12 Settembre 2007  

Per una riforma costituzionale condivisa

Redazione

 

“Capacità di Governo: una priorità ineludibile”
Per una riforma costituzionale condivisa

Giovedì 26 luglio 2007
SALA CONVEGNI MONTE DEI PASCHI DI SIENA
Via Minghetti, 30/A – Roma

 

Sono l’unico storico presente a questa Tavola Rotonda. Con gli occhi dello storico il tema della riforma costituzionale si scrive sotto la voce “paradossi”: le situazioni paradossali difatti si susseguono. Un anno fa abbiamo avuto la sconfitta del referendum sulla riforma costituzionale voluta dal centro-destra. Lo schieramento che era per bocciare quella proposta agiva in nome della salvaguardia di una sorta di Costituzione eterna, quella del ’48, quanto meno nel suo spirito e nel suo impianto di fondo. Solo una piccola frangia riteneva che quelle ipotesi fossero da bocciare nel contenuto per motivi empirici e approssimativi. Sotto questo aspetto credo di non essere smentito se dico che il mio giudizio su quelle riforme – ho fatto la campagna per il sì a quel referendum – fosse identico nel merito a quello di Augusto Barbera. Ci differenziava solo una notazione di carattere tattico: io ero convinto che sarebbe stato più facile approvare quelle riforme e poi aggiustarle, Barbera era convinto che sarebbe stato più facile bocciare quelle riforme e poi farne delle altre. Fino a ora la storia ha dato ragione a me, ma visto che come storici consideriamo il “lungo periodo” oltre l’evenienza, aspettiamo ancora un po’ di tempo prima di  dare un giudizio definitivo.

 Credo che un altro paradosso di questo tema sta nel modo nel quale quelle riforme caddero. Penso che dei tre capisaldi su cui esse si disegnavano, vi era una proposta assolutamente buona. So che Bassanini non è d’accordo con me, ma se si utilizza un metro empirico e approssimativo, il giudizio sulla revisione del Titolo V proposta dal referendum non può che essere un giudizio positivo. Ciò che Manzella oggi ci ha detto mi rafforza nel ritenere che quella riforma avrebbe risolto più di qualche problema. Vi era invece un’altra parte della riforma che aveva un limite evidente, quella che riguardava la forma di Governo: rafforzava il premier e l’esecutivo ma, d’altro canto, proponeva una soluzione rigida, trasferendo quella anelasticità che oggi rimproveriamo al sistema elettorale all’interno della forma di Governo. Poi c’è una terza parte di quelle riforme, che era assolutamente manchevole, che riguardava il bicameralismo e il procedimento legislativo. Nella scorsa legislatura ero nel backstage del Presidente del Senato e ricordo perfettamente igiorni in cui si discuteva di abolire la Camera alta o comunque il rapporto di fiducia tra il Senato e l’Esecutivo così come oggi previsto: i senatori circolavano con le cinture di tritolo, pronti a farsi saltare sui banchi, indipendentemente se fossero del centro-destra o del centro-sinistra. Quella riforma, dunque, fu il massimo che si poteva ottenere nelle condizioni politiche date.

Ciò che passò nell’opinione pubblica, invece, fu esattamente un’immagine speculare della realtà e della sostanza di quelle riforme, che furono bocciate soprattutto perché avrebbero inserito un federalismo selvaggio. Furono criminalizzate, dunque, per la loro parte migliore.

 Ulteriore paradosso: a un anno di distanza una parte sostanziale di quelle riforme è ripresa nei documenti del centro-sinistra. Se andiamo a un’analisi approfondita troveremo delle differenze su cui soffermarci, ma sfido chiunque a negare che sia il lavoro della Prima Commissione Affari Costituzionali della Camera sia il decalogo Veltroni non segnino un punto di riavvicinamento rispetto a quella che pareva la distanza siderale di un anno fa. Forse, e questo è un ulteriore paradosso, la distanza maggiore tra i due schieramenti si segna in questi giorni sul tema delle intercettazioni. Se le cose andranno così come appare fino a ora, avremo una parte del centro-destra, in particolare il partito che rappresento, che pur non ritenendo nel merito del tutto errate alcune posizioni assunte dai magistrati, voterà contro l’acquisizione delle intercettazioni mentre la sinistra, che le ritiene nel merito completamente errate, voterà a favore. Ritengo che su questo tema sia necessario ritornare ai principi propri del parlamentarismo, tra cui risiede la necessità di una certa tutela del potere legislativo da possibili invadenze del potere giudiziario. Questa non è una posizione di garantismo a 360 gradi, ma è una posizione istituzionale seria che si rifà ai cardini del parlamentarismo. Il parlamentarismo è nato prevedendo queste forme di tutela che non possono essere messe da parte così facilmente. I principi non possono essere svenduti perché prima o poi la storia chiede il conto: chi li svende se ne pente.

Non c’è dubbio che vi sia un riavvicinamento. L’ottimismo di Caravita ha delle ragioni per essere alimentato, così come credo che abbia ragione sul fatto che il vero banco di prova per comprendere se il riavvicinamento si tradurrà in fatti è quello della legge elettorale. Indipendentemente dai modelli non mi sentirete pronunziare mai, né “francese” né “spagnolo” né “tedesco”, perché credo che queste definizioni non aiutino – quali sono i fatti storico-politici che oggi concorrono a rendere urgente e necessario affrontare questo tema? Ne elencherò quattro che ritengo tra essi connessi.

Il primo: la nascita del Partito Democratico. Non mi addentro in un giudizio di merito che per quanto concerne i profili politico-culturali è del tutto negativo, ma non posso non notare, d’altro canto, come questo avvenimento cambi sostanzialmente lo scenario politico. È nato un soggetto politico che avrà bisogno del suo spazio, e lo cercherà in direzione centripeta.

Il secondo: la rottura della coalizione di centro-sinistra. Non sarò brutale per ragioni di gentilhommerie, ma non c’è dubbio che anche in conseguenza della nascita del Partito Democratico la coalizione di sinistra non sta più insieme. Ha subito alcune scissioni ufficiali, altre scissioni carsiche. È quindi estremamente difficile che questa coalizione possa rimanere unita, soprattutto in proiezione elettorale.

 In terzo luogo, vi è il rafforzamento di Forza Italia all’interno del polo di centro-destra. Questo rafforzamento non è dato solo dai sondaggi, ma dal fatto che si è sedimentato un avvenimento che si riteneva potesse consumarsi col tempo, perché legato all’epifania di una leadership carismatica. Non è così: le ultime elezioni amministrative, la celebrazione di 4.000 congressi e circa 500.000 iscritti pongono il fatto che all’interno della coalizione di centro-destra c’è oggi un punto di riferimento più solido.

Ultimo avvenimento, il più rilevante per quello che concerne l’urgenza della riforma, il fatto che pende un referendum su cui possiamo dare nel merito il giudizio che vogliamo, ma che è certamente legittimo e ha un significato politico legittimo: sul bipolarismo non si torna indietro.

Cosa possiamo fare insieme, dunque, in questa situazione? Porci l’obiettivo di avere un bipolarismo più maturo rispetto a quello che c’era, meno ingessato, che non abbia bisogno delle ortopedie che i sistemi elettorali fino a ora, e soprattutto l’ultimo, hanno istituito. Se riusciamo a fare questo, vorrà dire che saremo riusciti a compiere quell’opera di legittimazione reciproca tra le due forze centrali del sistema, la condizione di fatto affinché il discorso sulle riforme costituzionali possa andare avanti nella politica e non solamente nei convegni. Tutti vorremmo un bipolarismo nel quale ci siano due forze centrali che si riconoscono tra di loro, e che siano il veicolo dell’integrazione dei partiti delle rispettive aree di centro-destra e di centro-sinistra, pronte nel caso di emergenze nazionali, ad allearsi tra di loro, ma normalmente antagoniste. Esattamente come funziona il sistema laddove il bipolarismo in Europa è maturo. Affinché questa prospettiva non viva solo nei libri ma nei fatti è necessaria una presa di responsabilità da parte di queste due forze, che devono trovare una soluzione, che non può consistere solo nel cercare di “fregare” l’altra per vincere le prossime elezioni (o non perdere). Né si può far finta di non sapere che oggi in Italia è ancora viva la eventualità di una deriva centrista: vi è cioè la possibilità, se si sbaglia sul sistema elettorale, di tornare a quel parlamentarismo di tipo frammentato con rendite di posizione e veti ad personam. Questo è un rischio reale di cui le due principali forze politiche devono farsi carico, salvaguardando la pluralità di posizioni e cercando di coinvolgere il maggior numero possibile di forze nella riforma del sistema elettorale, ma non rinunziando all’obbiettivo comune di una legge elettorale che riesca a consentire un bipolarismo più maturo ed effettivo. Lungo questa strada un rischio c’è ed è bene averlo presente: è quello per il quale, per avere un bipolarismo più maturo si giunga a non avere più alcun tipo di bipolarismo. In questo caso avremmo tradito l’indicazione che la raccolta di firme del referendum ci ha fornito e, soprattutto, avremmo tradito quanto di buono la stagione inauguratasi nel 1994 ha fin qui prodotto.

 Chiudo con un ultimo paradosso. Il centro-sinistra, nella sua anima maggioritaria, sembrava aver sposato la Costituzione eterna del 1948. Così facendo compiva un falso storico. Quella Carta, infatti, ha rappresentato un risultato politico eccezionale proprio perché si è posta su un piano storico e non ideologico: i padri della Costituente lo videro come un risultato provvisorio da aggiornare. Chi legge gli atti della Costituente sa perfettamente che soprattutto a partire dalla metà del 1947 si assunse quest’ottica. Ora non vorrei che il centro-destra, che ha fatto di questa prospettiva di cambiamento una bandiera, se ne dimentichi proprio quando le nozze tra la sinistra e la Costituzione eterna si stanno sciogliendo. Il mio schieramento deve rilanciare l’attenzione su questo tema. Parlare del modello Sarkozy senza porsi il problema delle istituzioni è pleonastico: quell’esperienza senza quelle istituzioni non ci sarebbe stata. Sono certo che noi quella bandiera non la lasceremo cadere: il tema della modernizzazione istituzionale sarà presente nel programma del centro-destra per la prossima Legislatura e lì, oltre che parlare della Seconda Parte della Costituzione, si prenderà in considerazione anche, finalmente, l’aggiornamento della Prima.