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Appena si nomina la Georgia, alla mente degli addetti ai lavori tornano la “Rivoluzione delle rose” del 2003, lo scontro politico tra Usa e Russia, la controversa figura del presidente Saakashvili, la guerra con Mosca… Dopo la “Rivoluzione delle rose” e la pacifica destituzione del presidente Edward Shevardnadze, sono state diffuse tante pubblicazioni e si sono sentite molte opinioni al riguardo, spesso inclini a paragonare il cammino politico della Georgia al recentissimo passato dei paesi Baltici e la loro già avvenuta integrazione Euro-Atlantica.

Passati più di due anni dalla guerra russo-georgiana torniamo ad analizzare la situazione del paese euro-caucasico. Sfortunatamente la crisi economica mondiale, la persistente guerra al terrorismo e la recente instabilità in nord Africa hanno messo nell’ombra la questione georgiana, ma la situazione nel Caucaso rimane molto dinamica e richiede continua attenzione per poter trarre le giuste conclusioni. Se veniamo ad oggi, molti politologi ed esperti in materia constatano una certa stagnazione nel processo di democratizzazione georgiana e propongono le più svariate opzioni per identificare l’esatta causa del fenomeno. In realtà bisogna conoscere molto bene l’intera regione euro-caucasica per poter individuare la vera ragione del fenomeno. Ci sono tre principali ostacoli che in qualche modo rallentano la trasformazione georgiana e impediscono che il paese concluda finalmente il suo percorso verso un modello compiuto di democrazia. E’ comunque innegabile che la Georgia abbia già fatto molto per arrivare alla meta desiderata.

Il primo ostacolo riguarda il fattore esterno. Non ci sono molte ragioni valide per paragonare il passato degli stati baltici con quello georgiano. E’ ovvio che i tentativi del governo di Tbilisi di sottrarre il paese al vecchio modello semi-autocratico di Shevardnadze e di mantenere la continua implementazione delle riforme democratiche si svolgono in una realtà politica estremamente difficile. La difficoltà deriva soprattutto dalla politica estera Russa che si scontra direttamente con gli interessi nazionali Georgiani, che a sua volta punta principalmente alla sopravvivenza e all’autoconservazione. Assistiamo da più di sette anni all’alternarsi di pressioni politiche di Mosca nei confronti di Tbilisi, che nel 2008 è culminata con lo scontro militare, con l’occupazione e il riconoscimento illegale (la frase esatta usata da parte dell’Ue e dalle Nazioni Unite) di due province georgiane come delle entità indipendenti.

Le ragioni di questo scontro e le radici di questa discordia tra la Georgia e i suoi “tutori” occidentali da una parte e la Federazione Russa dall’altra sono diverse e spaziano dal riconoscimento del Kosovo da parte dell’occidente, che strappò la provincia serba al controllo di Belgrado e suscitò (e tuttora suscita) l’ira di Mosca, all’incompatibilità generale e strutturale tra la politica estera georgiana e le ambizioni e gli interessi nazionali della Russia odierna. Mentre otto anni fa la Georgia ha avviato il processo di democratizzazione, ha dichiaratoguerra alla corruzione e ha deciso di avviare il processo di integrazione Euro-Atlantica, la Russia punta sul recupero delle vecchie sfere d’influenza, tenta di proporsi ai suoi vicini come il modello di sviluppo alternativo all’occidente e mantiene il modello della Governance informale. L’ambizione della Georgia di entrare nella NATO e la dichiarazione di Bucarest del 2008 in qualche modo garantì a Tbilisi la possibilità di adesione non appena divenisse conforme ai requisiti necessari, ha sicuramente accelerato lo scontro tra la Russia e la Georgia. Senza entrare nel merito degli avvenimenti sopraelencati, ci si rende comunque conto della difficoltà di mantenere la velocità sostenuta verso l’obiettivo finale.

Il secondo ostacolo ci porta alla relativa instabilità politica interna. Anche qui la situazione Georgiana si distingue da quella baltica in quanto la politica interna della Georgia è molto divisa, mentre la politica dei paesi baltici era unanime su questioni basilari che riguardavano la strategia della politica estera. I politici georgiani sono divisi in due campi assolutamente distinti che non si riconoscono come avversari legittimi. Da una parte si colloca il governo georgiano, democraticamente eletto (basandosi sul report dell’Ue, OSCE e ONU), che cerca a tutti i costi di sfruttare l’opportunità presentatasi dopo la “rivoluzione” del 2003 ed eseguire il cambiamento radicale del sistema politico-sociale del paese. Da un’altra si vedono tanti politici di vari partiti di opposizione georgiana che non riconoscono le azioni di governo, non condividono le riforme effettuate e ritengono alcuni fenomeni ad esempio “informal governance” e “interpretabilità” delle leggi (per noi italiani assolutamente illegali) come accettabili e facenti parte quasi della cultura politica del paese. Comunque, guardando gli esiti delle elezioni a partire dal 2004 in poi, la gente georgiana sembra aver già fatto la propria scelta quasi unanime, premiando lo schieramento politico pro-occidentale per la guida del paese. Quindi la Georgia avanza sulla strada dell’integrazione nell’area euro ma la parziale instabilità della politica interna sta seriamente minando la velocità dell’avanzamento.

Il terzo ostacolo riguarda la scarsità dell’aiuto esterno che la Georgia riceve dall’Ue. Qui parliamo di aiuti e sostegni politico-economici. Sembra che la Ue, pur ufficialmente riconoscendo immensi progressi politici ed economici della Georgia e supportando la sua integrità territoriale (Bruxelles condanna l’occupazione delle due regioni georgiane da parte della Russia) non abbia mai offerto una vera e propria “road map” per l’integrazione che agevolasse e ulteriormente motivasse il loro processo di trasformazione. Sembra che l’Ue consideri la Georgia (ma anche l’Ucraina, la Moldavia, ecc.) un po’ troppo vicina al giardino russo tenendosi in disparte. Il principio politico da osservare, allora, dovrebbe essere il seguente: l’Unione Europea non deve mai accettare sfere d’influenza sul continente perché andrebbe contro tutti i nostri principi di libertà e autodeterminazione. Ogni stato indipendente deve essere in grado di scegliere il proprio cammino e le proprie alleanze.