Produttività e sviluppo economico
Riduzione dell’IRES: 5 punti in 5 anni
La riduzione dell’imposta sulle società (IRES) investe l’area in cui la concorrenza fiscale internazionale crea più problemi. Si propone una riduzione di 5 punti, da attuare in cinque anni con un punto all’anno, mediante una legge da varare subito che predetermini i ribassi annuali.
L’Ires rende circa 45 miliardi e, con l’aliquota del 33 % del 2007, ciò implica che ogni punto dia un gettito di 1,360 miliardi. Semplificando, con un Pil di 1500 miliardi annui, un punto di Pil è 15 miliardi. E la perdita di 1,36 miliardi rappresenta lo 0,09% del Pil corrente. Una percentuale minima. Considerando tutti i tesoretti che sono stati sino ad ora devoluti alle più diverse operazioni, c’è da meravigliarsi che non si sia ancora pensato ad una proposta analoga.
Ovviamente ogni anno, data l’inflazione e la crescita (anche modesta)della produzione in termini reali, il gettito dell’Ires salirà, sicché un punto di riduzione dell’aliquota costerà più di 1,5 miliardi.
Ma anche il Pil aumenterà , pressappoco della stessa percentuale. Quindi un punto di riduzione di Ires costerà sempre lo 0,09 circa del Pil .
Non sarà difficile trovare ogni anno questa somma da destinare all’obbligo, derivante dalla legge, di taglio dell’Ires. Il principio fondamentale per contenere il carico fiscale è quello di “affamare la bestia”,ossia evitare di fornire un pasto abbondante di entrata al Leviatano fiscale per le sue spese.
La “bestia”non ama vedersi ridurre di colpo le cospicue razioni cui è abituata. Sottraendole lo 0,1 del Pil all’anno, essa non potrà invelenirsi e reagire con protervia. Dovrà adattarsi al piccolo dimagrimento. Messi insieme questi tagli annuali, essi comportano, in euro del 2007, un importo di 7,5 miliardi, ossia mezzo punto di Pil corrente. Una cifra che tutta in una volta non è agevole trovare ma che, spalmata nel quinquennio, si riesce a reperire nelle pieghe del bilancio. Dal punto di vista delle imprese, se vi è la certezza che l’aliquota scenderà di un punto ogni anno, gli investimenti di medio e lungo termine diventeranno subito più convenienti, quasi per tutto l’importo di questa riduzione. E quindi questa operazione, se attuata subito, per legge, da un governo con una maggioranza stabile, oltreché valere in termini strutturali, può avere una immediata efficacia , anche dal punto di vista congiunturale.
Occorre tenere presente che l’aliquota dell’Ires con la finanziaria per il 2008 passa al 27,5 per cento, tramite l’ampliamento della base imponibile, che va ad includere anche gli interessi passivi netti di interessi attivi in eccesso al 30%, del profitto lordo di interessi.
Si tratta di una riforma analoga a quella adottata dalla Germania. Così come congegnata essa implica un maggior gettito e la percentuale di indebitamento detraibile del 30% appare troppo bassa, soprattutto per le imprese nuove. L’imponibile va modificato, ad esempio, con un coefficiente di 40-50%. Comunque, sottraendo alla nuova aliquota del 27,5% i 5 punti di cui alla proposta, la nuova aliquota al termine del quinquennio sarà il 22,5%. Ad essa però si aggiungerà la addizionale del 4,5% sostitutiva dell’Irap e detraibile dall’imposta pagata allo stato, secondo lo schema di destrutturazione dell’Irap.
Si arriva così al 27% che appare un gravame sopportabile se si eviterà di appesantire la base imponibile con eccessive quote di interessi passivi indetraibili.
Abolizione dell’IRAP
L’IRAP è una imposta irrazionale che grava su un assieme eterogeneo di redditi di impresa e di lavoro autonomo e sui redditi di lavoro al lordo dei contributi, pagati da tali soggetti, senza possibilità di detrarre tale tassazione del lavoro dal costo di produzione. La giustificazione teorica è quella di una imposta sul valore aggiunto tipo reddito, ma essa è contraddetta dal fatto che il tributo è classificato fra le imposte indirette ed anche che non tassa il valore aggiunto degli immobili (invero perché tassato con l’ICI che però è una imposta sul patrimonio).
Si tratta, dunque, in realtà di un tributo ibrido, che comporta un ingiustificato onere sui costi delle imprese, data la indetraibilità della tassazione dei costi del lavoro. Inoltre, per le imprese internazionali, tutelate da trattati sulla doppia imposizione per il reddito prodotto all’estero, si tratta di un tributo indetraibile, in quanto non si configura giuridicamente come imposta sul reddito.
La sola giustificazione di questo tributo sta nel gettito che dà alle regioni (e in piccola parte agli enti locali) e che serve , per il 50 % del suo gettito, per finanziare la spesa sanitaria.
L’IRAP ha una pressione pari al 2 % del Pil, cioè circa 30 miliardi di euro .
Nonostante la sua rilevanza per la finanza autonoma regionale e per il finanziamento del sistema sanitario regionale, essa può essere abolita, senza compromettere tali funzioni finanziarie, mediante una riforma che la trasformi:
1) in una addizionale all’imposta sul reddito lordo di impresa, con le attuali aliquote, per quel che riguarda il reddito al lordo di interessi delle società e delle imprese personali;
2) in un contribuito sanitario regionale (CSAR) per quel che riguarda l’aliquota sul reddito del lavoro autonomo e sul costo del lavoro, al lordo di contributi del lavoro dipendente da trasformare in aliquota equivalente sul costo del lavoro netto di contributi.
Le conseguenze di ciò sono:
- una rilevante semplificazione del sistema di tassazione;
- la trasparenza del finanziamento della sanità;
- la detraibilità dell’addizionale locale all’Ires, per le società internazionali con riguardo ai trattati sulla doppia imposizione, con conseguente agevolazione fiscale all’investimento estero in Italia;
- la detraibilità del contributo sanitario sui costi del lavoro dai costi dell’impresa e del lavoro autonomo.
La norma di detrazione dell’IRAP sul costo del lavoro dall’imponibile di Ires, trasformata in CSAR, comporta una perdita di gettito che si può stimare in del Pil.
Poiché il costo le lavoro è 2/3 della base imponibile dell’IRAP, la detrazione in Ires e in Irpef per le imprese e il lavoro autonomo comporterebbe la perdita del 27% del 66% =18% dell’IRAP sulle imprese e sul lavoro autonomo, che a sua volta ne costituisce il 70%; una perdita di gettito pari al 12,6 % del gettito dell’IRAP cioè il 12,2% del 2% ossia arrotondando = 0, 25 del Pil. Con un punto di Pil pari a 15 miliardi si tratta di 3,75 miliardi annui.