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Cari amici,

innanzi tutto grazie per l’invito. Credo che l’unico modo per onorare la vostra cortesia nonché l’amicizia personale che mi lega col vostro leader sia quello di non fermarmi, seppure nello spazio di un breve intervento di saluto, a frasi di circostanza.
Ho seguito con interesse la relazione del vostro segretario, Francesco Storace. Vi sono molti elementi che mi vedono culturalmente lontano, e che a mio parere non vanno nella direzione di una integrazione delle ragioni della cultura comunitaria di destra con quelle proprie della cultura liberale e conservatrice.

Altri terreni, invece, sono assolutamente comuni. Anche noi, come voi, riteniamo che l’Europa di De Gasperi, di Schumann e di Adenauer avesse un’anima e si giustificasse come ricerca paziente di radici millenarie che avevano dato vita a una civiltà, alla bellezza delle nostre città, allo splendore delle nostre cattedrali, a fronte delle rovine del secolo dei totalitarismi che aveva distrutto quelle radici alla ricerca di paradisi in terra o di false mitologie pagane.

Anche noi, come voi, riteniamo che sia il relativismo il cancro da sconfiggere affinché tutto ciò che vale e che abbiamo appreso dai nostri padri non perda di significato e di valore; non venga, per l’appunto, relativizzato a favore di un politicamente corretto che vieta ogni battuta così come ogni moto dell’animo che non sia preventivamente sottoposto al giudizio del conformismo.

Anche noi, come voi, riteniamo che la sfida antropologica per cui si pretende di controllare ogni attimo della propria esistenza incarni il vecchio virus del comunismo: quella presunzione fatale per la quale l’uomo diventa padrone assoluto della vita, dalla culla alla bara, anzi prima della culla e dopo la bara, portando così la vita stessa a perdere in tal modo qualsiasi sorpresa, qualsiasi meraviglia, qualsiasi slancio altruistico.

Quel che invece ci divide è il fatto che queste consapevolezze portano voi a contrapporre un ideale di vecchia Europa ad un “americanismo”, così come lo definite, che sarebbe all’origine di questo processo di degenerazione. Mentre noi pensiamo che in un momento di crisi epocale nel quale stiamo subendo la sfida di nuove ideologie che minano il valore della libertà personale, l’Occidente debba superare le barriere tra le diverse sponde dell’Atlantico. E pensiamo che la vecchia Europa debba saper trarre linfa dall’energia vitale di un’America che è stata fin qui la nostra garanzia contro i nuovi totalitarismi. Un’America nei confronti della quale dobbiamo nutrire considerazione e ammirazione sia quando è capace di respingere – come è accaduto in California – la deriva verso matrimoni omosessuali pur dimostrando ogni giorno il rispetto per le libere scelte degli individui, sia quando elegge un presidente le cui idee non condividiamo ma che pur sempre saprà rappresentare in politica estera la continuità di quella sicurezza occidentale della quale fino ad oggi abbiamo approfittato anche noi.

Amici de La Destra, la storia di questi ultimi decenni ci ha insegnato che c’è molto più rispetto per i valori, per il merito, per i più deboli laddove vige una cultura di mercato che all’apparenza può sembrare spietata, che non laddove, all’ombra di un’appassita cultura del welfare, fioriscono i corporativismi e le rendite di posizione dei poteri forti.

Con tutto ciò, però, non voglio evitare il vero punto politico della nostra divisione. Noi stiamo cercando di edificare un sistema fondato su grandi partiti di coalizione, all’interno dei quali i singoli, le idee, i valori possano trovare il modo di convivere, all’ombra di una leadership che li unifichi e di un programma da realizzare sul quale impegnarsi di fronte ai cittadini. E’ un modo per cercare di coniugare la necessità che un sistema politico funzioni, e che i partiti contribuiscano a questo fine, con la salvaguardia di quella carica ideale che resta la parte più nobile della politica e senza la quale la politica non merita di essere praticata.
Voi, invece, siete convinti che la sintesi vada trovata nella coalizione tra molteplici e diversi partiti, perché solo quando i partiti sono tanti è possibile non smarrire la forza ideale di una proposta.

Quella che stiamo vivendo è una sfida aperta. Nessuno sa oggi quale delle due ricette nei prossimi anni è destinata a prevalere. Anche per questo, l’importante è non perdersi di vista. Avere la generosità di continuare a litigare, come stiamo facendo in questo momento in Abruzzo, assai probabilmente con reciproco rammarico, non dimenticando mai le ragioni ideali e nobili del nostro dissenso; ma non dimenticando mai neppure quali sono i motivi che ci vedono comunque dalla stessa parte, e che ci dovranno vedere ancor più dalla stessa parte se avremo ragione noi; se, cioè, il sistema politico si semplificherà al punto da imporre la scelta empirica e approssimativa tra due soluzioni.

Allora le ragioni di un anticomunismo democratico che sia voi che, noi dopo anni di asservimento ideologico, abbiamo trovato la forza di rivendicare; le ragioni di una battaglia contro il politicamente corretto, contro l’arroganza di chi ha trasformato la cultura in una divisa da indossare nei salotti radical chic facendole perdere quell’anticonformismo e quella libertà senza le quali è destinata a smarrire la sua autentica essenza, ci spingeranno di nuovo insieme. Forse, chissà, in uno stesso partito. Per ora, tanti auguri di cuore per questa vostra impresa.