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di Francesca Burichetti

 

“Felicemente sposato da oltre quarant’anni con mia moglie Elsa. Abbiamo due figli, Federica e Giovanni, e quattro nipoti”. Chi sono Elsa, Federica e Giovanni? Semplicemente moglie e figli del senatore a vita Mario Monti, Presidente del Consiglio uscente e candidato alle prossime elezioni alla guida della lista “Scelta Civica”. Questa la carta di identità del professore bocconiano, così come emerge dal suo profilo Facebook, lanciato in rete meno di quindici giorni fa. Tra le informazioni si legge ancora che Mario Monti ama “i libri di storia, le lunghe passeggiate in montagna e viaggiare per le piccole città e i piccoli villaggi della nostra Italia, luoghi bellissimi dove uno ha raramente occasione di recarsi”. I suoi cantanti preferiti invece sono Mina e Modugno e tra i suoi motti spicca la comunissima espressione “chi si loda si imbroda”.

Niente si legge invece della sua passata carriera, né come docente universitario, né come commissario europeo nominato dal governo Berlusconi nel 1994. Ma soprattutto niente si racconta delle sue collaborazioni con gli organismi internazionali legati al mondo della finanza, tra cui il suo ruolo all’interno del Club Bilderberg e i suoi stretti legami con una delle più grandi banche d’affari – Goldman Sachs – e con una delle principali agenzie di rating al mondo, la Moody’s.

Insomma, basta una manciata di informazioni consultate rapidamente dal profilo Facebook per capire che siamo di fronte a un “nuovo” Monti o, meglio, al vecchio professore universitario, assiduo frequentatore di uno dei club più potenti al mondo, che si sta travestendo da uomo comune. Per dirla in termini tecnici – sui social media è stata appena lanciata una strategia di storytelling, che mira a lavare i “panni usati” del Presidente del Consiglio uscente, troppo spesso percepito dall’elettorato di destra come lo “Sceriffo di Nottingham” dei nostri tempi e dall’elettorato di sinistra come il “Cavaliere Oscuro” del capitalismo più estremo. Il tentativo, difficile da compiersi in pochi mesi, è costruire una nuova immagine, dove la dimensione umana e politica nascondano quella tecnica e burocratica che ha finora caratterizzato i principali tratti narrativi del professore e della sua squadra di Governo.

Analizzando ancora più da vicino la strategia narrativa posta in essere in questi giorni dallo staff di Monti è evidente come le parole d’ordine siano essenzialmente tre: giovani, società civile e innovazione. Con queste keywords lo staff del Senatore sta cercando di costruire l’immagine di un candidato alternativo all’offerta tradizionale, che apre all’interazione con giovani e rappresentanti della società nel suo complesso e che critica il vecchio modo di fare politica, considerato decisamente poco innovativo, perché ancora troppo legato al medium televisivo, in perfetto stile anni ’90. La narrazione politica di Mario Monti, sulla falsa riga del fenomeno Obama e dell’esperimento collaborativo delle Fabbriche di Nichi, vorrebbe infatti stimolare la partecipazione dal basso, invitando gli utenti della rete a esprimere pareri e opinioni, anche attraverso lo sviluppo di un’applicazione con “funzioni crowding”, cioè di spazi per l’interazione, accessibili direttamente dal sito dedicato all’agenda Monti. In altre parole, lo staff ha apparentemente deciso di non accentrare la narrazione nelle sue mani, ma di condividere l’esperienza con altri partecipanti, invitati a portare contributi al dibattito politico nazionale.

La domanda che sorge più spontanea è perché, dopo oltre un anno di silenzi, di fiducie, di decreti mille proroghe e voti a scatola chiusa Monti abbia deciso di sperimentare la via del coinvolgimento diretto dei cittadini, le nuove formule della democrazia partecipata e un presidio forte dei social media. La risposta è forse più banale della domanda stessa e può essere declinata secondo molteplici forme. Ma, da un punto di vista strettamente tecnico, la risposta risiede nelle dinamiche della politica mediatizzata. Da sempre un leader politico fonda il suo successo sulla capacità di persuadere la ragione, ma soprattutto il cuore, di chi ascolta. I media elettronici hanno poi accresciuto questa necessità, facendo dei politici dei veri e propri attori da palcoscenico, obbligati a dotarsi di linguaggio un breve e semplice, adatto alle logiche del palinsesto radiofonico e televisivo. Oggi però le sfide si fanno ancora più complesse perché chi ascolta ha anche strumenti per rispondere in tempo reale a quanto gli viene comunicato. La natura dei social media si traduce in una comunicazione orizzontale e bilaterale, insomma, in dialogo.

La case history offerta dal senatore Monti da questo punto di vista è emblematica: se è vero che lo staff è riuscito a costruire un posizionamento forte in rete attraverso cui tenta di raccontarci la storia di un uomo nuovo, la strategia di comunicazione sembra però ancora un po’ troppo verticale. A conferma di questo, si veda la pagina Facebook: nonostante l’elevato numero di interazioni da parte degli utenti, mancano completamente le reazioni dello staff digitale del senatore, che si guarda bene dall’intervenire nei dibattiti dei fan e soprattutto di rispondere alle numerose critiche, che restano inascoltate. Non troppo diversa è l’esperienza sull’account Twitter, utilizzato come un grande megafono entro cui urlare senza alcuna interazione diretta con i follower.

La sensazione è che i social media siano utilizzati soltanto per rispondere alla forte domanda di contenuti politici che si scatena sul Web, ma non per rispondere alla domanda di reale interazione, per lo più ignorata. Ma il caso Monti non è soltanto un caso. L’assenza di interazione sembra un vizietto condiviso o dalla maggior parte dei leader politici italiani, soprattutto dagli esponenti dei partiti tradizionali, ormai avvezzi alla logica della piazza e della televisione e poco disposti a cambiare mentalità nel momento che scendono sul Web.

di Francesca Burichetti, tratto da www.loschermo.it