07 Febbraio 2008  

Nasce il Comitato per la difesa delle Istituzioni democratico-rappresentative

Redazione

 

Testo dell’appello e elenco dei primi firmatari

Attraverso una serie di prese di posizione comparse negli ultimi giorni su vari organi di stampa, è iniziata una campagna per sostenere l’incostituzionalità della vigente legge elettorale. Una delle finalità dichiarate di tale campagna è quella di ottenere addirittura la sospensione del procedimento elettorale, da parte della Corte costituzionale. A prescindere dall’improbabile raggiungimento di questo risultato, gli argomenti utilizzati tendono comunque a diffondere una pesantissima ombra di delegittimazione politica sulle Camere da eleggersi il prossimo aprile.

I sostenitori di tale campagna non sembrano tuttavia avvedersi del fatto che gli argomenti da loro utilizzati gettano la stessa ombra di delegittimazione anche sul Parlamento e sulla maggioranza usciti dalle elezioni del 2006, facendo addirittura pensare che tutti gli atti del Governo Prodi, sostenuto da quel Parlamento e da quella maggioranza, siano da collocare al di fuori della cornice costituzionale.

Il fatto è che questa campagna si basa su un uso distorto, per evidenti fini di parte, di argomenti di diritto costituzionale.

Si è iniziato col dire che la Corte costituzionale, giudicando ammissibili i quesiti referendari sulla legge elettorale, avrebbe a chiare lettere affermato l’incostituzionalità di tale legge. Ciò non è vero, poiché la Corte, confermando i suoi precedenti, ha anzi esplicitamente negato di poter svolgere, in sede di giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo, un reale controllo di costituzionalità.

Si è proseguito immaginando che il comitato promotore del referendum abrogativo possa determinare la sospensione delle operazioni elettorali, impugnando il decreto presidenziale di scioglimento delle Camere, oppure elevando un conflitto sulla legge che regola la sovrapposizione tra elezioni politiche e referendum.

Pur giudicando positivamente lo strumento referendario, osserviamo che nel primo caso, si tratterebbe di un conflitto di attribuzione contro lo stesso Presidente della Repubblica, elevato lamentando che il referendum, a causa dello scioglimento, slitterebbe di un anno, come in effetti prevede la legge.

Questa ipotesi tende a colpire l’atto di scioglimento, che rimette in moto il meccanismo stesso della democrazia. Tende inoltre a sovvertire l’ordine dei rapporti tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta disegnato dal nostro ordinamento. Infine, metterebbe la Corte costituzionale di fronte all’imbarazzo di dover sindacare la decisione del Capo dello Stato, il quale, constatata l’impossibilità della formazione di un Governo capace di raccogliere la fiducia del Parlamento, ha avviato la procedura elettorale.

Nel secondo caso si tratterebbe di un conflitto inammissibile, sia in quanto elevato su una legge, sia in quanto tendente a ottenere una modifica dei termini temporali del rapporto tra consultazione elettorale politica e referendum. Infatti, la scelta della distanza temporale che deve intercorrere tra elezioni e referendum può essere ritenuto frutto di discrezionalità legislativa.

Ma soprattutto stupisce che fra i sostenitori di queste ipotesi, pensate per far sì che il voto politico si allontani e il referendum sia celebrato prima, vi siano alcuni che  hanno sostenuto l’inammissibilità dei quesiti referendari, difendendo l’attuale legge elettorale.

Altri addirittura ipotizzano che gruppi di elettori e/o candidati si rivolgano ai giudici (non si capisce bene quali e in quale tipo di procedimento), lamentando la lesione del loro diritto ad avere una buona e corretta legge elettorale, chiedendo che costoro investano la Consulta del dubbio di costituzionalità su quest’ultima. Si arriva fino al punto di sostenere che la legge elettorale violerebbe persino la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, là dove prevede il diritto ad avere elezioni in condizioni che assicurino la libera espressione dell’opinione del popolo. Come se l’Italia non fosse uno Stato di diritto e come se le ultime elezioni non fossero state libere.

I sottoscritti ritengono che tutto ciò sia espressione di un uso strumentale del diritto costituzionale a fini politici, e, ancor più, del tentativo di usare la via giudiziario-costituzionale per sostituirsi alla sovrana volontà popolare, se solo si sospetta che quella volontà possa prendere direzioni che non piacciono. E’ bene dirlo con forza, prima che tutta la campagna elettorale ne sia avvelenata, e anche per evitare che su tutte le nostre istituzioni rappresentative gravi, per l’oggi e per il futuro, un’assurda ombra di delegittimazione.

 

Primi firmatari

Annibale Marini, Presidente emerito della Corte costituzionale

Giuseppe de Vergottini, Ordinario di Diritto costituzionale, Bologna

Tommaso E. Frosini, Ordinario di Diritto pubblico comparato, Napoli

Ginevra Cerrina Feroni, Ordinario di Diritto pubblico comparato, Firenze

Francesco S. Marini, Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico, Roma Tor Vergata

Ida Nicotra, Ordinario di Diritto costituzionale, Catania

Giovanni Pitruzzella, Ordinario di Diritto costituzionale, Palermo

Nicolò Zanon, Ordinario di Diritto costituzionale, Milano

    Per informazioni comitato_difesa_istituzioni_rappresentative@live.it