i singoli mercati impetuosamente affidati agli inizi degli anni ’90 alla concorrenza nel mercato interno europeo presentano tali e tante peculiari regole e contingenze tecniche (si tratti dei mercati finanziari e assicurativi piuttosto che di quelli dell’energia; di quelli delle comunicazioni elettroniche piuttosto che di quelli dei trasporti) da costituire altrettante complesse realtà economico-sociali. Per esse si rende opportuna, se non necessaria, la presenza di un’autorità regolatrice, la quale sia munita di alta e speciale competenza e possegga gli strumenti per fronteggiare le complessità della tecnica e per coniugare le regole del singolo mercato al canone di ragionevolezza e di giustizia. L’amministrazione tradizionale (e fors’anche il modello dell’Agenzia) è apparso inadatto a queste esigenze. Le autorità indipendenti, specie quelle di regolazione, che Amato definiva semi-indipendenti [7], hanno assunto il ruolo che tradizionalmente competeva alle amministrazioni a forte competenza tecnica, cui hanno unito un connotato di “indipendenza”, utile soprattutto perché il sistema economico-sociale vedeva un incumbent avente ancora il volto di società (ex enti pubblici economici) privatizzate solo sul piano formale e dunque sottoposte al controllo pubblico. Insomma, sovente l’autorità “indipendente” è apparsa più adatta dio un organo ministeriale ad effettuare la regolazione perché estranea sul piano dei rapporti economici e proprietari ai regolati, ivi compresi tra di essi quei regolati che avevano nel frattempo mantenuto un cordone ombelicale proprietario con lo Stato apparato (e quindi col Governo azionista). La posizione dell’Autorità antitrust, da sempre, è invece apparsa diversa e per essa l’esigenza di indipendenza è derivata dalla funzione più spiccatamente magistratuale oltre che dal detto connubio tra regole economiche e giuridiche.
Quel che invece non ha avuto, nei fatti, lo sviluppo atteso, è l’equazione che alla tecnica legava la neutralità. La neutralità, intesa come assoluta indifferenza agli interessi in gioco e come separazione dal “politico”, appare ormai agli studiosi quasi come un “mito” [8]. Nonostante l’aggettivo neutrale continui ad essere utilizzata, persino nelle sentenze dei giudici, è sotto gli occhi di tutti ed è ormai affermato pubblicamente nei dibattiti, persino a voce dei loro rappresentanti, che le autorità sono produttrici di scelte che sono (anche) politiche, perlomeno sul piano delle conseguenze che esse determinano in quello stesso scenario che riguarda la politica e l’azione amministrativa tutta. Sono scelte di cura (amministrativa di interessi) tutt’altro che indifferenti.
Lo specchio di questa situazione è, per gli amministrativisti, la crisi della nozione di attività vincolata come modello di riferimento dell’agire dell’autorità ed il riconoscimento che, si tratti o no di discrezionalità amministrativa, siamo al cospetto di un vero e proprio potere pubblico e perciò di una manifestazione di “non neutralità” [9].
La tesi che sul piano teorico postulava l’assoluta purezza e separatezza tra la protezione dei diritti costituzionali e la garanzia della libertà nel mercato, spettante all’autorità indipendente, e la cura degli (altri) interessi pubblici è visibilmente smentita dai fatti. L’obiezione schmittiana al paradigma dei poteri neutrali ed alla loro inevitabile neutralità si è resa visibile. Certo, una volta che l’organo viene reso indipendente dal governo anche perché assunto e giustificato come neutrale, nasce l’esigenza di inverare in qualche modo la neutralità stessa e di apprestare gli strumenti allo scopo. Ma questo tentativo (e quindi, come primari esempi, l’affermarsi dei vincoli procedimentali e del controllo processuale), a ben vedere, lungi dall’essere la conferma della neutralità ne è piuttosto la sua esplicita denegazione. Sicché, quando si ricorre a tali strumenti di garanzia verso le autorità, si tratta soprattutto della ricerca del giusto bilanciamento alla indipendenza, piuttosto che della garanzia (assoluta) della neutralità.
Comunque sia, chi negherebbe oggi un tratto di “politicità” nelle decisioni sulla par condicio in campagna elettorale, o sul conflitto di interessi, o sulla fissazione di livelli tariffari, o sulle modalità di fissazione dei costi di accesso ad una rete, o sulla diretta o indiretta conformazione del mercato dell’energia, del gas, delle comunicazioni, o sulla possibilità per un Comune di adottare una certa forma di gestione dei propri servizi sociali, o sul modo in cui un consorzio obbligatorio istituito per finalità ambientali debba coniugare tutela dell’ambiente e concorrenza? Gli interessi pubblici sono indissolubilmente commisti alla concorrenza ed al mercato. Chi è chiamato a vigilare sulle regole antitrust od a regolare il mercato in senso pro-concorrenziale non può fare a meno di incrociare l’interesse alla salute, alla tutela ambientale, alla salvaguardia dei livelli occupazionali, alla continuità del servizio pubblico, alla difesa degli interessi dei risparmiatori ed azionisti e così dicendo. E non occorre neppure richiamarsi alla perdurante crisi economica per avere un avallo a questo ragionamento.
La stessa finalità di assicurare la libertà di concorrenza si traduce, essa stessa, nell’assunzione di una linea politica di sviluppo del mercato. Che l’elaborazione di una linea politica da parte dell’autorità indipendente debba avere dei limiti, perché altrimenti contraddirebbe la stessa premessa del mercato libero, è altro discorso. Quel che è necessario puntualizzare per il momento è che si tratta di una scelta che non può dirsi neutrale e solo ed esclusivamente tecnica.
Se le autorità vedono nella tecnica il loro principale strumento di azione e se, però, questo non ci consente di rifugiarci nel mito della neutralità, possiamo iniziare a fare alcune considerazioni di massima.
E’ necessario salvaguardare l’alta competenza tecnica delle autorità e dei suoi corpi amministrativi, che già oggi costituiscono un patrimonio di esperienza e professionalità ed il tema delle procedure di nomina merita effettivamente grande attenzione.
E’ necessario confinare l’istituto entro i suoi ragionevoli confini, senza pensare che l’istituzione di una nuova autorità sia, solo perché indipendente, la panacea di tutti i mali. Sicché potremo certamente discutere, ad esempio, dell’istituzione di una nuova autorità regolatrice nel campo dei servizi postali, perché la tecnica in questi mercati liberalizzati si potrebbe accompagnare alle altre ragioni giustificative del fenomeno-autorità e perché può esservi una esigenza di favorire un processo di liberalizzazione mediante regolazione condizionale; ma dovremo resistere ad altre tentazioni, come quella, di cui pure abbiamo sentito dire di recente, circa l’istituzione di una nuova autorità preposta alla … “tutela dei diritti umani”.
E poi non si deve affatto trascurare l’utilità dell’azione di corpi amministrativi che abbiano un’effettiva autorevolezza tecnica senza però essere necessariamente “indipendenti” e “separati” dall’indirizzo politico, perché vi sono settori nei quali resta certamente salutare per il circuito democratico che vi siano entrambe le cose: da una parte, una amministrazione tecnicamente autorevole ed attrezzata ed autonoma nel suo agire; dall’altra, un nesso che continui a ricondurre tale amministrazione all’Esecutivo e ciò perché la responsabilità politica deve permanere anche rispetto a determinate linee amministrative ad alto spessore tecnico. Solo due esempi tra i tanti: quando sono in gioco interessi quali la sicurezza nel trasporto aereo ovvero la protezione dell’ambiente, avvertiremo l’esigenza che il Governo continui ad assumere le proprie responsabilità, benché agisca tramite organi tecnici muniti di un alto livello di autonomia (e benché non indipendenti).
Infine, dal momento che anche le autorità sono un soggetto politico, è necessario che si torni a riflettere sul modo in cui calibrare il rapporto tra le autorità e le altre istituzioni rappresentative, Governo e soprattutto Parlamento.
5. Veniamo al secondo capitolo, il mercato.
Quando le autorità sono fiorite in gran numero, nella seconda metà degli anni ’90, si è soprattutto pensato al fatto che il loro compito fosse quello di proteggere le libertà economiche e di divenire guardiane della libertà di concorrenza, in una col regredire della presenza dello Stato sociale nei rapporti economici. L’idea che le autorità avessero un ruolo arbitrale e quasi giurisdizionale, in una con la neutralità, faceva sì che esse fossero viste tendenzialmente come un tutore delle libertà economiche: le autorità indipendenti stanno allo sviluppo delle libertà così come la neutralità sta alla spontanea e non “governata” conformazione del mercato.
La concretezza dei fatti e quel precetto fondamentale delle Scienze politiche (che, credo, debba valere anche per le autorità) secondo cui ogni potere pubblico, una volta istituito, tende naturalmente ad espandersi, hanno reso visibile l’altro lato della medaglia.
Le autorità, in nome della libertà del mercato e della protezione delle libertà economiche, comprimono altre libertà economiche. La funzione arbitrale cui si era inizialmente pensato, nei fatti è pressoché assente ed è sostituita da una funzione sanzionatoria (colpisco chi pretende troppo dalla propria libertà economica) o da una funzione regolatrice (fisso le regole che servono per ordinare e bilanciare le varie libertà economiche in campo). L’altro lato della medaglia è quindi quello di poteri pubblici che incidono su altrettante libertà costituzionali e su diritti individuali.
A proposito di questo fondamentale risvolto della vicenda, possiamo registrare un dato e formulare un auspicio.
Il dato da registrare è che l’ordinamento italiano ha reagito prontamente a questa esigenza, assorbendo il potere delle autorità, quale vero e proprio potere amministrativo, entro i vincoli del procedimento, da una parte, e sottoponendolo, dall’altra, al controllo del giudice nel processo. Piuttosto, lascia qualche perplessità la scelta legislativa (art. 24, l. n. 262 del 2005) di circoscrivere le responsabilità risarcitoria delle autorità, quali enti, ai soli casi di dolo e colpa grave nei casi di illegittimità delle loro decisioni; questa limitazione è ammissibile (oltre che coerente col principio desunto dall’art. 22 del t.u. n. 3 del 1957) per i suoi componenti e funzionari, ma è invece molto opinabile tradurla in una speciale guarentigia per la responsabilità dell’ente in quanto tale, rischiando altresì un contrasto con l’art. 28 Cost.
L’auspicio da formulare è che i protagonisti di questa dialettica istituzionale (autorità indipendenti, giudice e, come diremo, Parlamento) non dimentichino mai che la libertà del mercato non è un obiettivo finalistico predeterminabile da un soggetto istituzionale, perché essa è solo una precondizione per lo svolgimento dell’immensa somma di libertà individuali che nell’arena devono potersi spiegare. La libertà economica resta la regola e la misura sanzionatoria o regolatrice è l’eccezione: questo vale se pensiamo alle autorità come garanti delle libertà economiche, come “istituzioni delle libertà”, così come definite da Augusto Barbera [10], ma anche se guardiamo all’altra parte dello scenario, ossia alle autorità come regolatrici del mercato e come sanzionatrici (degli eccessi) di quelle stesse libertà economiche.
6. Rimane il terzo capitolo, le istituzioni.
Questo è, forse, quello che richiede più cura, perché l’assetto raggiunto non è privo di punti deboli.
Il primo dato riguarda l’attrazione delle autorità nel circuito comunitario, in altrettanti network [11]. Nessuno può ragionevolmente negare che questo percorso sia utile. Basterebbe pensare alla stessa dimensione europea, anzi globale dei mercati, nonché alle esigenze di funzionalità che derivano per le autorità direttamente dalle regole del mercato interno europeo ed infine alla radice comunitaria di molte delle discipline che hanno aperto e via via attuato i percorsi di liberalizzazione dei mercati e che sono la guida, nei fatti, proprio delle autorità. Però, non si può neppure negare che, tra le molte difficoltà e incertezze che ha purtroppo dovuto fronteggiare il progetto comunitario, il modello dell’amministrazione “a rete” delle autorità indipendenti nazionali sotto la guida della Commissione sia rimasto sovente, se non un wishful thinking come esageratamente taluno ha pensato, quantomeno un progetto parziale. Il tema sarebbe lungo da trattare. Mi limiterò a porre al lettore solo una domanda retorica. Atteso che il regolamento comunitario n. 1 del 2003 prevede che l’Autorità antitrust nazionale debba decidere dopo il parere della Commissione, quante volte è accaduto che la Commissione abbia reso un parere formale sul progetto di decisione dell’autorità nazionale? A quanto risulta dalle cronache, in questi anni non sarebbe mai accaduto. Il che significa che, se è avvenuto, è avvenuto di rado. Eppure si tratta di un tassello fondamentale del disegno.
Quindi, in attesa che il network europeo raggiunga maggiori livelli di effettività, si torna a guardare al panorama delle relazioni istituzionali nazionali. Un profilo che, beninteso, resta in primo piano anche se la cornice comunitaria fosse meglio funzionante.
Il contrappeso dell’indipendenza è stato spontaneamente trovato dall’ordinamento nel convergente contemperamento esercitato dal procedimento e dal processo. Il rapporto con la politica nazionale vede invece soprattutto due momenti di collegamento formale: quello della nomina dei componenti e quello della relazione annuale presentata al Parlamento. In mezzo vi è ovviamente un dialogo istituzionale possibile, il quale, anche al di fuori di specifiche e contingenti audizioni conoscitive in Parlamento (legate alle disparate esigenze dell’una o dell’altra Commissione), ben potrà conoscere anche altre forme di manifestazione.
E’ stata allora avvertita l’esigenza che, oltre ad omogeneizzare e perfezionare il sistema di nomina, sia comunque migliorato ed istituzionalizzato il rapporto col Parlamento. Il momento della relazione annuale rimane infatti, inevitabilmente, un’occasione celebrativa che non aggiunge molto alla interlocuzione tra corpo tecnico e indipendente e politica rappresentativa.
Né questo distacco potrebbe colmarsi con una riforma costituzionale che prevedesse esplicitamente il ruolo delle autorità indipendenti. Una simile novella potrebbe avere una funzione razionalizzatrice che, in sé, è certo positiva. Se si limitasse a riconoscere tal quali sono le autorità indipendenti, non aggiungerebbe né toglierebbe molto al quadro attuale (ed alla odierna “costituzione materiale”). Se poi, come previsto nel testo del ddl costituzionale n. 2544-D approvato nel corso della XIV legislatura, prevedesse che “Le Autorità riferiscono alle Camere sui risultati delle attività svolte”, non introdurrebbe una regola di comportamento che non possa essere già inserita oggi, a Costituzione vigente.
La questione non è ignota al testo del ddl n. 1336 presentato dal Governo nella XV legislatura.
In questo testo di razionalizzazione del sistema delle autorità indipendenti è prevista l’istituzione di una apposita Commissione parlamentare bicamerale per le politiche della concorrenza e i rapporti con le Autorità di regolazione, vigilanza e garanzia dei mercati. La previsione di un organismo parlamentare ad hoc è, a mio parere, un’idea meritevole di attenzione. La Commissione attiva quel canale che, con linguaggio dottrinale, potremmo dire ascendente, perché essa riceve dalle autorità, oltre alle relazioni annuali, le segnalazioni ed i pareri che possano ispirare il legislatore [12]. Un congegno che, mutatis mutandis, ritroviamo nella c.d. legge sulla concorrenza, che dovrebbe essere il frutto di una sessione parlamentare dedicata a metabolizzare proprio le segnalazioni ed i suggerimenti provenienti dell’Autorità indipendente che si cura della libertà di mercato. Nel predetto ddl è però prevista un’attività parlamentare strettamente conoscitiva e con limiti particolari, dato che è stato anche vietato alla commissione occuparsi di singoli casi sottoposti all’esame delle autorità e di esprimere giudizi tecnici sulle singole questioni.
7. Quel che potrebbe aggiungersi al disegno (e che anzi, come testé detto, il ddl governativo sembrava escludere o fortemente ridimensionare) è allora l’attivazione di un canale anche discendente (dal Parlamento all’autorità), mediante il quale spetti alla Commissione parlamentare bicamerale (o, se lo si ritenga più funzionale, alle singole Commissioni permanenti per materia) di esaminare più approfonditamente ed in sede conoscitiva il lavoro dell’autorità. Si tratta insomma di riconoscere alla Commissione, oltre al potere-dovere di ascoltare anche quello di domandare.
Se la Commissione parlamentare, così come indicato all’art. 21, comma 1, del ddl, vede nell’oggetto principale delle sue attribuzioni la cura dei “rapporti con le Autorità indipendenti”, è necessario assicurarle quantomeno un’attività conoscitiva completa, senza una preventiva deminutio. Potrebbe, poi, valutarsi con la dovuta attenzione se ed in quali limiti sia possibile ed opportuno anche aggiungere alcune componenti ispettive ai poteri della Commissione, perlomeno per quel che attiene alla obbligatoria partecipazione delle autorità alle audizioni [13].
Sarebbe cautela necessaria, probabilmente, evitare che le indagini conoscitive possano esser fatte durante lo sviluppo del procedimento, perché vi sono intuitive esigenze di indipendenza ed autonomia procedimentale che potrebbero esser vulnerate, così come si rischierebbe altrimenti di mescolare troppo repentinamente il problema tecnico ed il problema strettamente “politico”. Tuttavia, al di fuori di questa deroga, potrebbe lasciarsi alla Commissione parlamentare, che si vuol supporre, a sua volta, possa essere un organo rappresentativo munito di risorse (persino … tecniche) adeguate, il potere di procedere ad indagini conoscitive, anche penetranti. Nel corso di queste potrebbero esser posti sotto esame e discussi le linee di azione dell’autorità, i presupposti di una certa decisione, il percorso procedimentale, le valutazioni che si sono ad essa accompagnate, le coerenze tra l’uno e altro provvedimento preso in un dato mercato, l’esistenza di raccordi tra le varie autorità competenti ad intervenire nel medesimo mercato, le considerazioni circa le conseguenze che l’una scelta piuttosto che l’altra verrebbe provocare negli assetti economici. Si potrebbe dire che già oggi le Commissioni svolgono attività conoscitiva con le audizioni dei Presidenti delle autorità; ma basterebbe leggere i resoconti per constatare che il Parlamento non svolge affatto una così penetrante funzione. Sarebbe questa anche la sede nella quale l’interesse alla libertà di concorrenza (sempre complicato da definire puntualmente e con concretezza) verrebbe, nei fatti, a confrontarsi con gli altri interessi pubblici: con la tutela dell’ambiente o con esigenze occupazionali; con gli interessi insediati perlopiù in date collettività territoriali o con le politiche industriali ed energetiche nazionali e/o comunitarie. Si tratterebbe, in definitiva, di apprestare un modello non dissimile da quello che riguarda il potere conoscitivo ed ispettivo del Parlamento in altri ordinamenti (si pensi alle hearings davanti al Congresso americano ed agli Standing Committees) e che, oltretutto, potrebbe essere anche una risorsa di competenza per l’ipotesi che si intendesse perseguire l’obiettivo della riforma del nostro bicameralismo. In questa prospettiva, peraltro, sarebbe plausibile anche l’ipotesi che dell’organismo parlamentare che riceve indicazioni dalle autorità e che esercita su di esse anche un potere conoscitivo possano far parte esponenti dei Governi o Consigli regionali. L’utilità di ricevere sollecitazioni dalle autorità riguarda certamente anche il legislatore regionale (talora in verità destinatario degli “strali” delle autorità in altrettante segnalazioni e pareri) ma potrebbe ben spettare anche alle Regioni, in quanto enti titolari della potestà legislativa, una legittimazione a condurre puntuali attività conoscitive sulle autorità.
La crisi che, a detta di molti, il Parlamento vive in questi giorni non credo che possa essere argomento contrario a questa proposta. Piuttosto, questa ed altre novità potrebbero forse rinvigorirne la funzione senza provocare alcun tipo di ulteriore appesantimento istituzionale.
I benefici di innovazioni di questa natura sarebbero duplici.
In primo luogo, il filo istituzionale che, verso l’alto, è spesso apparso flebile, verrebbe istituzionalizzato, reso sempre esplicito e vieppiù consolidato, con l’aumento del tasso di trasparenza dell’azione dell’autorità e con un rafforzamento di quel valore procedimentale inteso in senso lato e già ben presente nell’ordinamento; valore che serve ad ingrandire l’azione delle autorità ed a renderla visibile anche all’occhio più distante, così come accade per il sasso che, immerso in un bicchier d’acqua, mostra tutte le sue più recondite linee e le sue lievi disarmonie.
Nello stesso tempo, non vi dovrebbe essere alcuna riduzione del tasso di indipendenza dalla “politica”; anzi è a quest’ultimo proposito che si ravvisa il secondo preannunciato beneficio.
A parte il dato, tanto ovvio quanto decisivo, che l’indipendenza è sinora sempre stata riferita al Governo anziché al Parlamento, questo tipo di canale istituzionale, in verità, finirebbe per rafforzare le autorità, per almeno due ulteriori ragioni. Il collegamento parlamentare, ancor più se esteso a livello regionale, verrebbe ex se a consolidare la legittimazione istituzionale delle autorità pur senza mai renderle in senso proprio soggetto politicamente responsabile. Inoltre, il canale discendente aiuterebbe le autorità a meglio resistere ai tentativi di “cattura” che il polo imprenditoriale, dal basso, su di esse esercita costantemente, così come è nella logica di questo tipo di relazioni. Se è pacifico in tutti gli studi che il problema dell’indipendenza abbia due facce, che riguardi la politica verso l’altro e l’impresa verso il basso, è anche rispetto alla seconda che ci si deve preoccupare di alimentare l’indipendenza, con i giusti rimedi. Ebbene, un bilanciamento “subìto” verso l’alto avrebbe come conseguenza un rafforzamento nel bilanciamento dei poteri verso il basso, a tutto vantaggio dell’autorità. Questo perché la presenza attiva del Parlamento come (pur mero) conoscitore delle loro decisioni, farebbe sì che le autorità debbano e possano far valere questo raccordo e questo confronto istituzionale come un ulteriore puntello per elevare la loro legittimazione verso le imprese che sono destinatarie della loro regolazione.
L’autorità indipendente, come diceva Predieri, è un’isola istituzionale che dialoga e si relaziona con altre isole e che vive in un sistema di checks and balances [14]; ma ciò non esclude affatto che possa costruirsi tra le isole un qualche, ben presidiato, ponte di collegamento.
[1] Sul quadro generale che ha visto l’inizio della transizione storica dopo l’epoca della democrazia bloccata, cfr. P. CRAVERI, La democrazia incompiuta, Venezia, 2002, 11 e ss.
[2] E. CHELI, Le autorità amministrative indipendenti e le prospettive di una loro riforma, in Associazione per gli studi e le ricerche parlamentari, Quaderno 13, Torino 2003, 73 e ss.
[3] A. PREDIERI, L’erompere delle autorità amministrative indipendenti, Firenze, 1997.
[4] Sulla logica della bilancia e sulle forme del relativo equilibrio istituzionale, cfr. A. PANEBIANCO, Il potere, lo stato, la libertà, Bologna, 2004, 171 e ss.
[5] Per questa tesi, cfr. G. MORBIDELLI, Sul regime amministrativo delle autorità indipendenti, in Scritti di diritto pubblico dell’economia, Torino, 2001, 171 e ss.
[6] F. MERUSI, Democrazia e autorità indipendenti, Bologna, 2000, 93.
[7] G. AMATO, Autorità semi-indipendenti ed Autorità di garanzia, Riv. trim. dir. pubbl. 1997, 645.
[8] Da ultimo, A. POLICE, in Tutela della concorrenza e pubblici poteri, Torino, 2007, 250.
[9] A. ROMANO TASSONE, Situazioni soggettive delle amministrazioni indipendenti, in Annuario 2002 dell’Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo, Milano 2003, , 305 e ss., ed anche in Dir. amm., 2002, 459 e ss.
[10] In A. BARBERA, Atti normativi o atti amministrativi generali delle Autorità garanti?, in Regolazione e garanzia del pluralismo, Milano, 1997, 90.
[11] Su questo modello, cfr. S. CASSESE, Il concerto regolamentare europeo delle telecomunicazioni, in Lo spazio giuridico globale, Roma-Bari, 2003, 105 e ss.
[12] Sui rapporti tra autorità indipendenti e Parlamento, di tipo ascendente e discendente, cfr. M. MANETTI, Poteri neutrali e Costituzione, Milano, 1994.
[13] Per una sintesi delle differenze tra attività conoscitiva ed ispettiva, cfr. L. GIANNITI-N.LUPO, Corso di diritto parlamentare, Bologna, 2008, 153 e ss.
[14] Espressione riportata in A. PREDIERI, Il potere della banca centrale: isola o modello?, Firenze, 1996.