21 Luglio 2008  

Serve una sanatoria per le badanti e nuove regole per le imprese

Redazione

 

Per una serie di circostanze comprensibili il problema dell’immigrazione (si tratta di un processo ineluttabile in un Paese come l’Italia in forte declino demografico, con un’offerta di lavoro che non è in grado da tempo di soddisfare la domanda, soprattutto in taluni settori) si è trasformato in una questione di ordine pubblico, legata al tema della clandestinità, alla piccola e grande criminalità, alla presenza delle popolazioni Rom e ad altri aspetti che definiremmo patologici. 

E’ inutile negarlo: nell’opinione pubblica è crescente un senso di insicurezza, spesso esagerato, che si accompagna alle destabilizzazioni che le trasformazioni intervenute, a seguito delle grandi migrazioni, determinano nella vita quotidiana di ciascuno quando deve prendere atto di vivere a fianco di “diversi da noi”. Se è sbagliato sottovalutare questi atteggiamenti e rinunciare a contrastare i tanti aspetti critici dell’immigrazione sarebbe altrettanto errato e controproducente “cavalcare”, per motivi  di consenso politico, i tanto diffusi idola tribus (e non sempre razionali) in proposito.

Vi sono dei punti fermi che vanno ribaditi con forza. Gli immigrati non rubano il lavoro a nessuno, ma nella stragrande maggioranza dei casi svolgono attività che la manodopera italiana rifiuta. Vi sono interi comparti economici importanti per la nostra vita economica e sociale (sicuramente l’agricoltura, il turismo, le costruzioni, tra qualche anno persino l’industria manifatturiera) che senza l’apporto dell’immigrazione dovrebbero dare forfait per mancanza di addetti disponibili.  Tutto il settore dell’assistenza alle persone (non solo le badanti, ma anche il personale delle Istituzioni) è in grado di operare grazie agli stranieri. Tra qualche anno sarà solo la possibilità di assumere infermieri stranieri a consentirci di far funzionare gli ospedali, dal momento che i nostri giovani rifiutano persino un lavoro qualificato e alle dipendenze della pubblica amministrazione come è appunto quello dell’operatore sanitario.

Tutto ciò premesso, i dati dimostrano l’efficacia di provvedimenti (come la legge Bossi-Fini) che hanno voluto collegare l’immigrazione al lavoro. Ma vi sono anche lamentele a cui si deve prestare ascolto.

Partiamo dal caso delle badanti per le quali è necessaria, al più presto, una sanatoria, essendo il numero di quelle occupate presso le famiglie, con compiti di assistenza, largamente superiore a quello stabilito nelle quote. In sostanza, il fabbisogno è stato coperto con ampi ricorsi a persone in stato di clandestinità, che magari non riescono ad essere regolarizzate da nuclei familiari disposti a farlo, i quali vivono l’attuale incertezza come un dramma perché da un momento all’altro potrebbero essere private dell’apporto della badante a cui è affidata la cura di un familiare invalido.

Analoghe preoccupazioni provengono dal mondo delle imprese, le cui richieste di assunzione di personale immigrato finisce nel “mucchio” e viene evaso solo con enorme ritardo e senza il riconoscimento di alcuna priorità.  Addirittura si mette di mezzo l’informatica. Quando viene il momento di inviare – via mail – le domande  di regolarizzazione chi ne ha un paio finisce davanti a chi ne ha diverse centinaia.

Ma quanti sono i lavoratori immigrati regolari censiti dall’Inps ? Nel 2007 erano poco meno di 1.790mila (contro 1.476mila dell’anno precedente), con un reddito imponibile superiore a 21 miliardi (erano 18,4 miliardi nel 2006 e 16,7 miliardi nel 2005). Quanto ai gruppi più consistenti il 44,7% viene dall’Europa dell’Est, il 16,1% dall’Africa del Nord, il 12% dall’Asia orientale, il 10,7% dall’Europa occidentale, quasi l’8% dall’America Latina. Relativamente al reddito imponibile del 2007, con riferimento ai nuclei più importanti,  la quota più consistente (8,2 miliardi contro 6,4 miliardi del 2006) è percepito da immigrati provenienti dall’Europa dell’Est. Vengono poi quelli del Nord Africa con 3,5 miliardi e a seguire l’Europa occidentale (3,4 miliardi), l’Asia orientale (2,3 miliardi) e l’America del Sud (1,7 miliardi).

Interessante è notare le qualifiche di questi lavoratori: quelli provenienti dall’Europa dell’Ovest sono in larga misura quadri e dirigenti, mentre la maggioranza di coloro che arrivano dall’Est sono operai. Quanto alla presenza nelle regioni italiane: il 20,7% dei lavoratori immigrati è nel Lazio, poco meno del 16% in Lombardia, il 9,4% in Sicilia, l’8% in Veneto. Gli altri si distribuiscono in quote modeste nelle altre regioni.

(L’Occidentale)