Le macerie della sinistra ingombrano la strada delle riforme
Macerie della sinistra. Sabato sulle pagine del Foglio appare una lettera di Walter Veltroni che più che rispondere a criteri politici sembra obbedire ai canoni che un tempo ispiravano i successi di “Un disco per l’estate”. Roba da non credere. Una sonora liquidazione di quel che restava dell’impianto strategico che Veltroni aveva dato al Pd al tempo delle elezioni in omaggio a un pregiudizio di carattere personale: Berlusconi gli apparirebbe ora inaffidabile. Lo ha deluso. Gli ha spezzato il cuore.
Il giorno dopo, dalle Terme di Chianciano è giunta la notizia della sconfitta di Bertinotti, Vendola, Migliore e altri, della parte più ragionevole di Rifondazione Comunista, a causa della saldatura tra Paolo Ferrero e le minoranze ancora più estreme, ufficialmente ai limiti dell’eversione. E’ facile immaginare che seguiranno scissioni e nuove aggregazioni, a sancire lo stato di confusione della sinistra.
Il consuntivo è presto fatto. Veltroni non trova il coraggio per liquidare definitivamente l’antiberlusconismo e si trova pericolosamente in mezzo al guado: non abbandona del tutto Di Pietro, come la vicenda della Commissione Vigilanza Rai attesta, e rischia in tal modo di incoraggiare la deriva di un pezzo di sinistra delusa dalle troppe sconfitte su posizioni giustizialiste e, in fondo, ostili nei confronti della normalità del gioco democratico. D’Alema, che aveva immaginato la possibilità di un ritorno a una classica logica di coalizione, basata sul recupero di Casini e Rutelli a destra e Bertinotti a sinistra, deve oggi constatare che la sponda sinistra non c’è più, e che Casini, da quanto si apprende da Todi, in questa situazione è fortemente tentato di riaprire l’interlocuzione con Berlusconi, utilizzando quel tema della riforma della giustizia che nel Pd vedono come la peste.
Ci sarebbe di che gioire se ci si ponesse in una prospettiva unicamente di parte. E’ vero che la politica cambia in fretta, ma questa situazione della sinistra fa presagire la possibilità di vincere per i prossimi vent’anni. Se invece ci si pone responsabilmente dalla parte del Paese e dei suoi interessi, c’è di che essere preoccupati. Si profilano all’orizzonte due opposizioni anti-sistema, entrambe ostili nei confronti della democrazia: una si sviluppa sul terreno vetero-sociale, pretendendo persino di ritrovare i miti di un comunismo neppure rivisitato; l’altra si sviluppa sul terreno del moralismo più estremo, privilegiando un falso ideale di giustizia assoluta al cospetto delle imperfezioni del regime democratico.
Non è tanto la forza odierna delle due opposizioni che impensierisce, e nemmeno la possibilità di una loro saldatura. A preoccupare è la mancanza di un’altra linea strategica a sinistra, in grado di adattare alla situazione italiana le evoluzioni che stanno attraversando da anni le più mature sinistre europee. Di questa linea strategica il Paese ha bisogno, perché per ultimare la transizione sui temi istituzionali è necessaria una sponda nell’opposizione, e per mantenere la tensione riformatrice dell’attuale maggioranza è necessario che essa si senta incalzata, per evitare che piccole divisioni interne si possano trasformare in nuove guerre intestine. Succede sempre quando le maggioranze sono troppo forti e non hanno il timore di poter essere scalzate dalla controparte.
E pensare che solo pochi mesi fa la sinistra sembrava aver pagato tutti i prezzi per aprire un nuovo capitolo della sua storia ed essere protagonista della trasformazione in senso tendenzialmente bipartitico del nostro sistema. Di fronte al quadro che si profila, questo è ancora un patrimonio che merita di essere considerato. Se è consentito un appello che proviene dagli avversari, il Pd ci pensi bene prima di liquidarlo definitivamente. Salvare la sostanza di quella stagione oltre le distinzioni interne e i suoi stereotipi è ancora possibile.
(L’Occidentale)