Non sarà la nuova IRI, ma il Fondo per le infrastrutture è atteso alla prova dei fatti
Nei giorni scorsi è stato lanciato il Fondo italiano per le infrastrutture (F2i) destinato a raccogliere risorse sul mercato nazionale e internazionale e investirle sotto forma di capitale di rischio in progetti riguardanti le infrastrutture del nostro paese. L’iniziativa non è certamente originale. I fondi per le infrastrutture sono diffusi da tempo nelle principali piazze finanziarie e stanno prendendo rapidamente piede. Nella prima metà del 2006 sui mercati internazionali sono stati lanciati 7 fondi specializzati in infrastrutture (trasporti, energia, approvvigionamento idrico, telecomunicazioni) e altri 17 sono in via di costituzione, con una raccolta prevista nell’ordine di 16 miliardi di dollari. Chi investe in questo tipo di fondi è attratto dal rendimento moderato, stabile ma di lunghissima durata, che è generato dalle infrastrutture acquisite nel portafoglio. Sono principalmente investitori di lungo periodo – istituti di previdenza o assicurazioni – che possono così equiparare il profilo dei flussi in entrate con quello dei flussi in uscita lungo un ampio arco temporale.
In Italia i fondi di questo tipo sono meno delle dita di una mano. Lo strumento messo a punto costituisce quindi un’importante novità che potrebbe incentivare la realizzazione di infrastrutture, non di rado frenate dalla mancanza di soggetti disposti ad acquisire una partecipazione azionaria, attività più rischiosa e più difficile da valutare dell’investimento sotto forma di prestito. La polemica che è seguita all’annuncio dell’iniziativa si è incentrata sul fatto che la presenza della Cassa depositi e prestiti nel capitale della società di gestione del fondo F2i potrebbe configurare un’indebita ingerenza dello Stato nell’economia, considerato che la CDP è posseduta al 70 per cento dal ministero dell’Economia e per il restante 30 dalle fondazioni bancarie. Si è parlato della riesumazione dell’IRI.
Alcune precisazioni possono aiutare a inquadrare il problema. La CDP è uno dei nove azionisti del fondo. A ciascuno compete un solo rappresentante nel Consiglio di amministrazione. Gli altri azionisti sono due primarie banche nazionali (Intesa – S. Paolo e Unicredito), alcune delle principali fondazioni bancarie italiane, due grandi banche estere. Ciascuno di costoro impiega una somma considerevole investendo nel fondo anche come sottoscrittore, non solo come azionista. Complessivamente le risorse impegnate dagli azionisti ammontano a 1 miliardo di euro. Un altro miliardo verrà raccolto presso investitori qualificati sui mercati internazionali. Come in tutti i fondi che raccolgono risparmio dal pubblico le autorità di vigilanza sono particolarmente attente al meccanismo decisionale con cui queste risorse vengono investite. Il regolamento di F2i sarà quindi approvato dalla Banca d’Italia. Nello specifico è previsto che le proposte di investimento vengano valutate da un comitato di esperti indipendenti indicati dagli azionisti bancari, che decide a maggioranza qualificata se inoltrare la proposta al Consiglio di amministrazione del fondo per la decisione definitiva.
A ben vedere il peso della componente cosiddetta “statalista” nella compagine azionaria è quindi molto limitato e più che compensato dalla presenza di importanti operatori finanziari nazionali e internazionali, poco inclini a mettere i soldi in iniziative che non diano garanzia di adeguati rendimenti. Le procedure di valutazione dei progetti in cui investire sono articolate e trasparenti a tutela della molteplicità di soggetti qualificati che investono nel fondo. Certo, F2i nasce con un forte “imprimatur” del ministero dell’Economia che lo ha tenuto a battesimo. Ma questo fa parte della liturgia politica. Cruciale sarà invece verificare come il fondo agirà in concreto. Quanta percentuale delle risorse sarà investita in nuove infrastrutture, ossia in un aumento del patrimonio produttivo del nostro paese? Quanto efficaci saranno gli interventi del Fondo nel favorire il processo di privatizzazione del patrimonio di infrastrutture possedute dal settore pubblico? Quale sarà il contributo di F2i alla realizzazione della sacrosanta separazione della proprietà delle reti dal controllo esercitato dai gestori dei servizi che corrono in rete (“unbundling”). E’ su queste sfide che si potrà valutare, tra qualche tempo, la bontà dell’operazione.