12 Aprile 2007  

Ragion di Stato, Stato senza ragione

Redazione

 

Nel corso del dibattito sul rifinanziamento della missione in Afghanistan che si è svolto in Senato, a un certo punto si è aperta una discussione su un ordine del giorno che impegnava il governo a concordare con gli alleati la linea da tenere nel caso di rapimenti di nostri connazionali. E’ accaduto solo pochi giorni fa, ma allora eravamo ancora distanti dalle minacce di Gino Strada al governo Prodi, dalla tragica uccisione dell’interprete, dalle clamorose smentite da parte del Presidente Karzai del nostro esecutivo. A quel tempo il governo, pur di portare a casa la pelle e costringere l’opposizione alla sconfitta (del resto difficilmente evitabile), sarebbe stato persino disposto ad appoggiare un ordine del giorno per abrogare la bandiera della pace. Per questo non si oppose. A mostrare contrarietà furono solo Rifondazione Comunista e, in solitaria malinconia, il Senatore Polito. Quest’ultimo, in particolare, prese la parola per rivendicare uno spazio di sovranità statuale intangibile, nel quale nemmeno le ragioni degli alleati sarebbero dovute essere ammesse. Intervenne allora il whip della maggioranza, il Senatore Boccia, che chiarì come Polito fosse intervenuto a titolo personale. Per questo, il tempo da lui impiegato non avrebbe dovuto essere computato all’Ulivo. Ecco come una questione seria può degradarsi a ragioneria istituzionale. La vita dei Parlamenti, d’altro canto, è fatta anche da questo.

Con buona pace di Boccia, però, il problema non era archiviabile come una pratica burocratica. E oggi, infatti, sta riesplodendo come questione nazionale. Nessuno che abbia anche solo un minimo senso dello Stato può dubitare che esista uno spazio legittimo per quelli che un tempo si definivano gli arcani imperii: la zona grigia nella quale erano trattati gli affari riservati dello Stato. La dignità e la credibilità dello Stato, però, necessitano, oggi come allora, che quella zona rimanga grigia, senza che da essa rigurgiti di tutto a distanza di solo qualche giorno. Se è in gioco un bene superiore è persino lecito utilizzare la collaborazione di Gino Strada. A condizione, però, che non si accettino i diktat di quel signore (fuori dai piedi i servizi segreti!), che i patti siano fatti comme il faut, che gli impegni assunti vengano rispettati, che non ci si metta nella condizione di fare collezione di pubbliche smentite provenienti, insieme, dai profeti disarmati e dai governanti.

Dopo quanto è accaduto è più chiaro che mentre Polito si opponeva a quell’ordine del giorno in nome della ragion di Stato, Rifondazione Comunista lo faceva in nome di una non meglio precisata “diplomazia dei movimenti”. Se abbiamo ben capito, essa consiste nell’affidare, anziché ai servizi segreti previsti per la bisogna, a organizzazioni quali Emergency la risoluzione dei guai provocati da quanti si recano in quei luoghi armati d’incoscienza; espongono il proprio Paese a pericolose trattative; mettono dei servitori dello Stato nella condizione di rischiare la pelle e, al momento della liberazione, in segno di gratitudine, si fanno fotografare nei panni dei propri carcerieri. Come se tutto ciò non bastasse, non ci si accontenta di raccontare l’edificante esperienza ai nipotini. Si giunge all’impudicizia di dare alle stampe il proprio diario, fottendosene se nel frattempo qualche sventurato compagno di strada ci è rimasto.

Prodi, al cospetto di questo dissidio interno alla sinistra, vorrebbe degradare la “ragion di stato” a “ragion di coalizione”. Ed imporre il silenzio, emulando il generoso Boccia. Ma non si può più. Perché, nel frattempo, è la credibilità dell’intero Paese – e non della sola sinistra – a essere stata messa in gioco. Risposte chiare a questo punto s’impongono. A pretenderlo, ancor prima che l’opposizione, sono i nostri soldati che si trovano ancora lì giù e quanti tra i nostri connazionali con dignità e coraggio, tra l’Afghanistan e l’Iraq, hanno già pagato con la propria vita. A pretenderlo è anche quel senso d’umanità che non ha bandiera, che ci ha dato gioia alla notizia della liberazione di Mastrogiacomo, così come dolore apprendendo di un giovane interprete afghano sgozzato.