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Crisi del riformismo e «insorgenza populistica» nell’Italia degli anni Sessanta

 

Febbraio 2008, pp. 113

 

 

 

 

  

Se un giorno a Magna Carta dovessimo anche noi cimentarci nel gioco del “piccolo Pantheon”, tra i nostri “maggiori” – e tra i primi – indicheremmo Nicola Matteucci.
A lui ci legano i ricordi: quelli del Mulino e delle osterie bolognesi, dei convegni a Erice e delle passeggiate a Cortina. A lui ci riportano sia i saggi che hanno orientato la nostra formazione sia gli articoli sul “Giornale” di Montanelli che hanno nutrito la nostra passione politica. Ci riconduce a lui, ancor più, l’esempio di anticonformismo che ci diede quando scelse di continuare a scrivere per quella testata anche dopo l’abbandono del fondatore. Si trattava di non fornire ulteriore alimento allo “snobismo liberale” che già aveva trasformato l’Italia di minoranza in un’Italia a vocazione minoritaria.
E, per questo, di rinunziare al pane che la sinistra assicurava in cambio di un rifiuto preventivo del tratto popolare e persino plebeo della destra possibile e vincente.
Non fummo in tanti, allora, a condividere quella scelta. Ma se oggi i confini della cultura politica italiana sono un po’ meno asfittici, l’intolleranza un po’ meno cruenta, egemonie invecchiate un po’ meno sicure di sé e dunque più aperte al confronto, è anche perché, allora, vi fu chi, tra i “maggiori”, seppe indicare la via.
Tutto ciò appartiene al rapporto biografico di una generazione con i suoi maestri: forse dell’ultima generazione che avrà avuto la fortuna di poter ancora far conto su dei maestri, secondo tradizione. E in tale evenienza il Sessantotto c’entraqualcosa.

Questa raccolta di articoli lo spiega assai bene. Nicola Matteucci ci fa comprendere, innanzitutto, quanto in Italia la stagione del Sessantotto sia stata lunga: avviatasi già alla metà degli anni Sessanta, si concluse solo alla fine del decennio successivo. E ci fa capire anche perché tale durata abnorme non abbia prodotto soltanto l’effetto di sovvertire gli usi e i costumi della politica, ma anche quello, ben più rilevante, di provocare una rivoluzione antropologica i cui effetti stiamo ancora oggi scontando. I giovani di allora, infatti, hanno avuto tutto il tempo di rivestire, alla luce di un’“innocenza” conquistata nel paradiso terrestre sessantottino, i ruoli di genitore e di maestro, nonché la funzione di classe dirigente, provocando così il consolidamento di una concezione inedita dell’autorità, del rispetto e della responsabilità personale.
Nicola Matteucci intuì questa possibile deriva. Ne evidenziò i prodromi con tempismo e lucidità che oggi lasciano sbalorditi.

Indice

Presentazione di Gaetano Quagliariello   Introduzione di Roberto Pertici   1. Necrologio del «Mondo»

2. Università senza riforma

3. La crisi dell’Università come crisi di cultura

4. Critica del libertinismo di massa

5. La cultura politica italiana: fra l’insorgenza populista e l’età delle riforme

6. Il «lungo ‘68» e il movimento del ‘77: perché le rivolte giovanili?

7. Anticomunismo, addio. Come gira la ruota del «Mulino»