Privacy Policy Cookie Policy

Il vice-presidente Biden – che era a favore della guerra in Iraq prima di dichiararsi contrario, e che ha sostenuto che il surge non avrebbe mai funzionato prima di decidere (a posteriori) che era stato un successo – in un’intervista rilasciata di recente a Larry King, ha affermato: “Sono molto ottimista riguardo all’Iraq. Intendo dire che potrebbe essere uno dei maggiori successi di questa amministrazione. Entro la fine dell’estate vedrete ritornare a casa 90.000 truppe americane. E vedrete un governo stabile in Iraq, dato che il paese si sta realmente muovendo verso un governo rappresentativo…

Sono impressionato dal modo in cui stanno decidendo di utilizzare il processo politico piuttosto che le armi per risolvere le loro differenze”L’Iraq rappresenta “uno dei maggiori successi di questa amministrazione”? Beh, in tempo di tempesta politica ogni buco è porto, anche quando ciò significa prendersi i meriti per il successo delle politiche della precedente amministrazione, politiche contro le quali si è manifestata aperta opposizione. In politica, dopo tutto, sono sempre in molti a rivendicare il merito di ogni successo. E va bene, se questo significa che l’amministrazione Obama farà attenzione nei prossimi due anni a non disperdere tutti i risultati ottenuti dalle truppe americane in Iraq.

King (nel suo stile inimitabile) ha poi chiesto a Biden dell’Iran: “E per l’Iran, il nucleare… qualche preoccupazione?”. Biden ha riconosciuto che, sì, l’Iran rappresenta “una preoccupazione. Una reale preoccupazione, non immediata nel senso che potrebbe succedere qualcosa domani o a breve. Ma c’è qualcosa che mi preoccupa particolarmente riguardo all’Iran: se continueranno sulla strada del nucleare e se si dimostrassero in grado di ottenere anche solo un minimo di potenziale, allora mi preoccupo delle conseguenze – Larry, tu conosci il Medio Oriente – quale pressione possa esercitare sull’Arabia Saudita, sull’Egitto, sulla Turchia, etc. Acquisire armi nucleari… è qualcosa di molto destabilizzante”.

Lasciamo stare se abbia senso preoccuparsi maggiormente del fatto che altri paesi possano procurarsi armi nucleari in risposta all’Iran piuttosto che affrontare il problema più immediato di un governo iraniano che sta acquisendo un potenziale nucleare. Lasciamo stare anche il fatto che Biden – seguendo le orme del suo capo – non si sia neanche degnato di esprimere un minimo di solidarietà con i manifestanti che sarebbero stati presi per strada in Iran il giorno successivo. 

Quello che colpisce davvero è che: (a) Persino Biden sembra rendersi conto che avere l’attuale governo iraniano proiettato verso il nucleare rappresenta un problema che, purtroppo, potrebbe avere un peso maggiore rispetto a tutti gli altri successi ottenuti in Medio Oriente, come quello in Iraq; (b) persino Biden non si preoccupa di fingere che l’anno speso dall’amministrazione Obama nella politica della “mano tesa” verso l’Iran abbia prodotto qualche risultato positivo; e (c) persino Biden non si preoccupa di asserire che gli effetti di un Iran nucleare possano essere “contenuti” estendendo il deterrente anche ad altre nazioni del Medio Oriente, o ricorrendo ad altri finti rimedi che taluni sembrano preferire all’interno della comunità di politica estera.

E allora cosa ha intenzione di fare l’amministrazione Obama di fronte alla ricerca di armi nucleari da parte del governo iraniano? Sanzioni. Ma anche se l’amministrazione ottenesse il via libera dal Consiglio di Sicurezza ONU, anche se fosse quindi in grado (insieme agli europei) di andare oltre le misure accettate  dai russi e dai cinesi alle Nazioni Unite, anche se fosse intenzionata a considerare nuovamente le “pesanti” sanzioni di cui aveva già discusso in passato, ma sulle quali ora sembra aver fatto un passo indietro, e anche se volesse rischiare un conflitto militare decidendo di impedire le importazioni di petrolio raffinato in Iran – è probabile che nessuna di queste azioni riesca a indurre il governo di Teheran a interrompere l’arricchimento di uranio o riesca a evitare che alla fine il paese acquisisca effettivamente il potenziale nucleare.

Ma forse le sanzioni sono studiate semplicemente per guadagnare tempo. Oppure, come ha dichiarato questa settimana al New York Times uno degli alti funzionari dell’amministrazione Obama, “si tratta di riportarli sul tavolo delle trattative, in quanto il vero obiettivo è quello di evitare la guerra”. Qualcuno ha ipotizzato che il funzionario si riferisse alla possibilità di un attacco israeliano contro  il programma nucleare iraniano. O si riferiva a un attacco americano? In entrambi i casi, ha ragione quando sostiene che la guerra è una possibilità reale. In effetti, direi sia probabile che a un certo punto, nel giro di un paio d’anni, si passi a un attacco militare se non ci sarà un “regime change” in Iran.

Ma grazie al popolo iraniano, un cambio di governo oggi sembra una possibilità reale. Di certo l’amministrazione potrebbe mostrare un maggior senso di urgenza nel far sì che le possibilità che quell’obiettivo si realizzi crescano, come bisogna augurarsi fortemente. Forse abbracciare l’idea di “regime change” spaventa l’amministrazione Obama. Essa ricorda terribilmente George W. Bush. Ma uno dei più grandi insuccessi dell’amministrazione Bush, nel suo secondo mandato, è stata la debolezza mostrata nei confronti dell’Iran. Bush ha messo da parte il problema iraniano. Obama vuole ottenere un risultato che è sfuggito al suo predecessore? Si tratta proprio del “regime change” in Iran, che rappresenterebbe un successo dell’amministrazione Obama, per il quale Joe Biden, e tutti noi, potremmo davvero festeggiare. 

© Washington Post
Traduzione Benedetta Mangano