Seminario San Tommaso – Il suicidio e l’eutanasia
1. [Hegel] Si può considerare il suicidio, anzitutto come un atto di valore, ma come cattivo valore da sarti e da serve. [E alla domanda:] Ho io diritto al suicidio? [rispondeva:] La risposta sarà che io, in quanto sono questo individuo, non sono padrone della mia vita, perché l’intera totalità dell’attività, la vita, non è un che d’esteriore, rispetto alla personalità, che è essa stessa immediatamente tale. Quando si parla, quindi, di un diritto che la persona ha sulla propria vita, questa è una contraddizione perché ciò significa che la persona ha un diritto sopra di sé. Ma questo essa non ha, perché essa non sta al di sopra di sé, non può dirigersi. Quando Ercole si arse, quando Bruto si abbattè sulla sua spada, questa è la condotta dell’eroe verso la sua personalità; ma se si tratta del semplice diritto di uccidersi, questo può essere negato anche agli eroi.
2. [Platone] [Alla domanda di Cebete che voleva sapere] perché diciamo che non è lecito uccidere se stessi [Socrate rispondeva che questo è] l’unico di quanti casi si possono presentare che non ammetta distinzioni, e non accada mai, come per altre condizioni di vita, il contrario, e cioè che per l’uomo – dico per certi uomini e in certe circostanze – sia meglio morire che vivere; e se c’è di quelli cui è meglio morire, può farti credo, meraviglia che a costoro sia vietato come cosa empia procurarsi bene da se medesimi e debbano invece aspettare un altro benefattore. [Portava poi questo esempio] Se qualcuno di tua proprietà si uccidesse, senza che gli avessi mai dato alcun segno che eri tu a volere che si uccidesse, non ti adireresti con costui, e, se avessi modo di punirlo, non lo puniresti? [E concludeva] E dunque, posto questo principio, o non credo sia fuor di ragione che uno non debba uccidere se stesso, se prima Dio non gli abbia mandato qualche necessità.
3. [Aristotele] Il morire per fuggire la povertà o la passione amorosa o qualcosa di doloroso non è di uomo coraggioso, ma piuttosto di un vile: è infatti debolezza lo sfuggire ai travagli e chi si uccide agisce non per affrontare una prova decorosa, bensì per sfuggire un male.
4. [Kant] [Chi si trova di fronte a] una serie di sciagure tali da portarlo alla disperazione, [ma è ancora in possesso della ragione e si domanda] se il togliersi la vita non contrasta con il dovere che ha verso se stesso [non potrebbe non giungere alla conclusione che] una natura in cui fosse legge che, quello stesso sentimento che è destinato a promuovere la vita, distrugga la vita stessa, è una natura in sé contraddittoria e, quindi, non può sussistere come natura. [Ne viene che il suicidio] contrasta interamente col principio supremo di ogni dovere.
5. [Kant] [Il suicidio può essere considerato] come una trasgressione del nostro dovere verso gli altri uomini [ma anche] come una trasgressione del dovere verso Dio nel senso che l’uomo abbandona così, senza esservi comandato, il posto che gli è stato affidato in questo mondo.
6. [Catechismo della Chiesa Cattolica] Il suicidio contraddice la naturale aspirazione dell’essere a conservare e a perpetuare la propria vita Esso è gravemente contrario al giusto amore di sé. Al tempo stesso è un’offesa all’amore del prossimo, perché spezza ingiustamente i legami di solidarietà con la società familiare, nazionale e umana, nei confronti delle quali abbiamo degli obblighi. [A maggior ragione] qualunque ne siano i motivi e i mezzi, l’eutanasia diretta consiste nel mettere fine alla vita di persone handicappate ammalate o prossime alla morte. Essa è moralmente inaccettabile.
7. [Kant] Un uomo sentendo già i morsi dell’idrofobia quale effetto della morsicatura di un cane idrofobo, dopo essersi convinto che non si è mai sentito dire che alcuno sia guarito da una tale malattia, si uccide, come egli lascia scritto in una lettera, per non essere trascinato in un eccesso di furore (di cui sente già i primi attacchi) a rendere infelici altri uomini; si domanda se egli ha agito giustamente.
8. [Hume] [ricordava le “antiche massime” che] prescrivono che nessuno deve prolungare una vita divenuta disonorevole, e che, anzi, siccome si ha sempre il diritto di disporne, diventa allora un dovere rinunciare ad essa.
9. [Hume] Il suicidio è in accordo con il nostro interesse e con il dovere verso noi stessi: ciò non può essere messo in dubbio da alcuno il quale riconosca che l’età, la malattia e la disgrazia possono rendere la vita un peso insostenibile e renderla peggiore dell’annichilimento.
10. [Jaspers] In un abbandono totale, nella colpevolezza del nulla, la soppressione libera e volontaria è, per chi vive in solitudine, come un ritorno a se stesso. Per chi è tormentato, per chi è impotente a continuare la lotta con se stesso e col mondo, per chi è esposto, per malattia o per vecchiaia a sprofondare nella miseria e minaccia di andare al di sotto del livello della propria condizione, il pensiero di potersi togliere la vita diventa confortante, e la morte appare come una liberazione. Quando a una malattia fisica inguaribile si aggiunge un’assoluta mancanza di risorse e un totale isolamento dal mondo, allora, nella chiarezza più completa, senza nichilismo, si può negare il proprio esserci non in generale, ma così come si trova ad essere e come potrebbe rimanere. C’è un limite oltre il quale non c’è più il dovere di continuare a vivere.
11. [Dostojevskij] La vita è dolore, la vita è paura, e l’uomo è infelice. Ora tutto è dolore e paura: l’uomo ama la vita perché ama il dolore e la paura. La vita viene concessa a prezzo di dolore e paura, e qui sta tutto l’inganno. Ora l’uomo non è ancora l’uomo che dovrà essere. Vi sarà l’uomo nuovo felice e superbo. Quello al quale sarà indifferente vivere quello sarà l’uomo nuovo! Chi vincerà il dolore e la paura, quello sarà Dio.
12. [Camus] Vivere, naturalmente, non è mai facile. Si continua fare gesti che l’esistenza comanda, per molte ragioni, prima delle quali è l’abitudine. Morire volontariamente presuppone che sia riconosciuto, anche istintivamente, il carattere inconsistente di tale abitudine, la mancanza di ogni profonda ragione di vivere, l’indole insensata di questa quotidiana agitazione e l’inutilità della sofferenza.
[Jankélévitch] Chi vuol darsi la morte se la dà – dopo si fa un’inchiesta ed è tutto. Ma il problema dell’eutanasia è la libertà per il medico, di far morire, direttamente o indirettamente, un malato il cui stato è giudicato disperato, con l’accordo del malato stesso. È questo il problema dell’eutanasia: il diritto legale per il medico – che secondo la lettera del diritto apparirebbe come un omicida – di fare al malato l’iniezione mortale liberatrice. Freud, per esempio,malato a morte che chiede a un amico di liberarlo dagli ultimi tormenti. Ma il problema dell’eutanasia si pone per il medico, non per Freud. Perché per questi si riduce al problema del suicidio… E l’uomo, ovviamente, è libero di uccidersi, di gettarsi dall’alto della torre di Saint-Jacques o di precipitarsi dalla torre Eiffel.